Ali italiane nei conflitti del dopoguerra: il caso del Siai Marchetti SF-260 in giro per il mondo

(di Manuele Serventi Merlo)
09/03/18

Sebbene fosse nato per agli inizi degli anni sessanta come sviluppo di un altro aereo ad elica, l'F.8 Falco dell’ingegner Frati che progetterà anche questo diverso modello per servire nell’ambito dell’addestramento acrobatico, il Siai Marchetti SF-260 grazie alla versatilità e alla robustezza della sua cellula costruttiva venne fin da subito ritenuto in grado di servire anche in contesti più prettamente operativi con le dovute modifiche strutturali.

Per tali ragioni ne venne sviluppata una versione apposita per impiego operativo controguerriglia denominata SF-260W, dove la W era l’iniziale del termine Warrior che in lingua inglese significa combattente/guerriero.

Progettata partendo dalla precedente versione M, che già consentiva l'utilizzo di carichi bellici attraverso l’introduzione di appositi travetti alari, la versione W per operazioni controguerriglia ed attacco venne ideata in modo tale da portare fino a 300 kg di lanciarazzi, bombe, mitragliatrici, pod fotografici e lanciabengala. 

A sua volta, per inciso, dal Siai Marchetti SF-260W verrà sviluppata la poca fortunata versione per il pattugliamento marittimo denominata Sea Warrior dotata di contenitori sganciabili contenenti battelli di salvataggio e kit per la sopravvivenza in mare.

Premesso quanto sopra, con la diffusione dell’SF-260 presso le varie aeronautiche militari estere a partire dagli anni ’70 in qualità di addestratore iniziarono anche i suoi impieghi operativi in situazioni di conflitto.

Il primo Paese ad utilizzarli in tale ruolo fu la Libia di Gheddafi.

Sull’onda lunga di altre forniture militari, nonostante gli altalenanti rapporti geopolitici, l’Italia fornì all’uomo forte di Tripoli anche circa 240 SF-260 con consegne che iniziarono, indicativamente, attorno al 1977.

Questo gran numero di Siai Marchetti, acquisiti sia nella versione W che in quella M, opportunamente modificata per operare anche sopra le aree desertiche del Paese, da qui la designazione SF-260WL e SF-260ML dove la lettera L stava – appunto – per “Libya”, venne in parte assemblato anche presso un’apposita fabbrica costruita nei pressi di Tripoli.

Proprio in tale luogo, con buona probabilità, vennero eseguite le modifiche necessarie per far sì che questi SF-260 potessero essere utilizzati dai libici: l’avionica statunitense impiegata sui velivoli dovette, infatti, a causa dell’embargo a cui veniva sottoposta dagli USA all’epoca, essere sostituita con analoga di derivazione francese.

Tutto ciò, ovviamente, determinò un ritardo nell’entrata in linea dell’SF-260 presso l’Aviazione Militare Libica che, inizialmente, almeno per i primi tempi, venne utilizzato dalla locale Accademia Aeronautica per l’avviamento al volo dei giovani cadetti.

A breve, tuttavia, vi sarà l’impiego bellico effettivo dell’SF-260 sotto le insegne libiche.

Volenteroso di assicurarsi definitivamente il possesso della ricca regione della striscia di Aozou per i suoi giacimenti d’uranio, il colonnello libico, per conseguire questo risultato, dalla seconda metà degli anni ’70, forniva regolare supporto politico e finanziario al proprio uomo nell’area.

Questo uomo rispondeva al nome di Goukouni Oueddei che era entrato oramai apertamente in conflitto con il locale presidente Felix Malloum, convinto avversario del colonnello libico e supportato dai francesi.

Adducendo come motivazione il fatto che il capo dello Stato favoriva nell’amministrazione e nei vari posti di potere soltanto le popolazioni del sud e del centro del Paese a scapito di quelle del nord, Oueddei si sollevò contro il suo governo utilizzando la propria milizia chiamata Forza Armata Popolare (F.A.P.).

Fin da subito il sostegno libico sotto forma di mezzi fu considerevole. Le colonne della milizia di Oueddei erano ampiamente sostenute da carri armati e APC dell’esercito libico. Ma anche dall’aria arrivava il supporto di Gheddafi ad Oueddei.

Un supporto che, concretamente, veniva garantito anche dagli SF-260 armati per l’occasione con pods per mitragliatrici, razzi non guidati e piccole bombe. Lavorando a stretto contatto con i ben più potenti Mirage 5 e F.1, nonché con gli elicotteri pesanti da attacco e trasporto sovietici Mi-25, il velivolo italiano compì in quel frangente molte missioni di attacco leggero a supporto delle truppe di terra con ottimi risultati.

Ad esempio, con il supporto dei Mi-25, diversi SF-260 libici erano riusciti a bombardare efficacemente l’importante guarnigione governativa chadiana di Faya il 18.02.1978, situata nel nord del Paese.

Il successo dell’operazione fu tale che le truppe colà stanziate furono costrette a fuggire in maniera assai precipitosa lasciando agli uomini di Oueddei ed ai libici qualcosa come 1500 prigionieri.

Il successo delle missioni dell’SF-260 dipendeva anche, in buona misura, dall’assenza di una vera e propria protezione antiaerea tra le truppe avversarie.

Vinta la guerra con Malloum, Oueddei divenne presidente della Repubblica ma ben presto entrò in rotta di collisione con il proprio ministro della Difesa Hissène Habré proprio sui rapporti da tenere con la Libia. I due politici chadiani e le rispettive fazioni imbracciarono così le armi.

Con il ritorno delle ostilità in quella martoriata terra ritornarono anche i libici utilizzando di nuovo gli SF-260 nel ruolo di attacco leggero anche per la preziosa possibilità di utilizzare semplici pianori non preparati.

A differenza di quanto era accaduto precedentemente, tuttavia, l’intervento del velivolo di produzione italiana non si rivelò così proficuo.

Sebbene all’inizio le missioni dei velivoli italiani si svolsero con profitto, specialmente nel nord del Paese con l’ennesimo bombardamento dell’importante zona di Faya occupata, questa volta, dalle truppe di Habrè in contrapposizione alle forze di Oueddei e alla Legione Islamica inviata da Gheddafi a supportarlo il 15.10.1980, così come nel dicembre dello stesso anno in supporto all’artiglieria libica nei bombardamenti contro la capitale chadiana N’Djamena che causarono anche vaste perdite tra i civili, le cose ben presto mutarono per via della presenza sempre più massiccia di valida contraerea.

In una di queste missioni, infatti, sopra i cieli del Sudan Occidentale dove si trovavano diversi santuari della ribellione pro Habré, un SF-260 venne abbattuto nei pressi della località di Al Geneina mentre eseguiva un’azione di bombardamento con un altro velivolo similare.

Data la situazione come sopra descritta, Oueddei si trovò costretto a scappare dal proprio protettore libico con la speranza di tornare a breve.

Nel giro di breve tempo Oueddei tornò effettivamente, massicciamente supportato dai libici che, questa volta, scesero direttamente nella mischia dispiegando un ingente numero di mezzi e di uomini.

Tra i mezzi aerei, ancora una volta, non poteva mancare il nostro SF-260. SF-260 che, in questo ultimo scorcio della tribolata storia dell’intervento libico nel Chad a tutela degli interessi presenti nella striscia di Aozou, si segnalò soprattutto nel – paradossale - ruolo di preda bellica e di velivolo abbattuto dalla sempre più efficace contraerea nemica.

Le ragioni di questo stato di cose furono molteplici.

Da un lato le difficoltà del terreno desertico che non consentivano l’impiego massiccio di aerei ben più adeguati per una condizione di guerra “vera” in appoggio diretto alle truppe presenti sul terreno costrinsero ad utilizzare il nostro aereo in contesti e con obbiettivi che superavano di gran lunga le proprie limitate capacità belliche, dall’altro la sciatteria e l’incapacità delle gerarchie militari libiche di far fronte alla situazione concreta sul terreno dove i chadiani seppero utilizzare al meglio le proprie colonne di pick-up armati Toyota per rapide e incisive incursioni contro le basi e le formazioni avversarie.

Un esempio chiaro di quanto sopra fu il vittorioso raid condotto dai chadiani “armati” di Toyota dotate di mitragliatrici pesanti e lanciarazzi controcarro MILAN, forniti dai francesi, nel gennaio 1987 contro la preziosa roccaforte di Faya.

Dopo la conclusione dello scontro, breve ma assai cruento, nelle mani degli uomini di Habré rimasero anche sei SF- 260, oltre a vari altri mezzi militari libici.

Non miglior sorte ebbero gli SF-260 impiegati frettolosamente per individuare a tempo e distanza utile queste veloci formazioni mobili.

Uno sfortunato SF-260 nel compimento di tale missione venne abbattuto dalle truppe chadiane il 19.03.1987 assieme ad un elicottero Mi-8 a sud dell’avamposto libico di Ouadi-Doum, in località Bir Koran, dove erano caduti in un’imboscata anche due battaglioni meccanizzati.

I membri di questi reparti, in preda al panico più totale, sarebbero poi scappati in direzione proprio della base di Ouadi-Doum credendo di guadagnarsi così la salvezza. Ma si sbagliavano di grosso.

I reparti chadiani guidati dal loro comandante Hassan Djamous, sgusciando attraverso i campi minati che proteggevano l’avamposto libico sopra citato, gli attaccarono di sorpresa cogliendo un successo fondamentale per l’andamento del conflitto.

A nulla valse il tentativo disperato di alcuni SF-260 e Mi-25 di fronteggiarne l’attacco offrendo supporto aereo ravvicinato alle truppe in difficoltà: Una aereo italiano ed un elicottero di fabbricazione russa vennero inesorabilmente abbattuti.

Al termine del conflitto nel 1987 i libici si ritrovarono così ad aver perso, complessivamente, per varie ragioni, la bellezza di dodici SF-260, oltre a quelli catturati al suolo dalle leste truppe mobili chadiani agli ordini di Habré.

Finiva così, abbastanza ingloriosamente, ma non per “sua colpa”, la prima esperienza bellica dell’SF-260.

Ma la fine della guerra fra la Libia ed il Chad non segnò affatto il termine della carriera bellica dell’agile velivolo della Siai Marchetti.

Praticamente nello stesso periodo, sempre in Africa, ma molto più a sud, in Rhodesia precisamente, altri SF-260 venivano impiegati in un contesto bellico.

Nel 1977, infatti, giunsero nel Paese nonostante l’embargo due lotti di diciassette SF.260C e quattordici SF.260W acquistati sottotraccia da apposite “squadre” deputate a “raccattarli” in giro per il mondo.

Questi aerei andranno ad affiancare i Britten Norman Islander, gli Aermacchi AL-60, e i Cessna 185 Kiwit già presenti in quel teatro per formare le famose “Fireforce”, composte anche da elicotteri, al fine di fornire supporto aereo immediato alle truppe rhodesiane impegnate nel difficile compito di sconfiggere la guerriglia nera filomarxista là presente.

In tale compito gli SF-260 si dimostrarono degni dei ben più blasonati e famosi aerei a reazione presenti nella Rhodesian Air Force.

Il compito dell’appoggio aereo ravvicinato e dell’attacco leggero verso bande di guerriglieri armati costituirà il compito del Siai Marchetti anche in Nicaragua. Nel Paese Sudamericano, infatti, agli inizi degli anni ’80, giunsero dalla Libia al nuovo governo Sandinista tra quattro e sei SF-260 che vennero impiegati diffusamente per tutto il tempo della guerra civile contro i Contras armati e finanziati dagli USA.

Con la fine della Guerra Fredda e della contrapposizione Est/Ovest non vi sono più stati scenari bellici di rilievo per il velivolo, se si esclude il latente impiego antiguerriglia nelle Filippine di cui si ha, purtroppo, ben poco.

Soltanto nel 2011 gli SF-260 libici tornarono a volare in contesti bellici. Durante la guerra civile, infatti, ne è documentato l’impiego come bombardiere leggero di fortuna a Misurata contro i depositi di carburante caduti nelle mani degli insorti locali.

(foto: web)