Il cittadino soldato: la coscrizione in Italia in epoca napoleonica

(di Paolo Palumbo)
28/08/18

In questi giorni si sente molto parlare di un possibile ripristino della leva obbligatoria al fine di responsabilizzare ed educare i giovani al concetto di rispetto e dovere verso lo Stato. La legge sulla coscrizione in Italia non è mai stata depennata, bensì “sospesa” nel senso che può essere comunque rinnovata in caso di necessità. L’opinione pubblica è apparsa divisa sull’utilità di una simile reintroduzione: alcuni sostengono che sia impensabile per lo Stato sobbarcarsi nuovamente le enormi spese per il mantenimento di un esercito non professionista; altri pensano che obbligare i giovani ad appena sei mesi di vita militare non abbia alcun senso. Una netta maggioranza invece spera che la naja riporti sulla retta via una gioventù giudicata debole e priva di valori.

La coscrizione militare ha una sua storia e nasce da un’esigenza importante e superiore a qualsiasi calcolo politico o educativo, vale a dire la difesa della patria. Questo concetto si colloca in un periodo di grandi mutamenti della storia europea e che forse vale la pena essere rispolverato; per fare questo dobbiamo spostarci nella vicina Francia, nel 1790, immediatamente dopo i turbolenti giorni della Rivoluzione.

Dalla patria in pericolo alla legge Jourdan del 1798

Il 14 luglio 1789 il popolo francese provocò un terremoto le cui onde sconvolsero per sempre il panorama politico europeo per oltre un secolo. Il potere gestito dalle dinastie secolari e l’impenetrabile muro eretto tra le classi sociali ricevette una spinta dirompente che abolì sulla carta l’odiosa emarginazione di quella cospicua fetta di mondo che non rispondeva ai requisiti delle classi superiori, dei nobili e degli aristocratici. Il governo rivoluzionario era però debole, sebbene godesse del supporto trascinante della popolazione. Tutti in seno alla Costituente erano edotti sul ruolo fondamentale che avrebbe giocato l’esercito, ma il vero sentore dell’importanza di un armata nazionale lo si ebbe solo quando la stessa Parigi fu minacciata dalle potenze straniere che, nell’agosto 1791, sottoscrissero la Dichiarazione di Pillnitz. La caotica Francia rivoluzionaria non era ancora pronta a scontrarsi ad armi pari con gli organizzati e disciplinati eserciti austro prussiani, tuttavia poteva contare su un fattore che le due monarchie contendenti non possedevano: il favore del popolo.

L’Assemblea nazionale allarmata dall’approssimarsi degli eserciti nemici valutò con attenzione la proposta di Edmond Louis Alexis Dubois-Crancé, il quale suggerì la levée en masse di almeno 300.000 uomini per difendere il suolo patrio. Il primo interrogativo fu come trovare risorse sufficienti per sostenere un simile apparato poiché in Antico Regime il mantenimento dei reggimenti poteva definirsi un affare privato e non della monarchia. Secondo argomento sul tavolo del governo era l’addestramento dei soldati, il modo in cui inserirli nei vecchi reggimenti o la possibilità di formarne di nuovi. L’idea del cittadino Dubois-Crancé avviò di fatto la coscrizione sebbene non avesse ancora l’organicità di una legge completa, ma soprattutto non coinvolgesse pienamente la popolazione. In effetti sin dai primi mesi di governo, la Francia rivoluzionaria aveva incoraggiato i cittadini nella gestione dell’ordine pubblico servendo nella Guardia Nazionale: una prestazione volontaria e senza paga somigliante più ad una polizia politica. Gli stessi militi della Guardia Nazionale funsero da bacino per il reclutamento di un’ondata successiva di volontari nel 1791, arruolati per un anno di servizio a paga doppia rispetto l’esercito regolare1. Per questi nuovi arrivi non fu previsto alcun inserimento nei reggimenti di Ancien Régime, al fine di preservarne un’identità rivoluzionaria rispetto ad un eredità monarchica ancora presente tra coloro che avevano servito Luigi XVI.

La separazione tra veterani e nuove leve durò poco giacché lo stesso Dubois-Crancé mise in atto il sistema cosiddetto dell’embrigadement, una fase primaria di quella che poi fu chiamata amalgame2. Il 23 agosto 1793 uno dei membri più eruditi della Convenzione Nazionale, Lazare Carnot, pose le basi per la legge sulla coscrizione riprendendo il principio del cittadino soldato espresso da Dubois-Crancé: tutti i cittadini non sposati, tra i 18 e i 25 anni di età o oltre, dovevano prestare servizio per la patria, senza alcuna eccezione o possibilità di sostituzione. Da un esercito di volontari si passava dunque ad un esercito di cittadini, che avrebbe rappresentato la nazione in armi. Una scelta, quella francese, che avrebbe cambiato il destino di altri eserciti ancora basati sul reclutamento volontario.

Il 20 luglio 1798 (2 termidoro anno VI) il generale Jean-Baptiste Jourdan (immagine) presentò al Consiglio dei Cinquecento una proposta di legge che in parte mutuava l’idea di Delbrel: egli richiedeva la formazione di un’armata ausiliaria di 100.000 “difensori della patria” reclutati secondo estrazione a sorte tra i giovani dai 18 ai 21 anni in tempo di pace e dai 18 ai 24 anni in caso di guerra per un ingaggio che sarebbe durato cinque anni3. Rispetto alle proposte precedenti la Jourdan-Delbrel reintroduceva l’estrazione a sorte, una pratica che tutti si erano ben guardati di legalizzare fino a quel momento. Lo stesso valeva per la regola del rimpiazzo che accordava di evitare il servizio militare a patto che l’estratto trovasse un sostituto. Entrambi i provvedimenti furono bersaglio di critica dallo stesso Delbrel il quale asserì, a ragion veduta, che l’estrazione a sorte era un metodo che poteva essere manipolato con facilità, mentre la sostituzione avrebbe creato una sorta di “esercito di mercenari” assunti da terzi.

La legge Jourdan dava così un nuovo impulso all’esercito, ciò nondimeno va ricordato che il reclutamento volontario rimaneva la pratica preferita per riempire le file dei reggimenti. Diversamente da oggi il termine “volontario” non era ben visto da tutti poiché quella che poteva sembrare una professione diveniva di fatto un rifugio per disperati. Il sistema del volontariato era, infatti, avverso a diversi membri dell’Assemblea che lo reputavano un ripiego per i diseredati senza occupazione ed il cui arrivo nell’esercito avrebbe peggiorato la condizione umana e disciplinare dell’armata4. L’avversione verso i volontari fu avvalorata dai fatti dacché, dopo le due leve del 1791 e 1792, l’organico dell’esercito entrò nuovamente in crisi e solo la legge Jourdan-Delbrel consentì il riempimento dei ranghi.

La coscrizione obbligatoria fu emendata solo una volta durante l’Impero e si rivelò una legge fondamentale sia per la Francia, ma anche per i nuovi stati “alleati” dell’Impero che erano costretti a dare il loro contributo di sangue per la gloria e la fama dell’Imperatore.

La coscrizione in Italia

Il 29 maggio 1801 l’allora Ministro della Guerra Pietro Teulié presentò al Comitato di Governo della Repubblica Cisaplina la proposta d’introdurre la legge della coscrizione per tutti i cittadini dai 18 ai 36 anni, dai quali ne sarebbero stati estratti a sorte 20.000, requisiti con la sola esclusione dei figli unici, vedovi con prole ed inabili, tutti con la possibilità di rimpiazzo5. La leva obbligatoria fu mal recepita anche da chi pensava che l’Italia non fosse avvezza al mestiere delle armi e che la cosa migliore fosse comunque appoggiarsi alla più potente armata francese e ai pochi contingenti polacchi presenti nella penisola. La mozione presentata dal Teulié divenne legge solo un anno dopo, grazie alla volontà del presidente Francesco Melzi d’Erril e dello stesso Bonaparte; il 13 agosto 1802 la coscrizione diventò realtà anche in Italia.

Secondo la nuova legge erano assoggettati alla leva obbligatoria tutti i giovani compresi tra i 20 e 25 anni di età. I requisiti – vincolati ad un servizio quadriennale – furono suddivisi in cinque classi, una per ciascun anno di età. Le liste definitive dovevano essere redatte dai consigli dei distretti, a cui era affidato il controllo delle “iscrizioni” preparate dalle amministrazioni comunali6. Queste sarebbero poi state esposte nelle cancellerie distrettuali per essere pubblicamente visionate ed eventualmente contestate singolarmente. L’apparato statale si mosse affinché tutta la popolazione recepisse la leva come un dovere sacro nei confronti dello Stato, ma per la maggior parte dei giovani non fu così. Arruolarsi significava assentarsi dal lavoro nei campi per lunghi periodi e soprattutto voleva dire rischiare la vita in guerra. Perciò, a parte i metodi truffaldini per evitare l’estrazione del proprio nome, la legge Jourdan contribuì ad innescare il fenomeno allarmante della renitenza, che si sommava a quello della diserzione. Molti erano i ragazzi che rifiutavano la chiamata, preferendo scappare piuttosto che indossare la divisa; altri, non appena varcata la porta della caserma, fuggivano portandosi appresso uniforme, equipaggiamento e fucile. Una volta che i soggetti si davano alla macchia risultavano irrintracciabili e si organizzavano spesso in bande che godevano della protezione dei locali. Lo strumento principale per contrastare questo fenomeno era la Gendarmeria la quale adottava spesso metodi impopolari per farsi consegnare i fuggiaschi. Le stesse amministrazioni, con l’introduzione bieca e odiosa delle taglie, si mossero affinché i renitenti rientrassero nei ranghi.

La recluta, appena arrivata al reggimento, riceveva abiti e quanto gli serviva per sopravvivere, ma non sempre le uniformi erano disponibili e quindi rimaneva per lungo tempo in abiti civili, favorendone la fuga7. D’altronde l’armée francese, che doveva servire da modello, versava in pessime condizioni, come fece notare il generale di divisione Giuseppe Lechi in una missiva indirizzata al generale Championnet il 15 ottobre 1799: “Ci si vuol dare la possibilità di vestirci? Come potete pensare che si abbia fiducia in questo allorché vediamo le truppe francesi mancare di tutto?8.

Negli anni dell’Impero la situazione si aggravò ulteriormente tanto da spingere il ministro della guerra del Regno Alessandro Trivulzio a definire la diserzione il “verme distruttore” dell’armata9. Le cifre erano preoccupanti e gli anni della guerra non potevano che acutizzare il disagio; per non parlare poi di quello che accadde durante la campagna di Spagna dal 1808 al 1814, dove la fuga dai reggimenti raggiunse una dimensione tragica10.

Il potere educativo della coscrizione

Nel triennio giacobino e in epoca napoleonica il malfunzionamento della coscrizione e la dilagante diserzione – come ha specificato Della Peruta – “intaccava l’autorità e il prestigio del Governo ed offuscava l’immagine di sicurezza politica e di efficienza amministrativa del nuovo regime”11. Le mancanze dello Stato erano molte, ma i danni cagionati dai fuggitivi erano altrettanto gravi. A causa della coscrizione le casse governative progredivano verso un inesauribile dissanguamento che presto o tardi sarebbe collassato. Inoltre la formazione di bande di disertori sottraeva effettivi per il mantenimento dell’ordine pubblico, creando un forte malcontento tra la popolazione. L’ingranaggio della coscrizione partiva debole già a livello di autorità locali e si sfaldava definitivamente una volta che l’individuo indossava l’uniforme. Metodi severi, punizioni fisiche e abusi degli ufficiali e sottufficiali contribuirono al dissesto dell’apparato militare. A questo proposito il ministro di guerra e marina del Regno d’Italia, François Auguste Cafarelli du Falga emanò una direttiva nella quale si proibiva ogni sorta di punizione corporale a danno dei militari, vietando a ufficiali e sottufficiali di portare con se la cosiddetta “canna” o bastone (utilizzata per percuotere). Inoltre il ministro tentò di porre rimedio alle disfunzioni burocratiche all’interno di ciascun reggimento sollecitando un’emissione puntuale del “soldo” o paga per gli arruolati. I desideri del ministro furono assolti parzialmente, almeno nella forma, ciò nondimeno il malcostume delle ruberie all’interno delle caserme proseguì fino alla caduta di Napoleone e anche oltre.

Con la fine del Regno Italico e della parabola napoleonica l’apparato militare italiano – il primo in questo senso a militare sotto una bandiera tricolore – venne smantellato dalla Restaurazione. Il bilancio fu negativo, anche perché agli effetti della disonestà dobbiamo per forza assommare l’alto numero di morti italiani nelle campagne per la gloria dell’Impero. Non dobbiamo dimenticare però l’alto valore emotivo scaturito dalla formazione di un esercito italiano, i cui echi proseguirono fino agli anni del Risorgimento, laddove in molti avevano già combattuto per l’Imperatore. La memoria dell’esercito del Regno d’Italia accese l’animo guerriero degli italiani che affrontarono con coraggio l’occupazione austriaca.

Napoleone apprezzava i soldati italiani, paragonandoli spesso ai legionari dell’Antica Roma. L’imperatore sapeva come accattivarsi le simpatie dei suoi uomini e dei popoli da lui soggiogati: tutti erano utili alla causa e ciascuno doveva fornire il suo pesante contributo di sangue. Stando alla memorialistica apparsa nella seconda metà dell’Ottocento, l’esperienza bellica imperiale fu un vero successo, quanto meno per quegli ufficiali che lasciarono impresse le loro esperienze sulla carta stampata. Nella vulgata generale, comunque, Napoleone rimase una figura importante, l’unico – a detta di molti – ad aver destato negli italiani uno spirito di appartenenza destinato a riemergere nei primi anni del Risorgimento. Gli italiani di Napoleone divennero un manifesto propagandistico anche nel Ventennio, grazie al contributo di storici rigorosi come Antonio Lissoni o Ambrogio Bollati i quali – scevri da ogni politicizzazione – ne cantarono le lodi, contribuendo in modo importante alla storiografia napoleonica nazionale.

Una risposta per il presente

La coscrizione militare in epoca napoleonica è stata il punto di partenza per un’esperienza globale: condusse alla nascita gli eserciti di massa protagonisti assoluti del primo e secondo conflitto mondiale.

In Italia l’istituzione del servizio militare ha avuto diversi risvolti, ma soprattutto nel secondo dopoguerra è stato un fattore di riscatto per molti uomini, che credevano ancora in determinati valori scippati dal fascismo e dall’8 settembre. Dagli anni Cinquanta in poi sono stati milioni i ragazzi italiani che hanno indossato l’uniforme, in maniera più o meno convinta: se per alcuni il servizio militare rappresentava un’occasione per imparare qualcosa di nuovo, per altri era un’inaccettabile perdita di tempo. Allo stesso modo all’interno delle caserme permanevano vecchie abitudini come il nonnismo, le vessazioni da parte dei superiori e finanche le ruberie ai danni dello Stato. Ovviamente le molteplici clausole che consentivano la riforma o la possibilità di ottenere rinvii scongiurarono per sempre il fenomeno della diserzione, anche se continuarono i casi di mancato rientro, ribellione e autolesionismo.

Se oggi dobbiamo pensare alla naja come punto di partenza per ricostruire una generazione di ragazzi educati al senso dello Stato, probabilmente siamo fuori strada poiché ciò significherebbe un passo indietro rispetto l’evoluzione che l’esercito ha fatto proprio grazie alla fine della coscrizione. Le caserme oggi non rappresentano più quel microcosmo a se che erano negli anni passati, luoghi dove il tempo sembrava si fosse fermato per far posto alla tradizione. I soldati sono diventati professionisti a tutti gli effetti, con i loro diritti e doveri e la “contaminazione” del mondo lavorativo civile ha sicuramente contribuito a migliorare la vita di coloro che sono chiamati a servire la patria, in ogni angolo del mondo. L’educazione di un giovane inizia sempre e comunque dalla famiglia e progredisce nella scuola. Più che reintrodurre il servizio militare sarebbe auspicabile rivedere i programmi scolastici e fissare nuove regole, che diano maggiore autorevolezza a chi sta dietro la cattedra.

  

1 Paddy Griffith, The Art of War of Revolutionary France 1789 – 1802, London, Greenhill Books, p. 82.

2 La parola embrigadement significa letteralmente formarsi in brigata (in inglese è brigading). In pratica un battaglione di volontari veniva aggiunto ai due battaglioni di un reggimento di linea già esistenti, formando così una demi-brigade di tre battaglioni. La legge di Dubois-Crancé prevedeva un incorporamento casuale o secondo le necessità, soprattutto nelle unità sotto organico. Inoltre la legge cancellò di fatto ogni differenza tra soldati rivoluzionari e veterani uniformandone l’uniforme e la paga. Ibidem, p. 83

3 Philippe Catros, “Tout Français est soldat et se doit à la défense de la patrie (Reptour sur la naissance de la conscription militaire), Annales historiques de la Révolution française [en ligne], 348, Avril-Juin 2007, p. 2.

4 Il dibattito sul volontariato e l’esercito di leva appassionò il governo rivoluzionario sin dal 1789. Il deputato La Rochefoucauld-Liancourt, ad esempio, sosteneva che un popolo libero non potesse affidare la sua difesa ad una banda di vagabondi e indigenti. E in effetti molti sergenti reclutatori andavano nelle bettole e nelle carceri per rastrellare quanti più “volontari” possibile. Alan Forrest, “L’armée de l’an II: la levée en masse et la création d’un mythe républican”, Annales historiques de la Révolution française, [En ligne], 335, janvier-mars 2004, p. 3.

5 Franco della Peruta, Esercito e società nell’Italia napoleonica, Milano, Franco Angeli, p. 27.

6 Ibidem, p. 40.

7 Ibidem, p. 93.

8 Si trattava della corrispondenza a proposito della formazione della Legione Italica. Luciano Faverzani, Il primo esercito italiano nella corrispondenza del generale Giuseppe Lechi 1799-1804, Roma, USSME, 2010, p. 59.

9 Nel corpi italiani nel 1805 la diserzione era stata di 4.003 uomini, di 2.582 nel 1806 e di 2.505 nel primo semestre del 1807, saliti a 4.104 alla fine di novembre. In una statistica inviata dal viceré a Napoleone il 20 ottobre 1810 il numero dei disertori degli ultimi quattro anni era valutato in 17.750, che sommato a quello del 22.227 refrattari fi li registrati, portava al risultato affliggente di un totale di quasi 40.000 uomini che si erano sottratti al servizio militare […]. Esercito e società, op. cit., pp. 249-250.

10 Sui dati precisi riguardo il fenomeno della diserzione nei dipartimenti italiani cfr. Francesco Frasca, Reclutamento e guerra nell’Italia napoleonica, Padova, editoriale Programma, 1993.

11 Esercito e società, op. cit., p. 274.

(foto: web / Esercito)