Russia e Israele s'intendono. Scacco agli USA di Obama

(di Giampiero Venturi)
22/09/15

Russia e Israele non si sono mai amati. Al di là delle considerazioni di facciata secondo cui molti cittadini dell’ex Unione Sovietica a suo tempo sono emigrati nello Stato ebraico, due fattori hanno sempre creato attrito:

- un antisemitismo latente ma molto diffuso sul territorio della Federazione

- le politiche mediorientali di Mosca, già dai tempi della Guerra Fredda.

Se il primo fattore incide poco sulle politiche pragmatiche di Israele da sempre più incline a tutelare la propria sicurezza che la propria verginità ideologica, sul secondo punto la questione è più delicata.

Mosca da qualche anno ha intensificato gli incontri diplomatici per rinvigorire i rapporti con i Paesi mediorientali tradizionalmente amici. Basti pensare ai contatti preferenziali con l’Egitto, raffreddati dai tempi di Camp David, ma che da un anno godono di altra linfa con il nuovo asse Putin-Al Sisi. La politica mediorientale di Mosca si allarga e come in passato non si limita ai Paesi arabi. Se l’uscita dell’Iran dalla sfera d’influenza americana nel 1979 finì per connotarla come mentore di Teheran, oggi in un’ottica di reinserimento dell’ex Persia nella comunità internazionale, i contatti privilegiati tra i due Paesi diventano fondamentali per le diplomazie di tutto il mondo. Dato per ovvio il legame tra Damasco e Mosca, si può dire quindi che il triangolo Iran-Russia-Siria oltre che ad essere forte, per molti è diventato anche necessario.

Lo ha intuito Israele che nell’intraprendenza politica e militare russa ha percepito una grande opportunità. Ecco così il summit al Cremlino tra Netanyahu e Putin che trasvola le dichiarazioni ufficiali sulla previa presa di conoscenza degli USA e s’identifica come un incontro denso di significati operativi e politici.

All’insegna di utilità reciproche, dopo due anni un premier israeliano torna a parlare direttamente con lo “Zar di tutte le Russie” scavalcando i pregiudizi e le storiche prese di posizione.

L’incontro, nell’aria da tempo ma organizzato in fretta, assume la forma di un aiuto reciproco, in barba ai nulla osta di una Casa Bianca considerata sempre meno affidabile da Tel Aviv e sempre più debole da Mosca.

Le evoluzioni sul terreno la dicono lunga. Il Cremlino è passato da un semplice aiuto politico alla Siria ad una fase operativa di prima linea con pesanti rilievi strategici.

I veicoli russi R166-0,5 (quartieri generali mobili) rilevati tra Homs e Aleppo e scortati da BTR-82 della Fanteria di Marina, evidenziano una raggiunta capacità di stabilire comunicazioni in un raggio di 1000 km, ben oltre quindi le semplici necessità difensive delle basi di Tartus e Latakia.

Il dispiegamento della Fanteria di Marina (la famigerata “Morte Nera”, potenziata da tempo in funzione strategica) conferma le forti attitudini al coinvolgimento diretto dei Russi. Lo schieramento della 810ª Brigata, parte della Flotta del Nero di stanza in Crimea, parla chiaro: oltre ai due battaglioni di “marines” e all’artiglieria, il reparto dispone del battaglione di ricognizione e dell’881° Paracadutisti, di solito apripista a presenze più massicce.

Il tema è stato presumibilmente al centro dei colloqui tra Putin e Netanyahu, non a caso accompagnato dal capo dell’intelligence militare.

Secondo una logica d’interessi intrecciati e stabilendo un precedente diplomatico mai visto da Ben Gurion in poi, Israele accetta il diretto interessamento di forze russe e l’apertura di nuovi scenari per Mosca, ma in cambio si pone l’obiettivo di fare ordine ai confini Nord. Il contatto diretto con la Russia senza passare per Washington garantisce in sostanza a Israele tre enormi risultati:

- in primis l’appoggio di un soggetto militarmente determinante nella lotta al presunto Isis e all’anarchia regionale (fattore maggiormente temuto da Tel Aviv).

- in secondo luogo la supervisione di Mosca sui suoi partner antagonisti dell’area. Da una parte Assad, il “nemico più affidabile” di Israele, che in cambio del proprio consolidamento sarà costretto a raffreddare ogni velleità antisionista, compreso l’appoggio incondizionato alle proiezioni di Hezbollah. Dall’altra il monitoraggio dell’Iran, nemico ontologico di Israele, soprattutto dopo i controversi negoziati sul nucleare avallati da Obama.

- non per ultimo, un grande schiaffo dato alla diplomazia americana, con cui l’amministrazione Netanyahu, che gestisce i rapporti più freddi tra USA e Israele dalla nascita dello Stato ebraico, si toglie un enorme sasso dalla scarpa.

Per la Russia il trionfo politico è enorme e speculare a quello di Israele. Oltre a confermarsi come potenza politica globale, si assicura un posto al sole anche in termini di capacità militari extraregionali. Non succedeva dai tempi del comunismo.

Come accennato in precedenti articoli i veri sconfitti sono gli USA, ostaggio di un’amministrazione indecisa tra il ruolo di superpotenza militare e quello di sedicente riferimento etico per un non meglio precisato pensiero pacifista planetario.