La Guerra Civile in Rhodesia (1965 – 1979): premesse storiche e armamenti coinvolti

(di Manuele Serventi Merlo)
07/04/17

Grazie all’intuito commerciale di Cecil Rhodes, la Gran Bretagna, nella seconda metà dell’800, acquisì il controllo delle aree africane poste ad ovest del Mozambico ed a nord del Transvaal che diverranno più tardi conosciute con il nome di Rhodesia. Successivamente, i discendenti dei colonizzatori di queste nuove terre di Sua Maestà Britannica, per i servizi resi alla madrepatria nel corso della Seconda Guerra Mondiale, si videro riconosciuti nel dopoguerra larghi margini di autonomia, visti come preludio alla successiva definitiva indipendenza della colonia.
Indipendenza alla quale però si opponeva l’allora governo di Londra, guidato dal premier Harold Macmillan, in quanto contrario ad accordarla alle colonie che praticavano quotidianamente la discriminazione razziale come nel caso della Rhodesia. In Rhodesia, infatti, accanto ad una minoranza bianca per lo più autoctona e di origine inglese che dominava e guidava la realtà locale, sussisteva una ben più numerosa comunità nera oggetto di una rigida politica di separazione delle razze da parte della prima. Comunità nera che, intuendo lo sviluppo degli eventi, diede il via, già nella seconda metà degli anni ’50, a significativi episodi di protesta per ottenere maggiori diritti.
Incuranti delle richieste di questo ampio strato della società, i rhodesiani bianchi non mutarono atteggiamento e giunsero unilateralmente a proclamare la loro indipendenza dal governo britannico l’11 novembre 1965. A capeggiarli era Ian Smith del Fronte Rhodesiano (ex aviatore militare, nel corso dell’ultima guerra mondiale aveva combattuto anche in Italia venendo abbattuto) ampiamente supportato dai suoi connazionali alle lezioni politiche. Punto centrale del suo pensiero politico era la crescita separata delle varie popolazioni presenti nel Paese che, nella vita pratica, si concretizzava in un apartheid sociale della comunità nera. La dichiarazione di indipendenza unilaterale dalla Gran Bretagna della Rhodesia meridionale creò così ulteriore instabilità nel Continente nero, dato il contemporaneo conflitto congolese in corso, generando almeno tre conseguenze significative.

La prima conseguenza fu l’immediata rescissione di qualsivoglia rapporto politico/militare con l’Inghilterra; la seconda fu la condanna dell’ONU e l’approvazione di una serie di sanzioni economiche a cui non aderirono Sudafrica, Portogallo, Iran e Israele. Il terzo risultato della dichiarazione di indipendenza unilaterale fu, infine, lo sviluppo della guerriglia portata avanti da due gruppi ribelli rivali neri con radici tribali differenti. I gruppi in questione erano lo Zimbabwe African People’s Union (ZAPU) (guidato da Joshua Nikomo) e lo Zimbabwe African National Union (ZANU) nel quale militava già allora, come dirigente, Robert Mugabe (foto).
Aveva così inizio un lungo conflitto asimmetrico molto feroce nel quale si affrontavano per la prima volta africani bianchi contro africani neri.

Lo ZAPU e lo ZANU organizzarono così le loro componenti armate. Nacquero in questo modo lo ZANLA (Zimbabwe African National Liberation Army), riferente militare dello ZANU, molto diffuso su tutto il territorio rhodesiano soprattutto nelle zone rurali, sostenuto dal FRELIMO operante in Mozambico, infine lo ZIPRA (Zimbabwe People’s Revolutionary Army) per lo ZANU, che possedeva le sue basi logistiche soprattutto nel confinante Zambia. Se sul piano della qualità degli armamenti impiegati la formazione militare dello ZANU risultava nettamente inferiore rispetto alla sua controparte, prima della fine della guerra riuscì tuttavia a raggiungere la notevole consistenza di circa 20.000 combattenti, supportati ed addestrati da un gran numero di consiglieri militari sovietici, cubani e tedeschi dell’est. Lo ZIPRA, invece, anche grazie agli appoggi esteri di cui godeva, riuscì organizzare qualche piccolo reparto motorizzato in vista di un’eventuale offensiva convenzionale che, tuttavia, mai avvenne nel corso della guerra. Per cui, sul piano bellico, la guerriglia nera ricorse molto spesso all’impiego di mine, trappole esplosive e imboscate.

Ai ribelli si contrapponevano le forze regolari rhodesiane, armate e strutturate secondo il classico modello britannico. Numericamente assai limitate - nel 1970 composte da solo 3.400 uomini - crebbero fino al punto di contare nei loro ranghi, nel 1978, 11.000 effettivi, ai quali bisognava aggiungere circa 40.000 riservisti (reclutati sostanzialmente tra la sola popolazione bianca del paese).

Nello specifico, le forze armate erano articolate sul Rhodesia Regiment con 8 battaglioni per un totale di circa 800 uomini, tutti bianchi, ai quali si affiancavano il Light Infantry, formato da 1000 militari, inquadrati in 3 commando ed un gruppo armi di supporto, ed il Rhodesia African Rifles (foto) con 700 uomini, in prevalenza neri comandati da ufficiali bianchi.

Accanto alle formazioni militari sopra citate operava la British South Africa Police, formata da 10.000 uomini e appoggiata anche dai riservisti. Ma tra le formazioni militari rhodesiane figuravano altresì le temute ed agguerrite forze speciali come il C Squadron del SAS – articolato su squadre di 60 uomini ciascuna - rinominato nel giugno 1978 (Rhodesia) SAS Regiment, protagonista nel corso del conflitto di audaci e spettacolari colpi di mano. A questi si aggiungevano gli altrettanto celebri Selous Scouts. Il reparto in questione, formato da appena 1.000 militari, era specializzato nell’eliminazione clandestina dei ribelli dentro e fuori i confini della Rhodesia ed era composto da personale nazionale ed estero altamente qualificato dopo un durissimo iter addestrativo presso un apposito centro sulle rive del Lago Kariba.

Tra le formazioni speciali rhodesiane si potevano altresì annoverare i c.d. Grey’s Scouts. Queste erano particolari truppe a cavallo predisposte per il controllo del territorio, vennero formate nel 1976 sulla scia di analoghe esperienze fatte dai portoghesi in Angola e arrivano ad includere tra le loro fila anche numerosi volontari stranieri (in special modo Sudafricani ma, in qualche caso, anche Americani reduci dal Vietnam).

Per quanto concerne l’armamento, i reparti rhodesiani avevano in dotazione prevalentemente fucili FN FAL e H&K 33 ceduti dai portoghesi, ma anche L1A1 britannici, mitragliatrici FN MAG, mortai da 81 mm ed altre armi risalenti alla Seconda Guerra Mondiale come i Lee-Enfield, gli Sten e i Bren. Solo a guerra civile iniziata giunsero Colt M-16 e diversi esemplari di AK-47 di preda bellica.

Assai ridotto era il parco artiglierie, in quanto poteva contare soltanto su pochi obici da 105 mm, così come le unità blindate che impiegavano unicamente veicoli da ricognizione Ferret assieme a blindo Panhard AML-90 (foto). I militari rhodesiani si servirono pertanto di un vasto parco di mezzi ruotati di origine sia civile che militare modificati per resistere alle esplosioni di mine o di altre trappole esplosive. Per tale scopo vennero impiegati Mercedes Unimog, Land Rover, camion Bedford e copie del Mercedes Benz UR-416.

L’esercito rhodesiano poté contare su una vera componente solamente nel 1979, a guerra oramai finita, quando ricevette 8 carri sovietici T-55 sequestrati dai Sudafricani da un carico via mare inviato da Gheddafi al Mozambico.

Accanto alle forze terrestri, i rhodesiani potevano affiancare un’aviazione militare altrettanto valida ed efficiente seppur dotata di materiale datato. De Havilland Vampire FB.9 e T.7 biposto, ceduti dal Regno Unito negli anni ’50, Camberra B.2 e T.4 ne formavano il nucleo principale. A questi si aggiunsero, nel 1962, i ben più moderni Hawker Hunter FGA 9, seguiti da altri mezzi più adeguati al ruolo COIN. Nel 1976 arrivarono così 17 bimotori Cessna Reims 337 Skymaster, molto apprezzati per la loro agilità e versatilità di armamento.

La componente elicotteri si avvaleva, invece, dell’apporto di 34 elicotteri Alouette III (foto) e UH-1 Huey. Tali mezzi, in combinazione con i C-47 Dakota, si dimostrarono molto utili per il lancio di paracadutisti, per traporto di rifornimenti e di unità d’assalto, infine – non meno importante – nel MEDEVAC. Tutte attività che venivano poste in essere attraverso formazioni composite di Cessna Reims 337, elicotteri armati e Dakota dette gergalmente "Fireforce". Per tali compiti, generalmente, gli Alouette venivano armati con una mitragliera da 20 mm MG – 151/20 o Browning da 7,62 mm per attacco al suolo. Se operavano in versione da trasporto gli elicotteri portavano a bordo una sezione di 4 militari armata con una FN MAG o 2 Browning.

A dare supporto aereo ravvicinato ci pensavano gli Skymaster armati di razziere 8 che avevano sostituito in questo ruolo i Percival Provost Mk-52, destinati normalmente all’addestramento. Supporto aereo che, talvolta, veniva fornito anche dagli Hawker Hunter, nel caso in cui bisognava ingaggiare forti gruppi di nemici. Per situazioni di questo genere, nel 1979, solitamente si procedeva ad assemblare Fireforce più piccole per formare una “jumbo” Fireforce supportate a terra da soldati trasportati sul luogo da camion o veicoli ruotati leggeri.

Generalmente i soldati coinvolti nelle Fireforce erano i Rhodesian African Rifles o quelli appartenenti al Light Infantry. Nel corso della guerra, agli iniziali Alouette, vennero affiancati i Bell 205 per le loro migliori capacità di trasporto. Per quanto concerne la componente aerea, invece, vennero acquisiti nel corso del conflitto anche Britten Norman Islander, Aermacchi Lockheed AL 60, Cessna 185 Kiwit. Pure gli italiani Siai SF-260 vennero comperati dai rhodesiani tramite triangolazioni commerciali con Belgio e Sudafrica. Per l’impiego bellico dovettero però essere modificati in Rhodesia con l’aggiunta di appositi travetti alari.

(foto: web /John Wynne Hopkins)