Un Dardo (infuocato) nel fianco della Difesa italiana

(di Tiziano Ciocchetti)
24/09/18

L’Iveco-Oto Breda VCC-80 Dardo, come indica la sigla, doveva entrare in servizio negli anni ’80. Tuttavia cominciò a giungere ai reparti solamente all’inizio degli anni 2000, questo a causa delle risorse economiche insufficienti. Infatti l’errore di fondo – di natura politica – fu quello di voler procedere allo sviluppo contemporaneo, in ambito nazionale, di veicoli impegnativi come l’MBT C-1 Ariete o la blindo pesante B-1 Centauro.

Il problema è che anche trent’anni fa il Dardo non era un mezzo in grado di affrontare le minacce dei campi di battaglia, in quanto già allora era uno degli IFV (Infantry Fighting Vehicle) occidentali meno protetti, avendo lo scafo realizzato in alluminio con uno strato aggiuntivo di acciaio balistico (la presenza di 5 iposcopi indeboliscono ulteriormente la struttura), con un peso in ordine di combattimento di soli 24.000 kg. La propulsione è assicurata da un motore Iveco con 6 cilindri a V turbocompresso da 520 Hp, che permette un buon rapporto potenza/peso.

L’armamento è costituito da un cannoncino Oerlikon KBA da 25 mm a doppia alimentazione, abbinato a una mitragliatrice coassiale da 7,62 mm, collocato in una torretta biposto in acciaio saldato.

All’inizio degli anni ’90 venne deciso il rafforzamento dell’armamento con l’installazione di due lanciatori per missili controcarro filoguidati BGM-71 TOW ai lati della torretta. La torretta prese il nome di HITFIST (High Tecnology Fire In Small Turret) ed era equipaggiata con sistemi molto sofisticati per la sorveglianza e la condotta del tiro in qualsiasi condizione di visibilità, con stabilizzazione dell’armamento su tre assi. Successivamente, per la solita mancanza di stanziamenti, venne deciso di adottare mezzi con apparati semplificati e privi dei lanciatori per i TOW (in seguito vennero acquisite versioni del Dardo equipaggiate con il sistema controcarro SPIKE LR).

A conti fatti si è voluto investire ingenti risorse per lo sviluppo e l’acquisizione di un IFV nato già obsoleto e quindi assolutamente non in grado di affrontare gli attuali teatri di guerra, saturi di sistemi controcarro portatili e trappole esplosive IED. Cercare di ammodernarlo porterebbe a drenare ulteriori risorse finanziarie, senza per altro ottenere un mezzo in grado di soddisfare le esigenze dei militari. Il mercato offre IFV in grado di garantire altissimi livelli di protezione, come il Puma tedesco in fase di acquisizione da parte dell’Esercito di Berlino. Ma i costi sono assai elevati, e visti i magri bilanci della Difesa appare poco probabile (se non impossibile) l’acquisto di un nuovo mezzo.

A questo punto si potrebbe rispolverare un’idea nata alla metà degli anni ’90, ovvero utilizzare una parte degli scafi dei carri Leopard 1, dismessi dall’Esercito (circa 900 mezzi), per realizzare veicoli da combattimento per la fanteria. Seguendo l’esempio degli israeliani – i quali hanno modificato i T-55 di preda bellica dando vita all’Achzarit (foto a sx), un IFV da 44 tonnellate di peso – si potrebbe adattare gli scafi dei Leopard  per l’imbarco di una squadra di fanteria, migliorando la protezione con l’aggiunta di corazzature composite e sistemi di difesa attivi, inoltre si potrebbe installare una torretta, con alimentazione elettrica, armata di un cannoncino da 30 mm.

Alla fine si avrebbe un mezzo da combattimento del peso di circa 40 tonnellate, sufficientemente protetto e armato ma dai costi contenuti. Altre soluzioni al momento non sono praticabili, a meno che non si voglia continuare con il Dardo e quindi completare l’equipaggiamento delle future brigate pesanti con mezzi privi di reali capacità operative.

(foto: Esercito / web)