Siria, Palmira presto libera. Quando finirà la guerra, sarà l’Europa a farne le spese

(di Giampiero Venturi)
24/03/16

La Siria è scomparsa dai titoli dei principali giornali. Unica velina passata è l’intenzione di Obama di continuare a colpire lo Stato Islamico. Non capiamo dove, come e soprattutto quando, dato che finora azioni e soprattutto risultati concreti della coalizione a guida USA contro il Califfato non ne abbiamo visti.

Ciononostante le notizie dal fronte parlano chiaro. Ci sono due importanti fattori da evidenziare.

Il primo è la situazione sul campo: circa 6000 uomini delle Forze Armate siriane (Forze Tigre, unità della 18a Divisione corazzata e Fanti di Marina) appoggiate dai Liwa Suqour al-Sahra (i Falchi del deserto) e da Hezbollah sarebbero sul perimetro della città archeologica. L’Hotel Semiramis, ex lussuosa struttura per turisti diventata caposaldo delle milizie ISIS all'ingresso della città, sarebbe già stato liberato. 

Secondo fonti militari i comandi di Hezbollah avrebbero fatto esplicita richiesta allo Stato Maggiore siriano di entrare per primi a Palmira. L’odio dei miliziani sciiti contro i terroristi del Califfato è proverbiale. Presumibile che finirà in un massacro.

Il dato è tattico ma anche strategico, con una grandissima risonanza in termini politici. La scelta di far affluire miliziani dal fronte nord, dove erano impegnati contro i turcomanni affiliati ad Al Nusra, non è legata solo alle capacità militari e all’affidabilità sul campo di battaglia, ma è soprattutto uno schiaffo dato da Damasco, dall’Iran (e da Mosca) alla coalizione a guida USA. Quando Palmira sarà liberata, i media internazionali dovranno darne notizia con un certo rilievo, vista l’importanza della città e lo scalpore che generò lo scempio del sito archeologico nel maggio 2015. L’opinione pubblica mondiale dovrà prendere atto della presenza decisiva di Hezbollah, aggiornando la lista dei buoni/cattivi o quanto meno porsi delle domande.

L’assalto finale sarebbe già iniziato. La conferma verrebbe dall’intensificarsi dei raid aerei russi, 20 solo nella notte fra il 23 e il 24 marzo. 

Il dato ci permette di analizzare il secondo punto di grande rilievo geopolitico oltre che militare: i russi non se sono affatto andati, ma hanno solo cambiato strategia. Il comandante delle forze di terra di Mosca in Siria, generale Dvornikov, in un’intervista alla Rossiyskaya Gazeta avrebbe confermato la presenza di forze speciali sul terreno, la fornitura continua di materiali a Damasco e l’intensificarsi delle azioni aeree. I russi parteciperebbero direttamente alla pianificazione tattica della presa e della bonifica di Palmira data ormai per imminente.

Nel frattempo caccia ed elicotteri starebbero tempestando insieme ai MIG e ai Sukhoi siriani anche istallazioni all’interno del Governatorato di Raqqa, roccaforte del Califfato.

Se ne deduce che lo Stato Islamico versi in gravi difficoltà militari avviandosi verso una lenta ma irreversibile ritirata da molte regioni siriane.

Un sussulto ci sarebbe a nord, sul fronte di Aleppo in questo momento secondario per Damasco, e nel territorio di Daraa nel sudovest della Siria. Qui l’ISIS (la Brigata dei Martiri Yarmouk) non avrebbe preso di mira le truppe governative ma le posizioni del Free Syrian Army e di Al Nusra, coi quali non ci sono accordi nella regione da quando fu proclamato il Califfato nel 2014. Questo faciliterebbe le operazioni dell’esercito siriano le cui 38a e 15a Brigata avrebbero riconquistato molto territorio nei dintorni di Daraa, dando un colpo anche al morale del cosiddetto fronte ribelle. Perdere definitivamente la regione dove iniziò la rivolta contro Assad sarebbe una ferita mortale per le opposizioni al governo di Damasco.

Quanto sopra riportato ci permette di sostenere che la guerra in Siria, come più volte asserito in questa rubrica, è in una fase nuova, con ogni probabilità quella finale. Damasco presumibilmente finirà per riprendere il controllo di buona parte del territorio nazionale, con sacche di resistenza e aree franche sparse, appannaggio di milizie adiacenti soprattutto a minoranze (turcomanni al confine turco in particolare).

Se questo avverrà già entro il 2016 dipende da molti fattori. Di sicuro c’è il travaso di molti jihadisti verso altri lidi, Libia su tutti e l’attivazione di cellule terroristiche già presenti in Europa. Bruxelles insegna.

Tra un anno sentiremo parlare molto poco di Siria probabilmente, ma con i terroristi dello Stato Islamico (o chi per loro) dovremo fare i conti ancora per molto.

(Foto: SAA)