Il galeone d'oro

04/07/17

Mar dei Carabi 2 novembre 1641, in questo giorno consacrato dalla pietà dei vivi al culto dei morti, una nave carica d’oro e d’argento si inabissò con il suo carico di uomini e di merci preziose. Non fu certamente il primo né l’ultimo di una serie di disastri marittimi accaduti in quelle acque da sempre temute dai marinai di tutto il mondo. Acque cristalline, con sfumature di colori affascinanti, ma che nascondono punte di corallo capaci di spezzare le chiglie più robuste e su cui si scatenano gli imprevedibili uragani, che nessuna nave è in grado di fronteggiare.

Nuestra Senòra de la Concepcion era la nave ammiraglia di una piccola flotta, formata da otto vascelli fatti costruire a Vera Cruz, da Diego Pachego duca di Escalona, nominato nel 1640, da Filippo IV di Spagna (1605-1665), vicerè del Messico. La potenza marittima spagnola ha iniziato la sua nemesi discendente, la flotta reale conta poco più di 25 navi in grado di effettuare i collegamenti con il Nuovo Mondo, ma il nuovo governatore del Messico si adoperò presto per colmare almeno in parte questa deprecabile situazione. Tuttavia, costruire in un solo anno otto galeoni e una fregata, risulta per i cantieri messicani uno sforzo impari, che si riflesse, come vedremo, con conseguenze disastrose sulla sicurezza delle imbarcazioni e degli equipaggi.

Il 23 luglio 1641, la flotta prese il mare in direzione di Cuba, dove si sarebbe incontrata, prima di attraversare l’Atlantico, con la squadra denominata “Armada de Barlovento”, era un'istituzione militare spagnola creato per proteggere le navi spagnole contro gli attacchi di pirati, corsari e altre potenze europee. In tutto 31 navi pronte a veleggiare verso l’Europa. Lasciarono l’Avana soltanto il 13 settembre, dopo feste e balli organizzati per salutare le numerose autorità che rientravano in Spagna. La stagione dei cicloni era ormai alle porte, un primo segnale si verificò già il secondo giorno di navigazione, quando la nave ammiraglia fu costretta a rientrare precipitosamente nel porto di Cuba perché aveva le stive piene d’acqua. Riparata alla meglio, in soli dieci giorni, la Nuestra Senòra de la Concepcion, riprese il mare, per giungere all’appuntamento con l’uragano. Tre navi del convoglio colarono subito a picco, altre andarono a schiantarsi contro la punta della Florida. Nuestra Senòra de la Concepcion fu disarmata dai flutti e dopo un’atroce agonia, si schiantò su quella formazione corallina che i piloti spagnoli chiamavano (Abreojos - tieni gli occhi aperti), la più terribile di tutta la zona, e che per i numerosi naufragi di navi spagnole che trasportavano argento verso l’Europa fu denominata anche “Banco d’Argento”. Delle 525 persone che si trovavano a bordo della nave ammiraglia soltanto 200 riuscirono a sopravvivere. L’oro, l’argento e tutte le ricchezze che trasportava si inabissarono.

Passarono gli anni e la storia del galeone carico di tesori divenne leggenda, i pirati ed i corsari delle Antille si affannarono a cercarlo, ma soltanto William Phips, carpentiere di Boston divenuto contrabbandiere e che aveva conosciuto ad Hispaniola uno dei superstiti del naufragio, il quale gli aveva fornito una mappa dettagliata del tesoro, raggiunse il “Banco d’Argento” e localizzò il relitto. Non avendo a disposizione i mezzi per finanziare il recupero, dovette viaggiare a Londra dove trovò dei soci per finanziare l’impresa, stipulando un contratto che assicurava alla corona britannica un decimo di quanto fosse stato recuperato. Con due navi, il James and Mary di duecento tonnellate, armata di ventidue cannoni, e l’Herry of London più piccola e veloce, tornò sul “Banco d’Argento”. Difficile descrivere le fatiche che questa caccia al tesoro procurò alle navi, ai marinai e ai sommozzatori, ma il risultato fu tale che tutti li scordarono: lingotti e monete, un cofano pieno di perle, rubini, diamanti, gioielli, statue e coppe di cristallo; il tesoro ripagò i cercatori delle loro fatiche e i finanzieri dei capitali impiegati. Tuttavia si sapeva che quello che era ritornato alla luce non era che una piccola parte di quanto trasportava il galeone scomparso.

Tre secoli dopo, nel luglio del 1968, un’altra spedizione raggiunge la zona del naufragio. Jacques Cousteau (1910-1997) con la sua Calypso inizia la ricerca del famoso relitto. Ora si possono effettuare ricerche subacquee con attrezzature e strumentazioni moderne ed appropriate. Un primo ritrovamento è un cannone, simile a quelli che armavano i galeoni della flotta dell’oro. Successivamente furono portati in superficie porcellane cinesi, numerosi vasi e tazze, oggetti fragili ma intatti. Non dimentichiamo che all’epoca delle flotte dell’oro, altri galeoni trasportavano merci dalle Filippine che poi trasbordati arrivavano in Europa. Dopo settimane di ricerche emersero un pacco di sigilli di piombo, si sa che i marinai hanno sempre posto dei sigilli sui pacchi d’oro, e questo ritrovamento sembrerebbe il segnale per il bottino più atteso, l’oro. I sigilli riportano dei fiori di giglio, e il fiore di giglio è stato emblema comune dei francesi e degli spagnoli. Alla fine un peso di piombo che veniva utilizzato per le bilance della nave si rilevò decisivo nel prosieguo della spedizione. Nell’epoca in cui questo tipo di peso era in uso, le Camere di Commercio delle grandi nazioni marittime verificavano ogni cinque anni i pesi trasportati dalle navi e vi iscrivevano sopra la data dell’ultima ispezione: 1756, la data apparve chiara, un secolo di troppo, la caccia al tesoro della Nuestra Senòra de la Concepcion era finita, anche la spedizione Cousteau si dovette arrendere alla realtà.

Le rotte dei mari, e quelle dei cacciatori di tesori, sono immutabili, come l’alba ed il tramonto del sole; un giorno qualcun altro verrà spinto dalla fantasia dell’oro e del tesoro della Nuestra Senòra de la Concepcion, e si porterà sul “Banco d’Argento”, in un’affannosa corsa per il recupero del suo prezioso carico. Il relitto del galeone d’oro è ancora protetto dall’oceano, ed i suoi tesori giacciono in fondo al mare, ed appartengono a Nettuno.

Mario Veronesi

 

Bibliografia

1) Jacques Cousteau – Pianeta Mare enciclopedia di scienza e di avventura – vol 1-12 – Gruppo Editoriale Fabbri Milano 1982

2) Claudio Bonifacio – Galeoni e tesori sommersi – Mursia 2010

(foto: web)