Golia contro Davide: la Marina Militare italiana a confronto con quella israeliana

(di Tiziano Ciocchetti)
29/09/19

Il Heil HaYam HaYisraeli (il Corpo Navale dello Stato di Israele) era considerata, fino a pochi decenni fa, la forza armata meno importante nell’ambito delle IDF. Tuttavia, l’economia di Israele dipende quasi completamente dalle linee marittime di comunicazione. La loro protezione nei confronti di eventuali attacchi è quindi di fondamentale importanza strategica.

In considerazione della posizione strategica del Paese e dei precedenti conflitti esistono tre possibilità di un eventuale blocco navale:

• Blocco del Canale di Suez, che gli egiziani potrebbero chiudere al traffico dei mercantili israeliani.
• Blocco del Canale di Tiran, anch’esso controllato dagli egiziani.
• Blocco delle linee marittime di comunicazione nel Mediterraneo e nel Mar Rosso.

La maggior parte di queste linee di comunicazione passano vicino a nazioni ostili a Israele, come la Siria, il Libano e i paesi del Nordafrica. Inoltre le navi mercantili di Tel Aviv devono attraversare obbligatoriamente il braccio di mare compreso fra Sudan, Arabia Saudita, Yemen e Somalia, oltre a dover superare il collo di bottiglia dello stretto di Bab el Mandeb.

Il possibile quadro strategico delineato ha costretto gli israeliani ad analizzare nuovi concetti di deterrenza.

Uno dei primi a proporre per la Marina israeliana il nuovo ruolo di elemento strategico del Paese non fu un ammiraglio ma il generale Tal che, nel suo libro Sicurezza Nazionale, pochi contro tanti, pubblicato nel 1996, sottolinea il concetto di profondità strategica estesa anche al mare, in considerazione dell’esistenza di una flotta da combattimento che lo utilizza in profondità, sia in superficie che sotto di essa.

Il ruolo della Marina, secondo Tal, non deve essere più quello di un elemento ausiliario, ma quello di un elemento di deterrenza strategica. Si stava andando, quindi, verso una rivalutazione delle forze navali, troppo a lungo relegate ad un ruolo del tutto secondario.

La proliferazione dei missili balistici nei Paesi ostili, soprattutto in Iran, ha consentito di ridimensionare la superiorità aerea israeliana, imponendo agli analisti militari di Tel Aviv di rivedere il ruolo dell’Aeronautica come il solo strumento di deterrenza di Israele (nonostante l’immissione in servizio degli F-35I), dal momento che dipende da basi terrestri per quanto riguarda la logistica e quindi vulnerabili ad attacchi missilistici.

Le unità navali, sia di superficie che subacquee, costituiscono elementi praticamente perfetti in base ai moderni concetti di deterrenza strategica.

La Forza Navale dello Stato ebraico schiera imbarcazioni di superficie di piccole dimensioni (come le corvette classe SA’AR 5 - foto), mentre i sottomarini classe Dolphin (U-214 di fabbricazione tedesca, modificati su specifiche di Israele) sono in grado di lanciare missili da crociera Popeye equipaggiati con testate nucleari.

Nonostante l’assenza di portaerei, di un’aviazione navale, di unità d’altura (come le fregate classe FREMM e i caccia classe ORIZZONTE - foto seguente) e di navi d’assalto anfibie (LHD e LPD), la Marina israeliana riesce a garantire l’apertura delle vie di rifornimento marittime e la protezione litoranea del Paese.

Da ciò si evince la fondamentale importanza di avere un sistema paese che funzioni, con una classe politica che abbia chiari gli obiettivi strategici, a prescindere dai colori dei partiti. Altrettanto importante è un tessuto industriale efficiente che produca secondo le esigenze delle forze armate, e non per interesse politico.

Di contro la nostra Marina Militare è in grado di schierare un dispositivo navale – sia in termini numerici che di dislocamento complessivo - che ha pochi eguali nel Mar Mediterraneo (in ambito europeo la Marina Militare viene dopo quella inglese e francese).

Già all’inizio degli anni ’90, i vertici della Marina, avevano elaborato una strategia a lungo termine che consentisse alla Forza Armata di ricoprire un ruolo preminente nei futuri scenari internazionale, conseguenti alla fine della Guerra Fredda.

Il concetto di Mediterraneo Allargato, infatti, nasce dall’esigenza di uscire dai limiti terrestri del bacino del Mediterraneo. Infatti, oltre al bacino del Mediterraneo geografico vero e proprio, comprende anche l’Europa occidentale nel suo insieme col suo bagaglio di interessi geopolitici, geostrategici ed economici nella regione; l’Europa centro-meridionale come linea di confine con l’Eurasia e sede di instabilità e conflittualità.

La sua area operativa si allarga fino all’Africa maghrebina e alla fascia continentale subsahariana, all’Africa orientale dell’Oceano Indiano; alla complessa area del Medio Oriente che corre dai paesi del levante mediterraneo sino al subcontinente indiano correndo a nord lungo la critica fascia caucasica-caspico-afghana e a sud sino alle acque del Mare Arabico e al Golfo Persico per giungere a lambire nell’Oceano Indiano quel critico bacino che dal Pakistan e dall’India arriva a toccare le regioni del Sud-Est asiatico.

Questa vasta area rappresenta un unicum di interdipendenze e di influenze che ruotano intorno al Mediterraneo come naturale epicentro.

Il Mediterraneo Allargato è una tesi strategica che, ovviamente, la Marina Militare definisce marittimistica, ma questo termine non significa in assoluto strategia o specifico interesse navale o militare marittimo, bensì uno schema strategico globale dell’intero sistema Paese.

Tesi da interpretare come una strategia di prevenzione e di tutela della pace, del diritto e dell’ordine, sintetizzata nella definizione operativa del In avanti, in anticipo dal mare, che non è solo un’espressione strategico-militare della Marina Militare, ma un complesso di scelte e di relazioni internazionali che possono conferire all’Italia risalto e peso tra le nazioni alleate o associate, sempre che vi sia la capacità e la volontà della dirigenza politica.

Proprio nella nostra classe politica si evidenzia la dicotomia con il sistema politico-industriale israeliano. Dove quest’ultimo è indirizzato all’affermazione degli interessi strategici dello Stato ebraico e quindi, pur disponendo di un apparato navale assai ridotto, è in grado di tutelarne gli interessi economici, non solo nell’area del Mediterraneo orientale.

Mentre gli esecutivi italiani (di vari colori politici), nonostante possano disporre di un apparato aero-navale decisamente superiore rispetto a quello israeliano, negli ultimi anni non sono riusciti a tutelare gli interessi economici nazionali (emblematico il caso della nave Saipem 12000 impegnata lo scorso anno in attività di perforazione per conto dell’ENI nelle acque della Zona Economica Esclusiva di Cipro e bloccata da unità navali turche - v.articoli) e hanno permesso che la situazione in Libia precipitasse senza tentare alcuna azione per impedirlo.

L’analisi finale ci presenta un quadro poco edificante: abbiamo dispositivi militari costosi – sia in termini di mezzi che di personale - ma che non riescono ad apportare vantaggi strategici al sistema paese.

Foto: IDF / IAF / U.S. Navy / web