Bandiera bianca

(di Paolo Palumbo)
18/08/21

Le immagini drammatiche di queste ore provenienti dall’Afghanistan riassumono, nel modo più tragico, non solo il fallimento di una missione militare che – sebbene si fosse prefissata soltanto di sradicare le basi di Al Qaeda – è durata vent’anni, ma anche la sconfitta di una cultura rispetto ad un’altra. Sebbene fosse tutto partito come un immenso raid contro il terrorista più ricercato al mondo, la missione in Afghanistan si è poi trasformata in un’esportazione forzata di democrazia, un concetto tanto caro agli Stati Uniti, ma che ha origini strettamente europee. Una guerra di idee, improntata sull’insegnamento dei valori democratici, nella quale si è cercato in maniera ridicola e grottesca di condurre una teocrazia islamica e islamista verso elezioni democratiche con tanto di urne, schede e matite spuntate.

Se il teatrino occidentale (Europa in primis) si fosse presentato al pubblico col fare sommesso e umile di chi abbozza un tentativo senza troppa convinzione, forse sarebbe finta lì; ma gli attori si sono impegnati allo spasimo affinché la loro commedia riuscisse. America ed Europa sono così entrati in scena con migliaia di uomini in uniforme, mezzi blindati, aerei e droni, con l’idea fissa che il popolo afghano (o meglio la miriade di popolazioni afghane), una volta superato il trauma di Bin Laden e del mullah Omar, avrebbero seguito un nuovo percorso eleggendo un presidente marionetta come Ashraf Ghani.

Siamo dunque arrivati alla resa dei conti e, fino a questo momento, i dispensatori di democrazia stanno arricchendo ulteriormente il loro carnet di figuracce con dichiarazioni assurde circa i veri scopi della guerra, dichiarando la missione in Afghanistan un completo successo. Allora ditelo, per cortesia, a quanti si stanno calpestando all’aeroporto di Kabul, nella disperata ricerca di un velivolo per fuggire. Ditelo anche, mi raccomando, anche a chi pilota gli elicotteri che trasferiscono il personale diplomatico in un luogo sicuro: la missione è un completo successo, però fuggite per cortesia!

Ora i talebani garantiscono moderazione, ma quando una persona salta sulle ruote di un aereo in decollo per poi lasciarsi cadere nel vuoto, sorge qualche dubbio circa la veridicità di tali promesse. Per ora all’occidente non rimane che issare bandiera bianca, mentre sui palazzi e per le strade di Kabul sventola già un altro drappo bianco, quello dei talebani.

Bandiera nera e bianca

È probabile che nell’immaginario collettivo (soprattutto dei tanti che associano, erroneamente, l’immagine dei terroristi a quella dei talebani), in molti si sarebbero aspettati di vedere i fuoristrada armati di mitragliatrici, irrompere trionfanti a Kabul adorni delle terribili bandiere nere, vessillo di morte appartenuto allo Stato Islamico. Tutto ciò non è avvenuto. Questo non è un fatto casuale poiché anche nelle rappresentazioni simboliche di appartenenza, i talebani seguono regole e dettami totalmente diversi dagli aguzzini dell’ISIS, basando le loro scelte su una tradizione storica ben precisa.

I razziatori riuniti anni fa da Al Baghdadi si sono presentati al mondo ostentando le loro bandiere nere, il colore usato dallo stesso Maometto durante le sue prime conquiste. La bandiera nera fu poi ereditata dalla prima dinastia regnante dopo il profeta, conosciuta come il califfato di Rashidun. A questo califfato, gli islamici devono l’adozione del loro calendario, il quale parte dal 622 anno in cui il profeta Maometto compì il suo viaggio dalla Mecca a Medina (Egira).

Al centro della bandiera nera, lo Stato Islamico inserì due simboli di grande importanza per la fede islamica: la Shahada e il sigillo di Maometto (circoscritto su fondo bianco). La Shadada è la professione di fede di ciascun mussulmano, vale a dire “Non c’è dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo profeta”, il sigillo di Maometto invece, sembrerebbe risalire ad un simbolo trovato in una serie di lettere attribuite proprio al profeta e rinvenute nel palazzo di Topkapi.

I talebani che, ricordiamo, significa letteralmente “studenti”, vantano un passato più antico dell’ISIS e ovviamente una genesi differente. Quando, nel 1996, gli studenti guerrieri si insediarono a Kabul, mostrarono al mondo un vessillo bianco, un colore che richiamava la purezza di quello che sarebbe stato il loro governo. La scelta di adottare il bianco non era però casuale, giacché fu lo stesso colore usato da uno dei califfati fondati dopo la morte di Maometto, il califfato Omayyade.

L’anno dopo, nel 1997, i talebani sovrapposero al fondo bianco i caratteri della Shadada, arrivando a quello che ancora oggi è uno dei loro simboli di appartenenza.

La dominazione Omayyade fu, inoltre, rilevante per quella che l’Islam riconosce come la profezia “Ghazwa-e-Hind” secondo la quale l’Islam avrebbe regnato sull’India e i paesi circonvicini. Contrariamente ai programmi dell’ISIS, che sognava un califfato centrato sull’Iraq, i talebani hanno sempre sostenuto il compimento di tale profezia e dunque un nuovo califfato islamico in India, Pakistan e Afghanistan.