Reportage Siria: Un giorno qualunque a Damasco, mentre il mondo volta pagina

09/11/16

È una mattina strana questa a Damasco. Colpi d'artiglieria in partenza (talvolta in arrivo…) verso aree ancora sotto il controllo ribelle fanno da sottofondo anche oggi nella capitale siriana.

Studenti con zainetti di spiderman ciondolano verso scuola, mentre i negozianti riaprono con lentezza serrande di attività che la guerra ha ridotto al minimo.

Sembra l'inizio di una giornata come le altre, ma quella di oggi passerà alla Storia: Trump, contro ogni previsione, sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti.

L'elezione, se verranno confermate anche solo la metà delle considerazioni fatte sulla politica estera degli ultimi otto anni, porterà ad un cambio di rotta. Quanto sarà ampio è ancora difficile dirlo, ma avverrà.

Di sicuro è stato evitato l'inasprimento del sostegno palese alle forze ribelli “democratiche” e quello “accidentale” a quelle del Califfato.

In Siria una guerra costruita sul terreno e distorta sui media mondiali è già costata mezzo milione di morti. Un genocidio.

Una strage insensata e criminale tesa a prolungare un'agonia, non a vincere la guerra.

Il conflitto è al suo sesto anno. In questo lasso di tempo la macchina della propaganda degli oppositori del governo siriano ha fatto più danni delle lame dei tagliagole mandati qui da Arabia Saudita, Libia, Egitto, Cecenia, Tunisia, e quasi altre 100 nazioni per “liberare la Siria da una dittatura”.

La vera colpa del presidente siriano Assad è quella di essere a capo di una nazione che è difficile definire democratica (risulterebbe difficile anche ad un nordcoreano…), ma di non essere al tempo stesso un “dittatore”.

Se ci fosse stato ancora il padre, come avvenuto in passato, i conti si sarebbero liquidati in pochi mesi e poche decine di migliaia di morti. Un crimine certamente, ma che al costo di una responsabilità individuale avrebbe salvato 500.000 vite umane.

Che dovrebbe fare ora dunque il buon Bashar?

Sicuramente prendere l'iniziativa: evitare di subire una nuova campagna di disinformazione e spiazzare il nemico con riforme che rendano giustizia alle troppe famiglie siriane che hanno visto cadere almeno un parente a causa della guerra.

Porre attenzione in settori che si sono rivelati un boomerang. L'informazione per esempio. Sei anni fa la televisione di Stato non era ritenuta affidabile da nessuno e parabole satellitari facevano capolino su ogni tetto del Paese in cerca di fonti attendibili.

Quelle stesse “fonti attendibili” hanno tradito i siriani. Ora sopra i tetti di ogni casa c'è solo un cimitero di parabole arrugginite. Quando è servita la verità, il governo è stato vittima di se stesso, confondendo l'informazione con la propaganda fino a ritrovarsi tra le mani un'arma scarica. Arma ben utilizzata dai ricchi ed influenti nemici di ogni livello e di ogni Paese... Ammettere l'errore e adoperarsi per non ripeterlo, comprendere che è meglio avere un’informazione attendibile (anche quando critica), potrebbe far recuperare vigore ad un popolo esausto dopo anni di bugie e lacrime.

Diciamolo senza remore: in sei anni di guerra la propaganda siriana non è mai stata all’altezza di quella occidentale.
Per anni i soldati di Damasco sono apparsi all'opinione pubblica internazionale come carnefici, assassini del loro stesso popolo; le milizie ribelli viceversa, con la complicità dei media di tutto il mondo, sono state dipinte come simbolo di democrazia volte a liberare un intero Paese dal giogo della dittatura.
L'embedding di fotografi e giornalisti nelle file dei cosiddetti “ribelli democratici” ha trasformato gli oppositori armati ad Assad in eroi, celebrati per le loro gesta contro un regime assoluto e sanguinario.

Dall'altra parte non è invece giunto nulla, nessuno che potesse raccontare le vicende di uomini e ragazzi, che spesso volontari, hanno vestito l’uniforme del proprio esercito, al solo scopo di difendere la propria terra, le proprie case e l'integrità nazionale; uomini dal background proletario, poveri, spesso poverissimi, uccisi, feriti, mutilati per poi finire marchiati a vita dal bollo dell’infamia.

La guerra di questi soldati è stata silenziosa, oberata dal fardello del disprezzo globale e condotta con mezzi e strategie inadeguate.
Non stupisce quindi il rilevante numero delle vittime, ma soprattutto la rabbia nei confronti di quell'Occidente che prima ha trascinato sul campo migliaia di individui innocenti e poi li ha disonorati.

Oggi che l'intervento russo ha invertito le sorti del conflitto e che la vittoria sul campo appare prossima, resta aperta la battaglia mediatica che vuole un trattamento diverso tra chi combatte l’ISIS in Iraq e chi lo combatte in Siria.

Con essa resta l’obbligo morale di riequilibrare le tremende disparità sociali create dalla guerra. Le centinaia di migliaia di sconfitti dalla sofferenza, dal dolore e dai lutti restano in attesa di qualcuno che possa raccontarne la vita.

Un'altra granata cade in lontananza. Un giorno che passerà alla Storia, per Damasco è un giorno come gli altri.

 

testo: Andrea Cucco, Giorgio Bianchi, Giampiero Venturi

foto: Giorgio Bianchi