Referendum Nuova Zelanda: la vecchia bandiera non si tocca

(di Giampiero Venturi)
30/03/16

È il caso di dirlo: la Nuova Zelanda non rompe mai, nemmeno sul piano grafico. Il fallimento del referendum per l’introduzione della nuova bandiera nazionale dimostra che i legami col passato hanno ancora un senso per la maggior parte dei cittadini neozelandesi. I risultati ufficiali resi noti in queste ore attribuiscono un 56% delle preferenze per l’attuale vessillo e un 43% per il Silver Fern, nuovo drappo proposto, che al posto dell’Union Jack mostra una felce nativa dell’isola (già presente sulle maglie degli All Blacks).

Quando si parla di legami col passato per la Nuova Zelanda, s’intende ovviamente lo stretto rapporto col Regno Unito. A dirla tutta, qualunque fosse stato l’esito della consultazione, non sarebbe cambiato nulla né nella sostanza delle relazioni politiche, né sotto il profilo didattico: se oggi è difficile disegnare il vessillo neozelandese, nel caso avesse vinto il Silver Fern sarebbe stato più o meno lo stesso…

La variazione, in apparenza puramente simbolica, aveva però in realtà un vago valore geopolitico. Per la prima volta nella Storia Auckland aveva deciso di prendere la propria strada tagliando seppur solo simbolicamente il cordone ombelicale con Londra.

La bandiera della Gran Bretagna è graficamente formata dalle croci delle tre nazioni costitutive: quella inglese di san Giorgio; quella scozzese si sant’Andrea; quella irlandese di san Patrizio (il Galles è considerato accorpato all’Inghilterra). La sua presenza sulle bandiere di altri Paesi evidenzia l’effettivo legame fra Londra e il Reame del Commonwealth, di cui fanno parte ancora 15 nazioni nel mondo e di cui la Regina Elisabetta è formalmente Capo di Stato. Solo 3 di questi Paesi però la portano ancora oggi in un cantone del proprio vessillo: l’Australia, l’arcipelago di Tuvalu e appunto la Nuova Zelanda. A queste si aggiungono le Isole Figi, che pur diventando una repubblica nel 1987 non hanno mai aggiornato la loro bandiera nazionale.

Al di là delle chicche e delle curiosità, l’appartenenza al Reame del Commonwealth comporta ancora una dipendenza costituzionale con la Gran Breatagna. Tre importanti nazioni del pianeta, come Canada, Australia e Nuova Zelanda hanno un vincolo col Regno Unito che si tramuta poi sul piano politico: stesse scelte, stesse alleanze, stesse guerre. Non a caso nel rifiuto del nuovo vessillo pare abbai pesato la RSA, l’associazione neozelandese dei reduci di guerra, decisi a difendere la bandiera sotto la quale hanno combattuto. Evidentemente “bandiera vecchia, onor di capitano” non è solo un proverbio.

In questo modo non è stato seguito l’esempio del Canada che condizionato dalle spinte secessioniste del Quebec francofono, nel 1965 ha chiuso con l’Union Jack per adottare la foglia d’acero.

È da immaginare quindi che alla scelta della continuità grafica non seguiranno rivendicazioni d’indipendenza repubblicana con tanto di saluti neozelandesi alla Regina d’Inghilterra. In Australia viceversa, dove nessuno ha ancora proposto concretamente di cambiare bandiera, il dibattito sulla dichiarazione della repubblica è sempre molto attuale.

Scelte conservative o cambi di bandiera che siano, quel che sembra certa è la solidità dell’anglofilia delle ex colonie britanniche, suffragata da continuità linguistica, culturale e a questo punto anche sentimentale.

Che sull’Impero Britannico il sipario della Storia abbia invece deciso di chiudere ogni spiraglio, appare purtroppo per Londra un’irrimediabile certezza. Su questo non ci sono bandiere che tengano, ma è tutto un altro discorso…

(foto: web)