Operazione Bastiglia, l’Entebbe rhodesiana

(di Tiziano Ciocchetti)
11/12/17

La situazione in Rhodesia – nel 1980 prenderà il nome di Zimbabwe - a Pasqua del 1979, era estremamente critica. Le operazioni militari si erano notevolmente intensificate in seguito alla stipula di un accordo politico tra il primo ministro rhodesiano Ian Smith e tre capi neri locali; ormai il passaggio ad un governo a maggioranza di colore stava per diventare realtà: tuttavia sia Joshua Nkomo, leader dello ZIPRA (Zimbabwe People’s Revolutionary Army), sia Robert Mugabe, leader dello ZANLA (Zimbabwe African National Liberation Army) si erano rifiutati di partecipare alle elezioni, e anzi avevano minacciato di impedirle con un intervento armato.

Proprio in merito a queste minacce, Il servizio informazioni rhodesiano, aveva segnalato la presenza di una grossa forza militare, agli ordini di Nkomo, schierata nello Zambia e pronta per una invasione su larga scala.

Per fronteggiare questa azione, le forze rhodesiane furono dispiegate immediatamente lungo il confine per controllare i punti di attraversamento e respingere eventuali incursioni.

Malgrado queste precauzioni, il governo di Ian Smith ritenne necessario eliminare la minaccia dell’invasione con una decisa azione preventiva: bisognava colpire il vertice dello ZIPRA.

Tuttavia le probabilità di sferrare un attacco efficace nel centro della capitale dello Zambia, Lusaka, erano assai scarse. Nkomo viveva in un sobborgo a soli due chilometri da una serie di caserme dell’esercito e la sua abitazione si trovava a pochi metri dalla residenza ufficiale del presidente dello Zambia, fortemente sorvegliata da guardie armate a cui si aggiungevano quelle personali del leader dello ZIPRA.

L’incarico di effettuare l’incursione venne affidato al 1° reggimento SAS (Special Air Service). La nascita delle forze speciali rhodesiane risalgono al 1950, allor quando il maggiore inglese Mike Calvert arrivò nello Stato africano al fine di reclutare personale per contrastare la guerriglia comunista in Malesia; i volontari sarebbero entrati a far parte della squadra C del SAS conservando le mostrine rhodesiane, la ferma in Malesia durò due anni. All’inizio del 1960 le Forze Armate della Rhodesia erano in espansione e un piccolo gruppo del reparto originario ricevette l’incarico di selezionare e addestrare le reclute per la creazione di un corpo speciale, dopo un corso di aggiornamento presso il 22° reggimento SAS in Gran Bretagna.

Quando il gruppo rientrò in patria si decise di formare sei squadre da combattimento Sabre, con un organico di 184 uomini. Dopo la dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte della Rhodesia, alla fine del 1965, il SAS cominciò le operazioni contro le formazioni di guerriglieri, effettuando incursioni del tipo mordi e fuggi nei paesi confinanti: Mozambico, Zambia e Botswana.

La complessità dell’operazione rendeva necessario l’utilizzo di una forza d’attacco elastica, dotata di molta potenza di fuoco nonché di elevata mobilità. Per risolvere quest’ultimo problema si decise di arrivare a Lusaka con propri mezzi di trasporto, di notte. I veicoli impiegati sarebbero stati i Land Rover Sabre, mezzi speciali del SAS, residuati del periodo anteriore all’inizio della guerra nella boscaglia. Dipinti in verde scuro a chiazze gialle avrebbero potuto, con un po’ di fortuna, essere confusi con le jeep della polizia zambiana.

Un traghetto commerciale, il Sea Lion, avrebbe trasportato le Land Rover attraverso il lago di Kariba fino allo Zambia, e dalla riva gli uomini del SAS avrebbero proseguito lungo un sentiero accidentato e una strada in terra battuta sino all’arteria principale per Lusaka, che li avrebbe portati dentro la città. Prima di arrivare alla capitale, però, gli incursori avrebbero dovuto attraversare il ponte sul fiume Kafue che, secondo le informazioni, era presidiato da un forte contingente dell’esercito dello Zambia, con supporto di artiglieria pesante. Se gli uomini del SAS fossero stati costretti ad aprirsi la strada combattendo, la misura delle perdite sarebbe stata determinante nella decisione se proseguire o abbandonare la missione.

Dopo le istruzioni, i distaccamenti d’assalto furono sottoposti a un faticoso addestramento che teneva conto dei minimi dettagli.

Le Land Rover, dopo essere state messe a punto per il viaggio di 200 km fino a Lusaka, vennero imbarcate sul traghetto; la colonna era composta da sette veicoli con 42 uomini a bordo.

Contemporaneamente all’attacco all’abitazione di Nkomo, erano previste altre due azioni: contro il Centro di Liberazione che riuniva diversi gruppi nazionalisti sudafricani, e contro un deposito di armi dello ZIPRA.

La forza d’attacco alla fine fu pronta. Si aspettava soltanto il via libera da parte di un agente, infiltrato a Lusaka, incaricato di confermare la presenza di Nkomo nel suo quartier generale. L’ordine in codice per l’inizio dell’operazione venne trasmesso agli uomini del SAS, in attesa sul traghetto, la sera del 12 aprile 1979. Nonostante non fosse ancora buio il maggiore David Dodson, comandante della forza d’attacco, decise comunque di arrischiarsi a sbarcare nello Zambia senza attendere il mattino successivo. Il traghetto si avvicinò a una spiaggia deserta e una piccola avanguardia sbarcò per prima per costituire una testa di ponte.

L’attacco all’obiettivo era prefissato per le ore 2 del 13 aprile; la colonna, una volta completate le procedure di sbarco, si mise in viaggio verso Lusaka. I mezzi procedevano con i fari accesi e la luna piena aiutava gli autisti a guidare sulla pista in terra battuta. Spesso era necessario attraversare sentieri inondati dal fango, quando ciò accadeva gli uomini a bordo dovevano continuamente spostare il loro peso da un lato all’altro dei veicoli onde evitare che le jeep si impantanassero del tutto.

Nonostante questi accorgimenti un veicolo andò in panne e il comandante dispose che i sei uomini che erano a bordo rimanessero indietro. Questo voleva dire cancellare l’attacco al deposito d’armi, che doveva essere condotto proprio da loro. Il resto della forza riprese la marcia nell’oscurità. Era molto in ritardo rispetto ai tempi previsti, tuttavia il maggiore Dodson decise di proseguire nonostante il rischio di essere catturati a Lusaka nelle prime luci dell’alba.

Quando furono in vista del ponte di Kafue, le GPMG MAG calibro 7,62x51 vennero fissate ai sostegni e gli uomini tolsero la sicura ai fucili FN FAL. A questo punto arrivò la sorpresa. Nulla sembrava ostacolare la loro avanzata: né truppe dello Zambia, né artiglieria, né posti di blocco. La forza d’attacco si affrettò ad attraversare il ponte e si diresse verso Lusaka. C’era molto più traffico del previsto e gli incursori si erano dipinti completamente il volto con lucido nero per evitare che i loro tratti europei venissero notati nelle prime luci dell’alba.

Quando i 36 uomini del SAS entrarono nella capitale zambiana erano le 2.40. Il tenente Rich Stannard, che doveva guidare l’attacco al Centro di Liberazione, era in coda alla colonna e con due jeep prese la strada che portava all’obiettivo, mentre gli altri proseguivano verso l’abitazione di Nkomo.

I semafori erano in funzione, e la colonna si fermava a ogni rosso per tenere insieme il convoglio per evitare di destare l’attenzione dei passanti. La casa di Nkomo era ormai vicina; il bungalow era protetto da sguardi indiscreti grazie a una rete metallica di protezione coperta da tela grezza. La colonna si arrestò per fare il punto della situazione e il comandante diede le ultime istruzioni, poi i veicoli partirono a grande velocità, due in una direzione e il terzo in un’altra. Erano le 2.55. Il capitano Martin Pearse aveva il compito di aprire un varco nella rete di protezione e guidare un distaccamento dentro l’abitazione per eliminare Nkomo. Il maggiore Dodson e un sergente maggiore dovevano irrompere attraverso i due cancelli principali, e colpire il bungalow sul lato con bombe a mano e razzi controcarro RPG-7 lasciando che Pearse combattesse all’interno.

Sei uomini sarebbero rimasti di riserva su un veicolo per impedire qualsiasi interferenza esterna. Il veicolo di Pearse si avvicinò rombando ma, ancor prima che si fermasse, una sentinella iniziò a sparare da dietro la rete di protezione. Il mitragliere di Pearse rispose al fuoco con la sua MAG sparando all’impazzata contro la postazione di guardia ed esaurendo in pochi secondi il caricatore a nastro da 50 colpi.

Pearse scese dalla jeep e si diresse verso la rete per collocare una carica esplosiva in modo da aprire un varco. Applicare la carica si rivelò impresa assai complicata: così estrasse una pinza tagliafili per praticare un’apertura sufficiente al passaggio di un uomo col suo equipaggiamento. Pearse attese che venisse soppresso il fuoco delle guardie, dopo di che si introdusse con due uomini nel giardino.

Sull’altro lato dell’abitazione i due cancelli frontali erano stati abbattuti e gli uomini del SAS sparavano contro la casa, i veicoli e qualsiasi cosa si muovesse. La reazione non si fece attendere ma gli incursori ebbero presto ragione della resistenza. Le guardie erano una trentina: 15 furono abbattute mentre le altre preferirono mettersi al riparo.

In seguito al lancio di una bomba a mano al fosforo bianco nell’edificio principale, l’atrio andò in fiamme. Le pareti e le paratie in legno cedettero e tutte le luci si spensero. L’incendio si estese al resto dell’abitazione che si trovò avvolta dal fumo e dalle fiamme.

Dal palazzo presidenziale, situato a pochi metri, le guardie cominciarono a sparare e i loro proiettili traccianti segnarono di rosso e di verde il cielo notturno. Tuttavia l’intervento si rivelò pressoché nullo: nessuno osò avvicinarsi agli incursori.

Negli altri punti della capitale, gli abitanti erano scesi in strada allarmati dal fragore degli spari e delle esplosioni. Il capitano Pearse, intanto, era riuscito ad arrivare sotto alla finestra della camera da letto di Nkomo, ma l’idea di lanciare all’interno una bomba al fosforo risultò irrealizzabile a causa della presenza di una massiccia inferriata. Si diresse quindi alla porta posteriore, fece saltare la serratura e si precipitò all’interno con la sua squadra. Sbucarono a metà di un corridoio con quattro porte, avevano solo 15 minuti a disposizione per portare a termine la loro missione. Con l’ausilio di una torcia, fissata sotto il suo AKM, Pearse crivellò di colpi tutti i possibili nascondigli nella camera da letto di Nkomo. Tuttavia del leader dello ZIPRA nemmeno l’ombra. Anche il bagno e il ripostiglio furono perquisiti a fondo, ma senza alcun risultato.

Quando gli uomini del SAS fecero irruzione nell’ultima stanza una guardia aprì il fuoco da sotto il letto e un’altra sparò dall’interno di un armadio. Il capitano Pearse e un caporale gettarono nella stanza delle bombe a mano, mentre il terzo uomo della squadra lasciava partire una lunga raffica dalla sua mitragliatrice leggera RPD. Pearse e il caporale entrarono poi nella stanza e uccisero i due soldati nemici. Bastiglia era stata espugnata, ma Nkomo non era in casa. L’informatore che lo teneva d’occhio l’aveva visto entrare in casa, e di lì non era più uscito.

In seguito Nkomo (foto) raccontò di essere fuggito attraverso la finestra del bagno. La versione più verosimile è che egli fosse uscito di soppiatto perché messo sull’avviso da una spiata. I rhodesiani si erano avvicinati al leader dello ZIPRA più di tutte le altre volte, ma questo fu l’ultimo attentato contro la sua vita.

L’intera operazione era durata 25 minuti. Il piano era talmente dettagliato che tutti sapevano che cosa fare in ogni momento, e non era stato necessario dare disposizioni durante l’attacco. Le prime reazioni delle forze zambiane vennero intercettate dagli operatori radio del SAS, mentre le squadre stavano lasciando le rovine del bungalow per raggiungere il punto di riunione all’angolo fra le due strade. Si riorganizzarono rapidamente e ben presto erano sulla strada del ritorno. Mentre si allontanavano, incrociarono diversi veicoli militari che si dirigevano verso l’abitazione di Nkomo.

Le jeep viaggiavano sull’altro lato della carreggiata rispettando i limiti di velocità e non destarono alcun interesse da parte dei passanti. Loro destinazione era il punto di riunione fuori città con il tenente Stannard. Ma Stannard proprio in quel momento stava attaccando con i suoi uomini il Centro di Liberazione. Le luci stradali erano state spente e le sirene antiaeree risuonavano dappertutto, in quanto le autorità dello Zambia temevano che i rhodesiani si accingessero a effettuare un attacco aereo.

Nel frattempo Stannard e la sua squadra di incursori avevano occupato il nucleo operativo del Centro; posizionarono le cariche esplosive e le fecero brillare. Un grande fungo arancione si gonfiò nel cielo seguito da un rombo fragoroso: il Centro di Liberazione era saltato in aria.

Per gli uomini del SAS era giunto il momento di abbandonare il territorio zambiano. Erano le 4 del mattino e c’era ormai abbastanza luce: nel lungo viaggio verso sud nessuno li ostacolò. I veicoli attraversarono di nuovo il ponte di Kafue senza problemi, recuperarono i sei uomini che avevano lasciato indietro con la jeep in panne, giunsero al traghetto e si imbarcarono.

(foto: web)