Francia in guerra: riduzione di sovranità e burocrazia hanno fatto un disastro

(di Giampiero Venturi)
27/07/16

Per tutta la Quinta Repubblica gli inquilini dell’Eliseo sono stati connotati da un fattore comune: l’irrinunciabile modo di apparire e di pensare francese. È una connotazione tipica della politica repubblicana transalpina, che ha garantito per mezzo secolo unicità, indipendenza e con rispetto parlando, un certo velo di antipatia.

Anche quando a Parigi si è insediato un Presidente socialista, l’andazzo non è cambiato, anzi. L’originalità e il carisma di Mitterand non hanno fatto altro che riproporre l’immagine di un Paese inserito in tutto e per tutto in Occidente, ma comunque libero di scegliere il suo destino, se necessario anche a strattoni.

La straordinarietà francese è data dalla trasversalità di questo approccio, rimasto immutato a prescindere dalla famiglia politica del Presidente. In questo senso vale l’esempio della continuità fra lo stesso Mitterand e Chirac, diversi in tutto fuorché nella capacità di chiudere le porte agli “alleati” quando questo non rientrava negli interessi della Francia. Ai pessimi rapporti fra Mitterand e Reagan degli anni ’80, è seguita la politica tutto tranne che atlantica dell’ex sindaco di Parigi: il rifiuto di Chirac di entrare in guerra contro Saddam Hussein nel 2003 ne fu la prova più classica.

Tutto questo vale fino al 2007, quando l’ascesa di Sarkozy stravolge i canoni del President “à l’ancienne” inaugurando l’immagine del giovane rampante e decisionista, successivamente importata anche in Italia.

Dietro il cambio di look però, c’è del torbido. Nel 2009 passa sotto traccia un fatto storico: Parigi dopo 43 anni rientra nella NATO. L’uscita dal Comando integrato voluta da De Gaulle nel ’66 era stata motivata senza mezzi termini in nome della “sovranità nazionale“ e avrebbe aperto decenni di antipatie tra Alleanza e Parigi, costrette comunque a collaborare.

La scelta di rientrare nel 2009, in assenza di un nemico comune planetario, ha stravolto la politica estera francese, di fatto non più indipendente ma compromessa agli obiettivi strategici di Washington. Se n’è parlato poco, quasi per niente. 

Altrettanto poco (e sarebbe assurdo il contrario stavolta…) si è parlato dell’ultimo ritocco nell’organizzazione dei Servizi francesi, avvenuta sempre sotto la presidenza Sarkozy nel 2008. Nonostante la fusione tra Direzioni per la Sicurezza del Territorio e Informazioni Generali tutta l’Intelligence transalpina viene strutturata all’insegna della frammentazione. Oltre agli Interni ci sono i comandi della Difesa, da cui dipende la Direction Générale de la Sécurité Extérieure e la Direction Rensegnements Militaires, e le Direzioni interne al Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Se aggiungiamo la creazione di uno Stato Maggiore Operativo per la Prevezione del Terrorismo (voluta dal ministro di Hollande Cazeneuve) e le direzioni investigative interne alla Polizia Nazionale, il groviglio diventa inestricabile. Sulle stesse dinamiche d’intervento in situazioni d’emergenza, ci sono 3 unità di forze speciali dipendenti dall’interno (BRI, RAID e FIPN) sul cui utilizzo gli stessi francesi non hanno le idee chiarissime.

I motivi per cui ci sia tanta confusione, comune ad altri Paesi che ancora non sono stati messi alla prova come la Francia di questi tempi, dipende essenzialmente da due aspetti:

  • da una parte moltiplicare i comandi e i comandanti, per ovvie ragioni politiche interne
  • dall’altra, evitare i verticismi, patologia incurabile di tutte le democrazie europee dal Dopoguerra in poi.

Appare difficilmente discutibile che la riduzione della sovranità nazionale combinata all’ingarbugliamento degli apparati d’intelligence e prevenzione, abbia avuto un effetto fatale sulla sicurezza nazionale francese. In virtù di quanto detto a proposito del rientro di Parigi nella NATO, vanno ricordate le linee storiche del Quay d’Orsay inaridite proprio per assecondare la volontà degli USA, per anni lontani dal “giro di amicizie” francesi. In questo Hollande ha fatto anche peggio di Sarkozy.

Parigi aveva rapporti particolari con gli slavi (Mosca e Belgrado su tutti) e con molti Paesi arabi, ponendosi talvolta in totale antitesi con le politiche atlantiche. Dai tempi del mandato francese sulla Siria degli anni ’20 e ’30, la Francia ha tessuto ottimi rapporti con Damasco e in particolare col Mukhabarat, il servizio informazioni militare legato direttamente alla dinastia Assad. Seguire la scia di Washington e cambiare politica in Medioriente (Hollande ha rotto con Damasco) ha creato non pochi problemi sul piano della prevenzione del terrorismo.   

Quanto sta succedendo in Francia non ha precedenti nella Storia recente. Sebbene il Paese abbia passato momenti difficili anche in periodi di totale indipendenza dai vincoli atlantici, è facile immaginare prossimi scossoni politici e geopolitici. Le presidenziali sono alle porte: quanto il maggioritario puro vada ancora in soccorso dell’establishment e del ritorno dello stesso Sarkozy è tutto da vedere.

 (foto: Police Nationale)