Il grande freddo che arriva dal Baltico. Cap.2: L’Europa dell’Est si riarma controvoglia

(di Giampiero Venturi)
26/02/17

Dall’Estonia alla Bulgaria, passando dalla Germania. Sono 4000 i soldati americani, che insieme a carri armati, artiglieria e mezzi blindati verranno distribuiti nelle prossime settimane nei Paesi dell’Est per fronteggiare la  potenziale minaccia russa.

La notizia sembra di 30 anni fa, ma invece è di questi giorni. Alla vigilia di un cambio della guardia epocale alla Casa Bianca, l’Europa orientale si risveglia ancora col rumore di cingoli. Sembra assurdo, ma è così.

Il quadro geopolitico di oggi è radicalmente diverso da quello degli anni ’80, ma non tutti sembrano averlo capito. Lo stesso concetto di “Est Europa” è ormai un binomio artificiale. Se ai tempi del comunismo, una barriera rigida correva dal Mare del Nord al Mar Nero separando due sistemi diversi in tutto, oggi è difficile trovare omogeneità politica nei Paesi dell’Est soprattutto in chiave anti Mosca.

Fatte salve Varsavia, Riga, Tallinn e Vilnius (la Lituania si dichiarò indipendente nel 1990, ancora prima che l’URSS si sciogliesse con gli accordi di Belaveža), altre capitali dove alberghi una forte sindrome antirussa non ce ne sono. Può apparire strano ma perfino Budapest e Praga, il cui passato gronda di sangue, non sembrano trovarsi a proprio agio nelle politiche atlantiche degli ultimi anni. Dello speciale rapporto tra l’ungherese Orban e Putin si parla da tempo.

A Bratislava, in Slovacchia, l’euroscetticismo definito “populista” dilaga, così come confermato dalle elezioni dell’inverno scorso. Se è vero che le politiche UE sono sempre più assimilabili a quelle NATO (solo 6 Paesi dell’Unione non fanno parte dell’Alleanza), il quadro appare ancora più chiaro. Per la Bulgaria che ha votato a dicembre, vale lo stesso: l’atlantismo non va più di moda.

Nonostante la poca nostalgia per la Guerra fredda, i conti però non tornano.

Lo scorso giugno, le manovre NATO Anaconda-16 hanno coinvolto più di 30.000 uomini in Polonia (non succedeva dai tempi dell’URSS). In parallelo la grande esercitazione navale Baltop, ha messo insieme 16 Paesi NATO a cui si sono aggiunte Svezia e Finlandia, esterne all’Alleanza.

Esercitazioni a ridosso dei confini russi e pattugliamenti fitti delle coste del Baltico sono all’ordine del giorno, con rischi di incidenti riportati dai media solo nei casi più eclatanti, come l'episodio del sorvolo di due Sukhoi russi del cacciatorpediniere USA Cook lo scorso aprile.

L’Italia, presente ogni volta che la NATO si muove, a ottobre ha addirittura ufficializzato la disponibilità a inviare un contingente di terra in Lettonia.

Viena allora da chiedersi: il ritorno del “soldato Ivan” è davvero imminente? la minaccia di un’invasione russa dell’Europa è poi così reale? Il fulcro delle politiche dell’Alleanza a quanto pare ruota proprio su questo: finora sembrano prevalere le istanze dei Paesi più “russofobi”.

Vista da punti di vista opposti la situazione attuale nel Baltico è però più semplice di quanto si creda. 

Iniziamo col dire che per semplici questioni di sopravvivenza il sentimento antirusso all’estremo nord è duro a morire. È un dato storico, sganciato dai corsi politici. 

Lo sanno bene i norvegesi del Finnmark, per mezzo secolo unica frontiera diretta (oltre alla Turchia) fra la NATO e l’Unione Sovietica.

Lo sanno bene Svezia e Finlandia, che seppur esterne al Patto Atlantico, per decenni hanno ripescato sottomarini curiosi e addestrato soldati lungo i confini orientali. 

A suo modo lo sa anche la Polonia, stretta fra un nazionalismo antieuropeista (e antigermanico) e un rancore storico irriducibile verso Mosca. 

Ma lo sanno più di tutti i Paesi baltici, loro malgrado parte integrante dell’URSS per 50 anni.

Vista dal nord insomma, la contesa con la Russia non è altro che il capitolo “n” di una storia senza mai fine: da una parte l’orso aggressivo e affamato che viene dal ghiaccio, dall’altra l’Europa che prova a resistergli.

Partendo da Est la prospettiva ovviamente cambia e dalla fine della Guerra fredda le considerazioni sono sempre le stesse. In soli 10 anni la NATO si è allargata tre volte verso Oriente inglobando tutti i Paesi dell’ex Patto di Varsavia a cui vanno aggiunte Lituania, Lettonia ed Estonia, interne ai confini di Mosca. Se a Washington e Bruxelles si grida all’aggressività russa, da Mosca si sostiene l’esatto contrario: “siete voi che ci state strangolando, spostando verso Est le vostre basi”.

L’assorbimento dei Paesi dell’ex blocco sovietico è avvenuto sistematicamente fino al 2003-2004, quando la situazione al Cremlino era ancora fluida (primo mandato di Putin, crisi nel Caucaso ancora aperta). Le cose sono progressivamente cambiate fino a generare lo stato attuale di allarme. Con tutta evidenza, l’attrito recente nasce dal fatto che la Russia di oggi non è più disposta a permettere giochi pericolosi nel proprio cortile di casa. Lo dimostrano la guerra in Georgia del 2008, quando la 58a Armata reagì all’annessione dell’Ossezia del Sud da parte dell’esercito di Tbilisi armato dagli USA; lo dimostrano le crisi in Crimea e nel Donbass del 2014."Decennio che vai, capacità militare di Mosca che trovi" verrebbe da dire: in fondo è innegabile che se prima si parlava russo a Berlino Est, oggi si combatte per parlarlo ancora all’aeroporto di Donetsk.

Il freddo polare del nord sembra però congelare tutti i ragionamenti in una strana atmosfera sospesa. La data che tutti aspettano è il 20 gennaio, quando ci sarà il passaggio di consegne ufficiali tra Obama e Trump a Washington. Sono in molti a pensare che da lì in poi si guarderà a primavera, quando il ghiaccio di questi tempi sarà solo un ricordo.

Vista da Klaipeda, sulle coste della Lituania a ridosso di Kaliningrad, la cosa piace fino a un certo punto. Anzi non piace affatto.

In attesa dei rinforzi NATO, tra nuvole grigie e gabbiani si pensa ancora all’inverno. Avere vicini grandi e grossi del resto non è facile. Ubi maior dicevano i latini…

segue da Capitolo 1

(foto: NATO, ВДВ)