La NATO si allarga al Montenegro ma la Serbia punta i piedi. Cosa succede nei Balcani?

(di Giampiero Venturi)
09/05/17

Il 28 aprile è stato ratificato l’ingresso nella NATO del Montenegro, terza delle sei repubbliche ex jugoslave a scegliere l’Alleanza dal 2009 ad oggi.

Difesa Online ha affrontato l’argomento nel 2015, quando fu formalizzato l’invito a Podgorica, non rilevante dal punto di vista militare, ma molto incisivo sotto il profilo politico (leggi articolo). In considerazione dell’adesione di Slovenia, Croazia e Albania, fatta eccezione per i 20 km di costa bosniaca davanti a Neum, l’ingresso del Montenegro nella NATO trasforma l’Adriatico in un lago atlantico.

Il dato è enorme dal punto di vista storico e geopolitico, anche se va filtrato alla luce di alcune considerazioni.

Nonostante lo scioglimento dell’URSS e il sostanziale cambio di equilibri dal 1949 ad oggi, la NATO continua indefessa a puntare verso est. Lo spettro di un blocco euroasiatico costituito da un virtuale asse Brest-Vladivostock, tanto caro a De Gaulle, disturba ancora il sonno oltre l’Atlantico. In quest’ottica la NATO ha coinvolto molti ex nemici europei, pagandone il prezzo con una compattezza politica minore di quella che l’ha caratterizzata per mezzo secolo.

Non sono pochi i membri balcanici dell’Alleanza che intrattengono ottimi rapporti politici con la Russia, terminale di tutti gli strali occidentali. Oltre all’Ungheria e alla Bulgaria, va citata in particolare la Grecia, che pur sganciata da un passato filosovietico intrattiene ottime relazioni con Mosca, innanzitutto per questioni culturali.

Lo stesso si potrebbe dire per il Montenegro, cugino piccolo della Serbia, a sua volta sorella minore di Madre Russia. Diviso internamente da due fronti opposti, uno filooccidentale europeista e uno filorusso, il piccolo Paese balcanico non ha mai rinnegato i legami con Mosca di cui è stato negli ultimi venti anni il punto di riferimento turistico e finanziario nel Mediterraneo occidentale.

Omogeneità dei Paesi NATO a parte, rimane il fatto oggettivo che Podgorica ora sia ufficialmente parte di un grande ombrello politico e militare governato dagli USA.

La Russia ha dovuto ingoiare il rospo accettando l’ulteriore giro di corda che porta al collo dal 1991. Nel ’99 toccò a Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca; nel 2004 al resto dell’ex Patto di Varsavia, alle tre repubbliche baltiche (ex sovietiche) e alla Slovenia, intaccando per la prima volta l’ex Jugoslavia. Si replicò nel 2009 con l’ingresso nell’Alleanza della Croazia e dell’ex-stalinista Albania.

Nonostante mamma NATO sia da sempre capace di far sedere vicini popoli ostili (il caso di Turchia e Grecia vale per tutti), non tutti i Paesi si sono allineati alle nuove tendenze. Morto il comunismo e sgretolati i blocchi, sono tornati i vincoli culturali e i cattivi rapporti politici tra la ex Jugoslavia e Mosca si sono trasformati in fratellanza slava fra Serbia e Russia.

L’arrivo della Croazia nella NATO non a caso ha rispostato l’antico confine culturale fra Est e Ovest proprio tra la Sava e il Danubio.

Com’è logico, la confederazione Serbia-Montenegro, in attrito con gli interessi atlantici, ha rappresentato per un decennio una spina nel fianco nell’Alleanza. Com’è altrettanto logico andava eliminata.

Le tappe sono state progressive: prima è stato scisso il legame politico fra Belgrado e Podgorica, togliendo a Belgrado lo sbocco al mare, poi è stata arginata la componente nazionalista filorussa molto forte nella piccola repubblica adriatica. L’ingresso nella NATO era solo questione di tempo.

Non potendo frenare una migrazione scontata se non al rischio di accuse di ingerenze imperialistiche nelle questioni europee (anche se il Montenegro non fa parte dell’Unione, nda), la Russia non ha potuto far altro che stringere con la Serbia, alleata storica ormai abituata a recitare il ruolo di brutto anatroccolo nel consesso europeo.

La partecipazione di Belgrado alle annuali esercitazioni militari Slavic Brotherood la dice lunga. Sebbene la Serbia intrattenga un rapporto “non ostile” con l’Alleanza Atlantica, i rapporti di amicizia e collaborazione con Mosca non conoscono crisi.

A questo proposito è bene chiarire alcuni aspetti, legati alle presidenziali di aprile 2017. I giornali del mainstream italiano (Repubblica, 2 aprile, nda) hanno presentato la vittoria di Vucic come un trionfo dell’europeismo riformatore. Vucic, giovane e capace leader, è in realtà a capo del Partito Progressista che nasce da una scissione dal Partito Radicale Serbo di Seselj, di cui ha rinnegato solo le posizioni più ottuse. Le sue posizioni europeiste sono un'evidente necessità per evitare lo strangolamento economico del Paese, in atto dalla fine della ex Jugoslavia.

Come si pone dunque la Serbia, cuore dei Balcani?

La dichiarazione di Vucic riguardo alleanze militari con l’Occidente, sotto questo profilo sono state cristalline: “La Serbia non entrerà mai nella NATO” in virtù del suo ruolo “diverso” giocato in Europa da secoli e di un legame speciale con Russia Unita di Putin. 

Con la Serbia che punta i piedi, la campagna acquisti della NATO sembra ora arrivata al suo terminal orientale. Se Belgrado sarà punto di contatto o punto di attrito è tutto da vedere.

Cosa succederà ora?

Il prossimo passo per la NATO sarà rivolto verso l’interno, cercando di ridurre le differenze tra Stati membri che contaminano l’omogeneità politica. Il compito sarà molto arduo. Laddove non attaccherà la russofobia, carta vincente nei Paesi baltici e in Polonia, saranno le élite politiche a fare la differenza. L’eliminazione dei nazionalismi e dei movimenti sovranisti, sarà il prossimo obiettivo strategico. Il percorso è già iniziato, ma probabilmente per Bruxelles sarà il lavoro più difficile.

(foto: Војска Србије)