Il Guglielmo Marconi, ovvero quando Andreotti voleva far entrare l’Italia nel club nucleare

(di Tiziano Ciocchetti)
27/08/19

Il 3 luglio del 1959 l’Onorevole Giulio Andreotti, appena insediato a Palazzo Baracchini (sede del Ministero della Difesa), illustra al Senato della Repubblica Italiana il programma di investimenti finalizzati all’ammodernamento delle Forze Armate.

Nel Documento in cui si fa riferimento alla Legge Navale per la costruzione di nuove unità, Andreotti annuncia che la Marina Militare avrebbe acquisito – primi in Europa - un sottomarino a propulsione nucleare, di concezione nazionale.

Nel momento in cui, il Ministro della difesa metteva a conoscenza dell’Aula parlamentare il progetto del battello, denominato Guglielmo Marconi (il secondo sarebbe stato battezzato Enrico Toti), i lavori – sistemi di navigazione, di combattimento e apparati di comunicazione - erano già in corso.

Il 22 dicembre 1962, nel corso del varo, a Castellammare di Stabia, del nuovo incrociatore lanciamissili Caio Duilio il Ministro Andreotti dichiara che: noi desideriamo portare avanti il più presto possibile, anche quel progetto che non è ambizione, a è necessario, della costruzione di un sottomarino nucleare italiano che andrà incontro alle aspirazioni della nostra Marina e rappresenterà altresì un passo avanti verso quel progresso tecnico a cui tutti dobbiamo cooperare.

Tuttavia, proprio negli ambienti della nostra Marina Militare, si formano correnti di pensiero fortemente ostili all’acquisizione di sottomarini nucleari. La perplessità principale riguarda la possibilità di poter immettere in servizio solamente due unità, a causa delle scarse risorse finanziarie, nonché la mancanza di una dottrina nazionale specifica per l’impiego di sommergibili nucleari, nel contesto delle esigenze della flotta. Inoltre sussistono forti dubbi circa le struttura logistiche che dovrebbero supportare queste unità, del tutto inesistenti e altamente costose I vertici della Marina appaiono fortemente scettici circa la possibilità di sviluppare una nuova classe di sommergibili a propulsione nucleare.

Ovviamente un programma del genere non potrebbe nascere senza la stretta collaborazione degli Stati Uniti. Infatti solo Washington potrebbe fornire la tecnologia necessaria per progettare e sviluppare battelli nucleari. Si viene ad instaurare, quindi, una sinergia non solo industriale ma soprattutto diplomatica tra, l’allora, Segretario alla Difesa americano Robert McNamara e Giulio Andreotti (condividendo non poche informazioni secretate). Quest’ultimo, nel settembre del 1963, annuncia in Parlamento che l’Italia procede nel suo programma nucleare di sottomarini d’attacco.

Nonostante la forte opposizione dei vertici della Marina e le grandi difficoltà nell’accedere a tecnologie in possesso degli americani, Andreotti prosegue per la sua strada conscio della rivoluzione militare portata dai sottomarini a propulsione nucleare, e quindi del ruolo preminente che, grazie a un loro eventuale schieramento, l’Italia potrebbe assumere nel Mediterraneo.

Proprio per contrastare questa eventualità, nell’ultima parte del 1963, inizia l’azione di contrasto delle nazioni facenti parte della NATO, come la Gran Bretagna e la Francia, ma anche da parte dei paesi dell’area scandinavo-baltica e ovviamente quelli che si affacciano sul Mediterraneo Orientale, fortemente interessati che l’Italia non diventi una potenza regionale.

Per riportare la pace tra gli alleati della NATO, gli Stati Uniti fanno ricorso al McMahon Act, una legge che salvaguarda le applicazioni di tecnologie nucleari americane da parte di paesi stranieri. Con tale provvedimento viene a cessare ogni possibilità di sviluppo del progetto Marconi.

Come se non bastasse, il Pentagono cominciò a bollare le insistenze italiane come parte di una strategia volta a restituire onorabilità alla Marina, come se l’acquisizione di un sottomarino nucleare contribuisse a "riscattare gli scarsi risultati" ottenuti nell’ultimo conflitto.

Tuttavia non si può neanche nascondere il fatto che Washington poco si fidasse dell’Alleato italiano, troppo fresco era ancora il ricordo dell’8 settembre.

Nel 1963, inoltre, si registra un significativo miglioramento delle relazioni tra Roma e Mosca, insieme alla sempre più forte rappresentanza politica del PCI, le cui frange si potevano sempre trasformare, nel caso di una crisi tra i due blocchi, in partigiani filo sovietici. Appare quindi non del tutta ingiustificata la diffidenza americana, adducendo alle forze armate italiane una scarsa capacità combattiva che, in situazioni estreme, avrebbe potuto portare la dirigenza politica a un rovesciamento di campo.

Alla fine Andreotti si deve piegare al diktat degli americani, mentre i francesi da li a poco inizieranno a sviluppare il loro programma nucleare e successivamente, nel 1966, usciranno dalla NATO.

Foto: U.S. Navy