Siria, identificati altri due "Beatles": i carnefici britannici dello Stato Islamico

(di Franco Iacch)
08/02/16

Gli ostaggi liberati dall’Isis hanno riferito che gli inglesi a guardia degli occidentali rapiti in Siria sono sempre stati in quattro: erano chiamati “I Beatles”. Il più famoso tra loro era “John il jihadista”, ucciso lo scorso novembre. L’identità del secondo componente della “banda” è stata rivelata poche ore fa. Si tratta di Alexanda Kotey, 32 anni, cresciuto a Londra. I carcerieri britannici erano tristemente noti tra gli ex prigionieri per le loro torture. Proprio “i Beatles”, secondo le testimonianze, si dice amassero particolarmente “trattare i prigionieri con scosse elettriche”. Kotey, di origine ghanesi, si è convertito all'Islam a venti anni, dopo essersi innamorato di una donna musulmana. La coppia, prima di separarsi, ebbe anche due figli. Le informazioni su Kotey restano comunque scarse, così come l’incontro con il londinese Mohammed Emwazi. L’unica cosa certa è che entrambi frequentavano la stessa moschea di Notting Hill, a Londra. Kotey è noto anche per aver fatto parte di un convoglio di aiuti umanitari a Gaza, organizzata nel 2009, dal controverso politico britannico George Galloway. Nove volontari del convoglio, 24 prima della partenza, vennero arrestati per presunti reati di terrorismo. Saranno tutti rilasciati per insufficienza di prove.

I servizi segreti britannici avrebbero individuato anche un terzo componente della “banda”: Aine Lesley Davis, londinese. Davis è stato arrestato dalla polizia turca lo scorso novembre, prima di una serie di attacchi coordinati dello Stato islamico che hanno ucciso 130 persone. Anche Davis, così come Emwazi e Kotey, ha frequentato la moschea di Notting Hill.

LA STORIA DI JOHN

Il boia dello Stato Islamico, lo psicopatico assetato di sangue responsabile di aver decapitato diversi ostaggi stranieri, è stato terminato alle 23:41 di giovedì,12 novembre, nei pressi del tribunale islamico della città di Raqqa, capitale dello Stato islamico, da tre droni durante una missione di sorveglianza armata. L'uomo si trovava a bordo di un mezzo con altre tre persone. Il raid è stato autorizzato dal Pentagono dopo aver identificato il bersaglio “ad altissima priorità” e valutato rischi minimi collaterali. Nell’area, secondo quanto trapelato dalla città assediata, si sono udite almeno quattordici esplosioni. Intuendo la possibilità di colpire uno degli uomini più ricercati del pianeta, USA e Gran Bretagna hanno inviato in zona tre Reaper MQ-9, ognuno dei quali armato con 12 missili hellfire. I droni americani sono decollati dalla base aerea di Incirlik. Il mezzo di Mohammed Emwazi è stato colpito da due missili anticarro. I quattro all’interno del mezzo (non blindato), tra cui il boia, non hanno avuto scampo. I missili sono stati lanciati da un Reaper USA, comandato in remoto dalla Creech Air Force Base, in Nevada. Il nostro è stato un atto di difesa, abbiamo inferto un colpo mortale al cuore dello Stato islamico – commentò il primo ministro inglese David Cameron – è stata la cosa giusta da fare.

L'eliminazione di una figura di alto profilo come quella di Emwazi, ha dimostrato l'efficacia del sistema di sorveglianza combinata degli Stati Uniti, che rimane la più potente del pianeta. La morte di Emwazi, però, non rappresenta una vittoria tattica per Stati Uniti e Regno Unito, bensì psicologica. Era un reclutatore, non di certo un tattico. Mohammed Emwazi è nato il 17 agosto del 1988 in Kuwait. Si trasferisce nella zona ovest di Londra nel 1994 dove cresce con un fratello e due sorelle. Di famiglia benestante (di origini irachene), frequenta prima la “St Mary Magdalene Church of England” e successivamente la Quintin Kynaston School prima di laurearsi presso l'Università di Westminster nel 2009, con una tesi in programmazione informatica. Mohammed Emwazi avrebbe raggiunto la Siria nel 2013 per l’indottrinamento sul campo. Pochi mesi dopo sarebbe diventato il boia, protagonista di quei video che tanto sdegno hanno provocato nell’Occidente. La sua prima apparizione risale all’agosto dello 2013, quando decapita il giornalista americano James Foley. Secondo l’analisi computerizzata effettuata sugli altri video (timbro vocale, movenze, cadenza, pulsazioni, altezza, impronte, mappatura fisiologica, colore della pelle e peso indicativo), Emwazi avrebbe poi giustiziato il giornalista americano Steven Sotloff, l’operatore umanitario britannico David Haines, il tassista inglese Alan Henning e l’operatore umanitario americano Peter Kassig. In ogni video, l'uomo appariva vestito con un abito e con un passamontagna nero che lo ricoprivano integralmente. Non i suoi occhi, così come la parte superiore del naso. Fin dal primo video, il boia ha svelato alcuni indizi. Il suo marcato accento britannico, nei video in cui scherniva le potenze Occidentali prima di trucidare gli ostaggi, è stato il primo tassello del mosaico.

OSSESSIONATO DALLA SOMALIA E DAL GRUPPO MILITANTE AL-SHABAB

Gli ostaggi liberati dall’Isis avrebbero riferito che gli inglesi a guardia degli occidentali rapiti in Siria erano in quattro ed erano chiamati “I Beatles”. C'erano Paul, Ringo e George. Il Boia era John Lennon. Emwazi, raccontano quanti lo hanno visto in azione, era dedito spiegare agli altri militanti la “procedura per una corretta decapitazione. Era il più alto, il più calmo ma anche il più determinato, senza il minimo scrupolo. Era il 'tutor' dei neo-terroristi”. Emwazi fu arrestato una prima volta nel 2009, in Tanzania, dove si sarebbe recato per un safari dopo la laurea con due amici (un tedesco convertito all'Islam di nome Omar e un altro uomo, Abu Talib). In realtà, le autorità inglesi sospettavano già una sua affiliazione verso i gruppi terroristici attivi in Somalia. Atterrati presso l’aeroporto di Dar es Salaam, in Tanzania, nell’agosto del 2009, furono arrestati dalla polizia e trattenuti una notte prima di essere espulsi. Il due settembre del 2009, Emwazi si trasferisce in Kuwait, sua città natale, dove inizia a lavorare per una società di computer. Ritorna a Londra, per otto giorni, nel giugno del 2010 per alcuni giorni di vacanza. Ritornerà una seconda e ultima volta nel luglio dello stesso anno. Riesce a fuggire in Siria, sotto il nome di Mohammed al-Ayan.

“MORTO CHE CAMMINA”

Jihadi John, era noto tra i reparti speciali occidentali come "Dead Man Walking" (“Morto che cammina”). Su di lui, pendeva la condanna di morte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Russia. L’ultimo a parlare pubblicamente del “Boia”, in ordine di tempo, fu il primo ministro inglese David Cameron da Manchester, in occasione dell'annuale “Tory party conference”, il 5 ottobre scorso. Disse Cameron: “Voglio John morto. L'ho promesso e lo ripeto. Ecco perchè ho intenzione di raddoppiare la nostra presenza SAS in Iraq al fine di eliminare per sempre questa minaccia”. Il Governo inglese, alcuni mesi fa, diede ordine alla SAS di formare un team di killer con un unico scopo: portare a Londra la testa di John il Boia. Il team, noto come “I Sessanta” aveva ricevuto uno “specifico addestramento con equipaggiamento di ultima generazione” presso la base di Hereford. Il team operava in modo del tutto indipendente dalle altre squadre SAS schierate nella base segreta nel deserto dell’Iraq, gestita dall’MI6 e ritenuta inaccessibile. I “Sessanta” non erano sono i soli a cercare “John”. L’intera componente Tier-1 americana aveva ricevuto l’ordine di eliminare la minaccia ad ogni costo, così come l’intera ‘Task Force Black’. Lo stesso Putin, il 21 ottobre scorso, emise una direttiva interna per gli specnaz: portare a Mosca la testa di John. L'ultima apparizione del boia risale al 26 agosto scorso quando, spavaldo, annunciò altre decapitazioni, rivolgendosi verso la telecamera in quello che è stato ritenuto il primo video a volto scoperto di Jihadi John. Video probabilmente girato vicino la città di Deir Ezzor, nel sud-est della Siria. Nonostante la qualità audio fosse scarsa, John diceva chiaramente che avrebbe tagliato altre teste. "Io sono Mohammed Emwazi. Presto ritornerò in Gran Bretagna con il Khalifa (il capo dello Stato islamico)”. A quel video replicò Cameron: “Tornerà in patria, ma solo da cadavere”. Lo scorso 30 ottobre, il Pentagono ha confermato l’eliminazione di un altro bersaglio ad altissima priorità, il “rapper dell’Isis”, il 39 enne Denis Cuspert, meglio noto con il suo nome d’arte Deso Dogg. Cuspert è stato eliminato durante un raid USA, il 17 ottobre scorso.

UNA SENTENZA DI MORTE CHE NON SAREBBE MAI SCADUTA

Era solo una questione di tempo ed i motivi sono semplici. Per prima cosa perché tutti i servizi segreti del mondo conoscevano il suo volto. La sua foto era ormai di dominio pubblico da mesi. Quel ragazzo con indosso un berretto dei Pittsburgh Pirates, non faceva più tanto paura con i suoi abiti da civili. Insomma, di quel ragazzo di cui ormai si sapevo tutto, aveva perso l’effetto sorpresa. Era uno degli uomini più ricercati del Medio Oriente e su di lui pendeva la vendetta giurata di almeno quattro nazioni con gruppi d’assalto specificatamente inviati nella regione per terminarlo. Mohammed Emwazi, non poteva farsi prendere vivo perché rappresentava un’importante fonte di informazioni. Secondo alcuni rapporti, i militanti dello Stato Islamico lo avevano già posto ai margini dell’organizzazione. Ma il fatto che John fosse diventato un problema, per se e per gli altri suoi amici terroristi, era chiaro. Ogni jihadista al telefono con Emwazi, sapeva di essere un bersaglio di un drone ed in tal senso tutte le missioni ‘Hunter Killer’ erano già state autorizzate dal Pentagono. Perché se è vero che i terroristi possono nascondersi in terreni a loro congeniali, non possono nulla contro la rete satellitare USA.

Ecco allora la decisione dell’Isis di allontanare un uomo su cui pendeva una sentenza di morte che non sarebbe mai scaduta.

(Foto: web)