Ali italiane nei conflitti del dopoguerra: gli MB326 sudafricani nella “Bush war”

(di Manuele Serventi Merlo)
05/02/18

Immesso in servizio a partire dai primi anni ’60, l’MB326 della allora Aermacchi trovò fin da subito un buon successo in termini di vendite all’estero per le sue indubbie doti di flessibilità d’impiego e facilità di utilizzo anche in condizioni non ottimali. Tra le forze aeree che acquistarono il nuovo aereo italiano vi era anche l’Aeronautica Militare Sudafricana che lo introdusse in servizio inizialmente nella versione M (simile alla precedente versione G), costruita localmente su licenza dalla Atlas Aircraft Corporation con la designazione indigena Impala Mk1 a partire dal 1966.

Nei ranghi dell’Aviazione Sudafricana, tuttavia, questi aerei costruiti su licenza entrano in servizio successivamente ai 40 MB326 costruiti inizialmente direttamente dagli stabilimenti italiani dell’Aermacchi. Terminata la linea di montaggio italiana specificatamente dedicata a soddisfare le esigenze sudafricane come contrattualmente specificate, le industrie aeronautiche Atlas produssero per la forza aerea nazionale ben 125 MB326M in totale.

Alla precedente versione M, ben presto venne affiancata anche la versione K monoposto. Come per il precedente modello, anch’esso venne inizialmente acquistato direttamente in Italia in un piccolo lotto di 7 esemplari. Successivamente, attraverso l’utilizzo di appositi kit le industrie Atlas riuscirono a costruirne autonomamente altri 15, seguiti ben presto da altri 78 dopo aver ottenuto dalla Aermacchi la licenza di produzione anche per l’MB326K nel 1974, designato in Sud Africa Impala Mk1 e dotato – anche - di suite elettronica ECM di produzione locale.

Con l’ausilio anche di questi esemplari da ultimo citati l’Aeronautica Militare Sudafricana combatté efficacemente le Forze Armate per la Liberazione dell’Angola (conosciute anche con l’acronimo FAPLA) ed i consiglieri cubani che gli assistevano in tutta una serie di campagne militari combattute tra il 1975 ed il 1989 conosciute comunemente con il nome unico di “Bush war” e che si concluderanno anche con la dichiarazione di indipendenza dell’attuale Namibia nei primi anni ’90 del secolo scorso.

In tale contesto bellico, i piloti degli Impala sudafricani compivano le loro missioni di appoggio tattico volando, solitamente, ad una altitudine media massima di 15 metri sul terreno e con una velocità di 550/650 Km/h al fine di sfuggire alla violenta reazione antiaerea angolana, mimetizzati con i colori standard Dark Earth e Dark Olive Green utilizzati anche sugli elicotteri SA.316 Alouette III e SA.330 Puma così come su alcuni altri velivoli. Antiaerea che, grazie all’impiego delle tattiche poco prima illustrate, colse ben pochi centri con la sola eccezione di un MB326 abbattuto da un missile SA-7. Un altro Aermacchi, invece, sorprendentemente, tornò alla propria base di partenza nonostante avesse un missile conficcato nella zona del motore.

Per i compiti assegnati gli MB326 nelle versioni M biposto e K monoposto potevano essere armati con varie combinazioni di bombe, razziere o cannoncini. Nel corso della “Bush war” i velivoli Aermacchi volarono le proprie missioni di guerra impiegando principalmente razziere SNEB contenenti razzi da 68 mm – su un velivolo potevano essercene due contenenti 18 razzi, ovvero 4 da 6 ciascuno – e due cannoncini da 30 mm con 300 colpi circa disponibili cadauno. Più raramente, invece, gli MB326 vennero equipaggiati con i tipi di bombe allora in dotazione nella SAAF (South African Air Force).

Questi cannoni costituivano il vero vantaggio degli Impala Mk II, contribuendo in maniera decisiva a fornirgli prestazioni superiori rispetto alla precedente versione a due posti che poteva trasportatagli soltanto inseriti in appositi pod sotto le ali.

Anche per questo motivo, la maggior parte degli squadroni della SAAF erano equipaggiati con gli Impala Mk durante gli anni '70 e '80 venendo, di conseguenza, estesamente impiegato nel contrasto alle milizie angolane almeno che la maggior parte delle Impala fossero ritirati dalle loro basi operative nell'Africa sudoccidentale, lasciando il lavoro a Mirage III e Blackburn Buccaneers prima dell’inizio dell’operazione Moduler.

Accanto al compito di appoggio tattico, l’MB326, ad ulteriore conferma delle sue eccellenti doti di flessibilità d’utilizzo, trovò impiego anche come intercettatore anti elicotteri. Ciò avvenne specialmente nel 1985, nella fase cruciale dei continui scontri che opponevano i sudafricani ed i loro alleati dell’UNITA agli angolani della FAPLA e alle truppe cubane di supporto inviate da Castro ad aiutarli.

Durante una forte offensiva degli angolani e dei loro alleati cubani contro le basi dell’UNITA accadde che le loro linee di rifornimento vennero tagliate dall’azione congiunta dei ribelli dell’UNITA e degli aerei della SAAF causando una pericolosissima carenza di munizione tra le truppe impegnate sul terreno, tra i quali, come già anticipato, ebbero una parte da leone gli MB326.

Per sopperire a tale stato di cose, vennero impiegati in misura massiccia vari elicotteri da trasporto, in special modo Mi-17 scortati da Mi-24. Ma questi elicotteri finirono ben presto nei mirini dei piloti sudafricani degli Impala cosicché in una prima sortita gli MB326 riuscirono ad abbattere due Mi-24 di scorta ad altrettanti Mi-17. Giorni dopo, la stessa sorte toccò ad altri due Mi-24 e ad altrettanti Mi-17 che vennero distrutti impiegando i cannoncini da 30 mm.

A nulla valse neppure la scorta effettuata dai MiG-21 per evitare un simile evento: i caccia sovietici, infatti, volavano ad un’altitudine troppo alta per poter intervenire elficamente in tempo per rintuzzare gli attacchi degli MB326 sudafricani che per affrontare gli elicotteri nemici avevano approntato la semplice ma fruttuosa tattica.

Questa consisteva nel volare molto basso seguendo il profilo del terreno come in una qualsiasi tipica missione di appoggio tattico, salendo solo quando gli elicotteri venivano avvistati a quote più alte. Terminato l’attacco i velivoli sudafricani dovevano poi tornare a quote più basse per evitare l'intercettazione, specialmente da parte dei MiG.

Quando avvenivano tali avvenimenti, tuttavia, la guerra che frapponeva i sudafricani alle loro controparti angolane e cubane era oramai agli sgoccioli. Con l’inizio degli anni ’90 il Mondo visse degli sconvolgimenti geopolitici che mutarono sensibilmente la situazione fino ad allora esistente. Basti pensare, soltanto, alla fine del comunismo sovietico che molto aveva aiutato gli stessi angolani e cubani sotto forma di preziosi aiuti logistici e militari. Tutto questo, unito alla fine del regime di apartheid in Sud Africa e l’avvento al governo di quel paese dell’African National Congress dell’ex perseguitato Mandela pose fine al conflitto tra le varie parti.

Con esso cessava inevitabilmente anche l’impiego operativo degli MB326 sudafricani che rimasero in servizio fino alla fine degli anni ’90 senza più espletare compiti operativi di rilievo, salvo equipaggiare la pattuglia acrobatica locale denominata “Silver Falcons”.

(foto: South African Air Force / web)