Il potenziale missilistico del nuovo impero persiano

(di Tiziano Ciocchetti)
21/11/17

Lo sviluppo del programma iraniano, relativo alla fabbricazione di missili balistici, nasce negli anni ’80 nel corso del conflitto con l’Iraq.

Un dato significativo, per quel periodo storico, è rappresentato dalla netta superiorità dei missili tattici SCUD (di provenienza sovietica) di Bagdad, per numero e prestazioni, rispetto a quello che possono dispiegare le Forze Armate di Teheran (i maggiori fornitori dell’Iran, fino al 1979, erano gli Occidentali i quali avevano comunque messo a disposizione tecnologie limitate).

Nel momento di maggiore crisi del conflitto, Teheran si rivolge dunque alla Siria e alla Corea del Nord, i quali provvedono a fornire poco più di un centinaio di SCUD B, una novantina dei quali vengono impiegati operativamente tra il 1985 e il 1988. Altre fonti parlano dell’acquisizione di diverse centinaia di SCUD B e il lancio di almeno 230 contro gli irakeni.

In seguito a questo iniziale contatto con la Corea del Nord, negli anni ’90 l’Iran stringe ulteriori legami con il regime di Pyongyang, nella speranza di acquisire nuove tecnologie missilistiche e non solo. Il risultato è la consegna di una decina di RO DONG (denominati anche NO DONG ma sostanzialmente anch’essi evoluzione degli SCUD), alcuni dei quali interi, mentre altri smontati nelle loro varie componenti. Da quel momento si cementano i rapporti tra Corea e Iran, anche grazie all’assistenza della Cina e della Russia, Teheran comincia così a dotarsi delle infrastrutture per costruirsi i missili in modo da non dover dipendere più dall’estero, almeno per quanto concerne i sistemi d’arma strategici.

Il cuore del programma missilistico iraniano è costituito dalla famiglia di missili balistici SHAHAB, formata da sistemi che appaiono come una evoluzione dei russi SCUD e dei nord coreani RO DONG e TAEPO DONG oltre a risultare fortemente influenzata dalle realizzazioni cinesi.

Sostanzialmente i primi due missili della famiglia SHAHAB, lo SHAHAB 1 e lo SHAHAB 2, entrambi installati su sistemi di lancio mobili, sono varianti realizzati localmente, rispettivamente dello SCUD B e dello SCUD C. Lo SHAHAB 1 è un missile in grado di trasportare una testata bellica da 760-1.000 kg ad una distanza di circa 300 km; mentre lo SHAHAB 2 ha una gittata di 550-700 km ed è in grado di trasportare una testata di 500-770 kg.

In ambito militare occidentale si discute molto circa il numero dei sistemi missilistici che Teheran è in grado di schierare: alcune fonti parlano di almeno 300/400 tra SHAHAB 1 e 2.

Un discorso più complesso merita il missile SHAHAB 3 (noto anche come ZELZAL-3, foto seguente): esso è in pratica una versione locale del nord coreano RO DONG - anche se per alcuni sarebbe invece il frutto della collaborazione tra Iran, Corea del Nord e Pakistan - capace di una gittata compreso tra i 1.200 e 1.500 km ( prestazioni che lo collocano tra gli SRBM, Short Range Ballistic Missile, come i fratelli minori SHAHAB 1 e 2), con una testata del peso di 760-1.000 kg, per passare ai quasi 2.000 km dello SHAHAB 3B. Inoltre è in servizio una terza versione migliorata, denominata SHAHAB 3D, che si ipotizza derivata direttamente dal vettore spaziale IRIS, utilizzato per la messa in orbita di piccoli satelliti.

Secondo alcuni analisti occidentali esso potrebbe essere semplicemente una variante più piccola del TAEPO DONG 2/SHAHAB 5 (in pratica impiegherebbe solo il secondo e terzo stadio del TAEPO DONG). Il missile SHAHAB 3 standard, invece, è caratterizzato da una configurazione a singolo stadio e dall’utilizzo di propellente liquido, ed impiega tecnologie mutuate da diversi missili russi tra loro più o meno coevi: da quelli della famiglia SCUD all’SS-3 SHYSTER, per finire con l’SS-4 SANDAL e con il cinese DF-2. Anche in questo caso gli analisti non concordano su quanti SHAHAB 3 abbia costruito Teheran: si oscilla da poche decine a oltre 150.

Pure le informazioni relative al settore degli autocarri adibiti al traporto e lancio degli SHAHAB (denominati TEL, Transport Erector Launcher) sono piuttosto imprecise: secondo alcune fonti occidentali, supportate anche da una attenta analisi delle immagini satellitari, ne esistono ameno di cinque modelli, alcune dei quali sono di costruzione civile.

Ad essi si aggiungono lo SHAHAB 4 e lo SHAHAB 5 descritti come evoluzioni dei nord coreani TAEPO DONG 1 e TAEPO DONG 2 in cui sono nuovamente presenti caratteristiche dei missili russi SS-3, SS-4 ed SS-5. Il comune denominatore con la tecnologia missilistica russa – si parla con frequenza dei motori RD-214 degli SS-4 oppure degli RD-216 degli SS-5, ma anche dei giroscopi o dei sistemi di guida di tali missili – è uno degli elementi di maggior dibattito in seno agli apparati di sicurezza del mondo occidentale. In realtà sembra verosimile l’impiego della tecnologia del SANDAL e degli altri missili sovietici degli anni ’60, sia sugli SHAHAB 4 e 5 che sui TAEPO DONG 1 e 2. Tuttavia, ciò non sarebbe dovuto alla fuga di informazioni estremamente riservate, ma dal fatto che il know how è divenuto di facile (o quasi) accesso. Infatti, già da molto tempo tale tecnologia è stata utilizzata sui primi vettori spaziali nonché divulgata in ambito tecnico-scientifico universitario. Quindi non dovrebbe essere stato troppo difficile per Corea ed Iran accedere a disegni, dati tecnici ed esemplari didattici di tali sistemi.

Lo SHAHAB 4 è un missile con un gittata di 2.000-2.800 km (il che ne fa un MRBM, Medium Range Ballistic Missile), con la possibilità di trasportare una testata di 300-1.000 kg; mentre lo SHAHAB 5/ KOSAR avrebbe una gittata di 3.500-.4.300 km (rendendolo un IRBM, Intermediate Range Ballistic Missile), ed un carico bellico pari a 350-1.000 kg. Inoltre vi è anche lo SHAHAB 6, considerato come il progetto di Teheran per la realizzazione di un missile balistico intercontinentale in grado di colpire il territorio degli Stati Uniti d’America, anche se in realtà dovrebbe essere un’ulteriore evoluzione dello SHAHAB 5/KOSAR/TAEPO DONG 2. La sua gittata, stimata, secondo alcuni analisti occidentali sarebbe compresa tra 5.500 e 6.000 km.

Parallelamente allo sviluppo di questi missili che impiegano tecnologie di frontiera – per l’Iran - vi è poi una panòplia di sistemi d’arma a breve raggio che vanno dai grossi razzi d’artiglieria ai piccoli missili balistici, sistemi che Teheran produce ed, in parte, esporta. A questa categoria appartengono diverse famiglie di razzi e missili, si tratta dei: MUSHAK, ZELZAL, FAJR, NAZEAT, FATCH e numerosi altri. Essi sarebbero il risultato d un aiuto esterno iniziale, ma soprattutto del lavoro della Sanam, società iraniana specializzata nella progettazione e costruzione di motori per razzi.

Proprio in quest’ultimo campo, un altro settore prioritario per Teheran sarebbe quello relativo ai nuovi missili balistici con propellente solido, i quali offrirebbero indubbi vantaggi operativi. A tal proposito gli iraniani hanno avviato un programma volto a realizzare una famiglia di ordigni di questo tipo. Il primo esemplare sarebbe denominato NP-110 ed avrebbe gittate comprese tra 150 e 200 km. I futuri modelli con prestazioni maggiori vengono talvolta indicati con il nome GHADR e sembrerebbero il frutto dell’assistenza cinese (anche se alcuni analisti sono più propensi nell’indicare i nord coreani). Comunque, nel primo caso, l’assistenza sarebbe così stretta che si tratterebbe addirittura di versioni locali di missili cinesi.

In merito sono circolate altre voci circa l’acquisizione di un certo numero di missili balistici tattici cinesi M-11 (oppure DF-11, con una gittata di 300-500 km e testata da 500 kg) e M-9 (oppure CSS-6/DF-15, con gittata di 600 km e testata da 500 kg) dotati di lanciatore mobile.

Accanto ai missili fatti in casa e a quelli nord coreani e, forse, cinesi, almeno altri due sistemi d’arma sovietici sarebbero giunti in mano iraniana: il più temibile sarebbe il missile balistico navale ( già operativo sui primi sottomarini Classe YANKEE) SSN-6, arrivato nel Paese tramite la Corea del Nord. L’ordigno è stato denominato S-15 KELT da Israele (probabilmente per la somiglianza con la sigla originale russa RSM-25), il che potrebbe far supporre ad una versione nord coreana di tale sistema. Teheran si sarebbe procurata 18 esemplari di SSN-6/BM-25.

Il secondo sarebbe invece il missile da crociera subsonico Raduga Kh-55 (o AS-15 KENT), un cruise molto simile ai primi modelli del TOMAHAWK statunitense (la sua gittata è pari a 3.000 km e, come il missile americano, nasce come arma nucleare), dodici esemplari del quale sarebbero stati venduti in modo illegale dall’Ucraina con l’appoggio di banche cipriote (altri sei sarebbero finiti alla Cina). In questo caso gli esemplari acquistati dovrebbero essere pochi e in cattivo stato ed è quindi plausibile che siano stati impiegati, da parte di Teheran, per acquisire tecnologia utile alla realizzazione di armi similari.

Per quanto riguarda il dispiegamento operativo, i Pasdaran hanno il controllo su tutta la forza missilistica iraniana, a dimostrazione della scarsa fiducia del Governo teocratico nei confronti delle Forze Armate tradizionali. Attualmente essi hanno formato un reggimento composto da 4 batterie su 6 lanciatori di SHAHAB 1 e 2 ed un’altra unità composta da una sola batteria su 3 o 6 lanciatori di SHAHAB 3. Tuttavia appare evidente la pericolosità di tali ordigni in quanto utilizzano propellente liquido, il che rende complesse e rischiose le manovre pre-lancio aumentandone notevolmente la loro vulnerabilità.

Se, per il momento, Teheran non è dotata di armamento nucleare, i numerosi missili balistici di cui è dotata - nonché quelli in corso di acquisizione – possono ovviamente montare testate di tale tipo. Tra l’altro i più prestanti SHAHAB 3 sono in grado di raggiungere tutti gli Stati del Medio Oriente, compreso Israele. I campi petroliferi della regione, così come lo stretto d’Hormutz, rappresentano anch’essi dei potenziali obiettivi che, se dovessero essere presi di mira, porterebbero ad una crisi di proporzioni mondiali.

(foto: IRNA / web)