Guerra tra jihadisti: si rompe il fronte islamista nel nord della Siria

(di Giampiero Venturi)
24/01/17

Mentre tra mille difficoltà iniziano i colloqui di pace per costruire un futuro pacifico per la Siria, nei governatorati a ridosso del confine con la Turchia, regna la confusione. Il fronte ribelle islamista, formato da una galassia di gruppi armati, si è di fatto parcellizzato generando una guerra interna fra gruppi rivali.

Vediamo bene con ordine.

Finora l’unico attrito tra jihadisti operanti in Siria era quello tra lo Stato Islamico e i miliziani fondamentalisti operanti nel nord che seppur con sigle diverse, rispondevano al cartello unico di Jaish al Fateh, il famigerato Esercito della Conquista, costituito e armato da Arabia Saudita e Turchia. Nella città di Aleppo un aiuto all’alleanza era dato da Fatah Halab (Conquista di Aleppo) che col cartello condivideva la battaglia contro le truppe di Assad. Per mesi si è verificata quindi una situazione a dir poco ingarbugliata e a tratti paradossale: ribelli islamisti, curdi, turchi e forze armate siriane combattevano contro l’ISIS; gli jihadisti continuavano però principalmente a combattere l’esercito siriano e i curdi, anche se l’alleanza tra questi ultimi si limitava al settore di Aleppo; i turchi impegnati contro l’ISIS in realtà operavano contro i curdi, a loro volta in rottura con le forze governative nelle regioni del nordest; le forze governative impegnate contro ribelli e ISIS, mantenevano il gelo con i turchi e con i curdi, entrambi attivi in Siria contro la volontà ufficiale di Damasco.

Con la riconquista siriana di Aleppo, il fronte unico islamista ha iniziato a scricchiolare: venuto meno l’obiettivo comune, cioè resistere ai governativi, sono venute a galla le crepe.  

È stato in realtà proprio l’intervento della Turchia con l’operazione Scudo dell’Eufrate a rompere definitivamente gli equilibri sul campo. Tutto inizia nell’estate del 2016. La massiccia offensiva di Ankara in Siria, ufficialmente rivolta contro l’ISIS (in realtà tesa a ridimensionare i curdi), è servita ad Erdogan per presentarsi al tavolo dei negoziati come protagonista. Il prezzo da pagare era tagliare i ponti con quella parte delle milizie islamiste non disposte a dialogare e non direttamente collegate agli interessi turchi nella regione.

La conseguenza più importante si è concretizzata in questi giorni: il gruppo islamista salafita Jabhat Fateh Al Sham (gli ex filoturchi di Al Nusra, branca siriana di Al Qaeda), forte di almeno 15.000 miliziani, ha lanciato un’offensiva militare in grande stile contro Ahrar al Sham, altro gruppo salafita finanziato dall’Arabia Saudita ma strettamente collegato alla Fratellanza Musulmana e quindi alla Turchia di Erdogan. Negli scontri sarebbero coinvolti anche alcune fazioni del Free Syrian Army, anch’essi in rotta con Jabaht Fateh al Sham. A questo proposito va ricordato che il Free Syrian Army, ampiamente ridimensionato nel corso degli anni, da centro di accoglienza per i disertori di Assad, ha finito per essere una spalla turca nell’offensiva contro l’ISIS, e più in generale nella penetrazione nel nord della Siria. 

Solo pochi giorni fa era stata annunciata dagli stessi Jabaht Fateh l’espulsione di un ramo jihadista legato ad Al Qaeda (Jund al Aqsa) per dissensi legati alla supremazia interna.

Nelle prossime settimane c’è da attendersi novità militari e un ulteriore deterioramento dei rapporti fra fazioni islamiche ribelli. Tutto è legato ad uno sviluppo politico ormai ineluttabile: non tutti i soggetti che hanno finora operato più o meno liberamente in Siria, potranno far parte del suo futuro. Senza la benedizione della Turchia, in trattative con la Russia e indirettamente con l’Iran, per molti non ci sarà più spazio.  

(foto: web/Türk Kara Kuvvetleri)