26 aprile 1915: patto di Londra, l'Italia va alla guerra

(di Tiziano Ciocchetti)
27/04/19

Negli ambienti diplomatici e militari anglosassoni, ancora oggi, gira una battuta sulla linea politica che generalmente lo Stato italiano adotta nelle situazioni di conflitto: l’Italia non finisce mai una guerra con chi la comincia.

Il 24 maggio 1915 il Regno d’Italia entrava in guerra al fianco della Triplice Intesa contro l’Austria-Ungheria. La decisione italiana non era stata certo priva di drammatici contrasti, che avevano visto come protagonisti la Corte, il Parlamento e l’opinione pubblica dell’epoca. Quest’ultima si era divisa in neutralisti e interventisti, con questi a sua volta divisi tra la fazione favorevoli agli Imperi Centrali e quella invece favorevole all’ingresso in guerra al fianco della Francia e dei suoi alleati.

Come noto, l’Italia aveva aderito nel 1882 alla Triplice Alleanza (rinnovata nel 1912) e quindi la legava ancora formalmente ai suoi alleati austriaci e tedeschi.

L’adesione del giovane regno, a tale patto, era da collocare in un preciso contesto geopolitico in cui la Francia rappresentava la principale minaccia alle mire di potenza di Roma, mentre l’Impero austriaco (ridimensionato dal punto di vista militare dopo la sconfitta subita dalla Prussia nel 1866) rimaneva imbrigliato dalla nascente potenza continentale tedesca.

Il Trattato, tuttavia, parlava chiaro: le sue clausole non prevedevano l’automatica entrata in guerra di una Potenza firmataria nel caso di una guerra offensiva scatenata dalle altre e, comunque, delle consultazioni preventive tra gli alleati avrebbero dovuto precedere ogni evenienza di tal genere.

La Germania aveva violato la neutralità del Belgio, attaccando la Francia ed occupato i suoi dipartimenti del nord; dopo aver bloccato l’avanzata russa nella Prussia Orientale con le decisive battaglie di Tannenberg e dei Laghi Masuri (Agosto-Settembre 1914) era passata all’offensiva in Polonia. L’Austria, invece, aveva attaccato la Serbia, costringendo il suo esercito a ripiegare in Albania onde evitare l’annientamento.

Nessuno dei due imperi si era preoccupato di avvertire per tempo il Regno d’Italia dei propri piani strategici, non rinunciando neppure in tale circostanza all’abituale disprezzo nei confronti della Potenza minore – e per giunta latina – della Triplice.

L’Italia, dunque, si ritenne libera dagli impegni presi nel passato e si astenne dall’ingresso nel conflitto, provocando con ciò il risentimento degli Imperi Centrali, che l’avrebbero in seguito accusata di tradimento e, contemporaneamente, suscitando un’attesa carica di speranze – ma anche di sospetto - da parte delle Potenze dell’Intesa.

Nonostante i sospetti dell’Austria, l’alleato germanico mise in campo tutta una serie di iniziative diplomatiche al fine di tenere fuori l’Italia dal conflitto, o al limite ritardarne il più possibile l’ingresso. Il Kaiser faceva pressioni su Vienna perché cedesse all’Italia le terre trentine e giuliane di lingua italiana.

Dal canto suo, il Feldmaresciallo Conrad (foto) dubitava dei negoziati in corso con l’Italia e, piuttosto che cedere alle richieste di quest’ultima, avrebbe preferito dare le dimissioni.

Ad un certo punto, però, egli sembrò convincersi che un intervento dell’Italia nel conflitto avrebbe potuto suscitare problemi irrisolvibili. Quindi, Conrad insieme all’ora Ministro degli Esteri Berchtold, avviò un progetto impostato su un duplice binario: concludere al più presto possibile un accordo con Roma, però a condizione che la Germania garantisse che alla prima occasione favorevole si annullassero le concessioni eventualmente fatte; tramite una Potenza neutrale, avviare negoziati di pace con la Russia, sulla base di un complicato intreccio di concessioni territoriali e aggiudicazioni di sfere di influenza fino al Bosforo.

Di contro si muovevano le diplomazie delle Potenze dell’Intesa, in particolar modo la Francia, la quale aveva tutto l’interesse perché l’Italia abbandonasse l’alleanza con gli Imperi Centrali.

Il Ministro delle Colonie Martini predisponeva l’incontro di Londra, che avrebbe avuto luogo il 26 aprile 1915, al fine di stabilire gli accordi con le altre Potenze dell’Intesa.

Le concessioni nei confronti di Roma riguardavano il Trentino, l’Alto Adige fino al Brennero, la Venezia Giulia, fino al Quarnaro ma senza Fiume, un terzo della Dalmazia, la piena sovranità su Valona e il protettorato sull’Albania, la piena sovranità sul Dodecaneso, e una zona d’influenza sull’area di Adalia (nella penisola turca).

Il 7 maggio il Ministro degli Esteri Sonnino avvisava il Consiglio dei Ministri che gli accordi siglati con la Triplice Intesa – il cosiddetto Patto di Londra – obbligavano l’Italia ad entrare in guerra non oltre il 25 od il 26 del mese in corso. Sia l’Austria che la Germania, nonostante la segretezza del Patto, ne erano venuti a conoscenza. Quindi, secondo il Ministro degli esteri italiano, gli Imperi Centrali avrebbero aumentato le concessioni, sapendo che il Governo italiano non avrebbe mai potuto accettare.

Come previsto da Sonnino, l’11 maggio l’ambasciata di Germania a Roma consegnava ad Antonio Salandra, Presidente del Consiglio dei Ministri, un plico accompagnato da una lettera dell’ambasciatore principe di Bülow, contenente l’elenco delle concessioni che l’Austria era disposta a fare all’Italia, ovviamente sotto la direzione di Berlino:

  • Tutto il Tirolo di lingua italiana;
  • tutta la sponda occidentale dell’Isonzo, compresa Gradisca;
  • autonomia municipale di Trieste, resa città libera, con porto franco e università italiana;
  • disinteressamento dell’Austria nei confronti di Valona;
  • salvaguardia degli interessi nazionali dei cittadini italiani in Austria-Ungheria;
  • esame benevole dei voti che l’Italia ancora esprimesse su tutto l’assieme delle questioni che formano oggetto dei negoziati (particolarmente Gorizia e i suoi dintorni);
  • i militari italiani appartenenti ai territori ceduti saranno rimpatriati dai fronti di guerra dove si trovassero.

Ovviamente, visto la stipula del Patto di Londra, per il Governo italiano tali concessioni erano inaccettabili, a meno di non dover porsi tra due fuochi, con tutte le conseguenze più o meno immaginabili.

I drammatici giorni che seguiranno, fino al cosiddetto colpo di stato del Re Vittorio Emanuele III, che porterà alla riconferma del governo Salandra e quindi all’ingresso in guerra, saranno vissuti all’insegna di questo ennesimo equivoco: il quale produrrà contrastanti interpretazioni, generalmente ispirate a valutazioni di parte.

Comunque sia, nel bene e nel male, in tempo giusto o sbagliato che fosse, la collocazione e il ruolo dell’Italia nel conflitto in atto erano stati stabiliti irrevocabilmente nel momento medesimo in cui, il 26 aprile 1915, gli inviati del Governo avevano sottoscritto il patto che prende nome da Londra.

Foto: web