Groviglio Pakistan. Cap.1: la guerra tra le vette del Kashmir

(di Giampiero Venturi)
18/02/16

Il Kashmir puro piace a tutti. Ma con spirito di compromesso ci si accontenta di un misto. Lo sanno bene India e Pakistan che sulla percentuale di Kashmir si scannano da 70 anni.

Da Srinagar, la capitale estiva, si arriva a Uri, villaggio sperduto nella zona calda di confine. Siamo oltre i 1500 metri; che sia calda fa sorridere: nel Kashmir passa la frontiera più alta del mondo. Più a nord, sulla strada del Karakorum tra Cina e Pakistan, si arriva quasi a 5000 metri.

Ogni tanto l’eco del cannone tra India e Pakistan arriva a valle, altre volte no. Gli scontri sono latenti e la tensione sfocia con ritmi cadenzati. L’ultimo scambio pesante è datato agosto 2015 con mortai da 120 tra Sialkot, Harpal e Sucheetgarh.

Non passa giorno che i Rangers pakistani e la Border Security Force indiana non aprano il fuoco. A novembre 2015 è stata l’India a contare due soldati morti. Le pattuglie del reggimento indiano Rajuputana Rifles sono spesso attaccate dai Pak (come vengono chiamati i soldati di Islamabad) nell’area del distretto di Poonch, ma i pakistani dicono il contrario.

Ogni giorno le rispettive propagande parlano con toni minacciosi. I tamburi indiani battono ancora con enfasi sul conflitto per il Ghiacciaio del Siachen, finito nel 2003. È stato lo scontro più “alto” della storia. È un vanto del Comando del Nord, il più eclettico dell’esercito indiano, costretto a vivere l’always in combat da decenni in condizioni climatiche uniche. Lo comanda il generale Hooda che prende ordini direttamente dallo Stato Maggiore a Delhi. Dispone di 5 divisioni di fanteria, due da montagna e una brigata di artiglieria autonoma. Più tutti i reparti speciali e le forze di confine del BSF. Tutto lo Stato del Jammu e Kashmir è in assetto di guerra: discreta ma sempre guerra.

I cartelli indicano Muzaffarabad, nome urdu e islamico perché finisce in abad, ma da nessuna parte si cita il Pakistan. Per l’India non esiste. Oltre il check point i militari non fanno passare. Già è tanto arrivare qui. L’unico collegamento via terra tra India e Pakistan è a Wagah, 500 km sotto. È un’area ad altissima tensione. A novembre 2014 un attentato ha fatto 50 morti. Era famosa la cerimonia quotidiana di chiusura dei cancelli.

Tra montagne e curve infinite sul fiume Jelhum ci si abitua alle capre dei pashtun, l’etnia trasversale che arriva fino all’Afghanistan. Ci si abitua agli uomini senza denti, ai camion senza vetri, alle strade senza paracarro, alla gente senza nulla.

Visto da qui il Pakistan è una costola dell’India. Una serie di montagne vicine, ostili, piene di ombre.

Partiti gli Inglesi, il Pakistan doveva essere la terra dei musulmani e l’India quella degli indù. Facile a dirsi, meno facile a farsi.

L’islam proliferava anche nel nord dell’India e a sudest, nel Bengala. Fino al ’71 si diceva Pakistan Orientale. C’è voluta la guerra con l’India per arrivare a oggi: Pakistan a sinistra e Bangladesh a destra, entrambi muslim, ogni anno più riottosi; in mezzo New Delhi. Parliamo di un blocco complessivo di un miliardo e 600 milioni di persone…

Per alcuni Pakistan è un acronimo, per altri vuol dire “purezza”; ma la maggioranza se ne frega. Qui in fondo è tutto incerto tranne tre cose:

  • dalla fine dell’epoca di Musharaf il Pakistan è ancora più ambiguo;

  • a impedire una guerra generale ci sono le 100 testate nucleari del Pak Fauj (l’esercito di Islamabad);

  • per l’India il Kashmir è indiano e non ci sono ragioni.

Eppure a vederlo sembra tranquillo e tutto uguale. Da sopra le vette il groviglio di interessi e alleanze che ci gira intorno sembra lontano.

Agli equilibri non ideologici della Guerra Fredda (USA col Pakistan e russi con l’India) si sommano mille altri nodi. La Cina amica dei pakistani (lo sviluppo dell’atomica è stato possibile grazie a Pechino), nemica degli americani e amica dei ribelli maoisti nepalesi; il Nepal cugino dell’India ma anche amico degli americani a loro volta poco amici dell’India; il Pakistan amico dei Talebani nemici degli USA, ma finto nemico di islamisti loro nemici.

Il gioco di parole si perde nel freddo pungente e umido che fa dimenticare ogni cosa. Col buio che arriva presto, rimangono il bianco della neve delle cime ancora illuminate e il grigio verde dei mezzi della 25a Divisione indiana.

La guerra può arrivare all’improvviso, col fatalismo asiatico di chi non si aspetta nulla. Ma anche no. Si torna a Srinagar, dove intanto si continua a vivere.

[continua]

(foto: autore/web)