Il ritorno del Vietnam cambia il Sudest asiatico. Cap. 1: L'ex fortezza rossa

(di Giampiero Venturi)
30/05/16

Il Vietnam ha segnato una generazione, anzi due. Quella che ci è rimasta sotto a suo tempo; quella che si è drogata di immagini a partire dagli anni ’80, quando il cinema lo ha trasformato in leggenda.

Pochi Paesi al mondo sono evocativi come la terra dei Viet, associata per forza e per dolore ad una delle guerre più sporche, dimenticate e al tempo stesso importanti del XX° secolo.

Come tutti gli altri però si è aggiornato ai nuovi equilibri nati col pensionamento delle ideologie e la fine del ‘900. All’inizio con calma, con i tempi lenti di un socialismo del Tropico; poi via via più veloce, con la frenesia mercantile che solo i popoli asiatici, del Sudest asiatico in particolare, riescono a interpretare al meglio.

Le riforme di Hanoi cominciano a metà anni ’90, quando la cordata del socialismo globale comincia ad allentarsi in parallelo con la chiusura del rubinetto delle sovvenzioni sovietiche. Cuba, Angola, Mozambico, Etiopia, Mongolia, Yemen del Sud… quindi Vietnam. Implode l’URSS e il mondo si adatta, trascinando con sé geografia e politica.

Passo dopo passo, la trasformazione del Paese procede senza sosta. Ho Chi Minh City torna a somigliare alla Saigon di una volta, ogni giorno più lontana dall’immagine di preda comunista e più vicina al modello nottambulo indocinese, costruito su turismo e puttane. Per capire il Vietnam di oggi basta fare un giro a Nha Trang: base americana durante la guerra, oggi è diventata la Rimini del Mar della Cina Meridionale, fra turisti occidentali felici e hot toc (barbieri…) che sottintendono bordelli. 

In questo contesto la visita di Obama ad Hanoi manda un segnale chiaro al mondo intero: il Vietnam è tornato perché il Vietnam serve.

Se con il ripristino delle relazioni diplomatiche l’ambasciata americana di Saigon (oggi è un consolato; la nuova ambasciata è ad Hanoi) da monumento nazionale diventava pagina di storia, con la visita del presidente uscente USA, si segna un nuovo tratto dei quadri geopolitici asiatici.

Il passo decisivo in questo senso è la fine dell’embargo americano che sdogana Hanoi dal Purgatorio dei dannati.

Andare in giro e togliere gli embarghi pluridecennali sembra sia una peculiarità di Obama, ma dietro la cortina di dichiarazioni bonarie, le motivazioni sono altre. Per capire il senso del riavvicinamento di Cuba, destinata a tornare un sonnacchioso lupanare caraibico, può bastare la ragione commerciale; per il Vietnam invece l’abbraccio americano ha un valore più tecnico, decisamente strategico. 

Quando gli americani passarono dai consiglieri degli anni ’50 all’escalation del ’65, il dubbio crescente nei corridoi di Washington era solo uno: “vale la pena morire per un paesello agricolo tropicale, per giunta privo di risorse?”

Allora il peso geopolitico d’Oriente era relativo: la Cina era un continente di biciclette; le “tigri asiatiche del Far East non erano ancora nate e il subcontinente indiano non aveva chiuso il suo percorso d’indipendenza. La paura dell’Asia rossa però pesò più dei possibili rischi e l’America rimase impantanata in una guerra iniziata male e finita peggio. L’unica posta che ci si giocava allora era una tessera nel mosaico della Guerra fredda; nello specifico la perdita del Vietnam del Sud, bastione occidentale in un contesto nemmeno troppo ostile. L’America stava per replicare con Ho Chi Minh l’errore fatto con Fidel Castro: avrebbe fatto passare sul fronte sovietico quello che poteva prendersi con una stretta di mano.

Oggi però l’Asia è diversa. Nessun continente è cresciuto così tanto negli ultimi 40 anni. Ed in Asia si giocheranno le partite del futuro.

In particolare il Mar della Cina Meridionale è al centro di un vortice politico, futuro luogo di scontro di placche geopolitiche planetarie: da una parte gli USA; dall’altra la Cina; in mezzo la Russia.

Come si colloca il Vietnam?

Hanoi ha copiato a Pechino il modello politico-economico introdotto dalle riforme di Deng Xiaoping. Fu lui a creare il “doppio sistema” mischiando le teorie di socialismo e capitalismo per dare vita ad un nuovo modello: dittatura rossa da un lato, economia di mercato dall’altro. Il cambio di tenore di vita e le nuove generazioni hanno fatto il resto.

Vietnam e Cina si ritrovano così sullo stesso orizzonte pronti alle sfide del nuovo secolo, ma ci si ritrovano guardandosi in cagnesco come ai tempi della guerra del ’79.

È qui che s’infilano gli States, mai tanto interessati a recuperare Hanoi come in questi ultimi due anni.

In gioco questa volta c’è la supremazia in un’area economicamente fortissima e strategica per questioni energetiche.

A cosa punta Washington?

Due sono i punti fondamentali:

  • evitare un riavvicinamento tra Cina e Vietnam che renda la Cina onnipotente nella regione;
  • evitare che nel Vietnam l’influenza russa torni a pesare come 40 anni fa.

A differenza degli altri continenti, l’Asia non è coperta da convenzioni o organizzazioni sovranazionali importanti. Fatta  eccezione per l’ASEAN (di cui la Cina non fa parte), il grosso delle cooperazioni, soprattutto dal punto di vista politico-militare, è stabilito con accordi bilaterali. In altri termini, il più svelto a muoversi fa bottino. Gli USA lo sanno e la paura di rimanere tagliati fuori ha agitato l’East Asian Pacific Affairs del Dipartimento di Stato.

Per evitare che Cina e Vietnam si prendano un giorno per mano, in realtà non c’è molto da fare. La diffidenza reciproca è enorme. Basta alimentare il contenzioso aperto dall’occupazione cinese delle Isole Paracel nel ’74 e la diatriba sempre più aspra per le non lontane Spratly, ricche di petrolio. L’aumento della presenza americana nell’area suona come una pulce all’orecchio del Vietnam, la cui cooperazione economica con Washington cresce di anno in anno.

Le provocazioni reciproche fra marine militari USA e cinese degli ultimi mesi, rientrano in questo tentativo d’inserimento nell’area degli Stati Uniti.

Nella partita fra USA e Cina, c’è da fare i conti però con la storica amicizia tra Vietnam e Russia.

In un clima di Guerra fredda nel Mar Cinese Meridionale, Mosca non starà a guardare.

(foto: dell’autore e Hải quân Nhân dân Việt Nam)

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