Donbass, la guerra che non c'è: sotto il fuoco ucraino (video)

(di Giorgio Bianchi)
18/03/17

Al terzo anno di guerra nel Donbass l’Europa si ostina a non vedere.

Noi cittadini comunitari, nei confronti di questa tragedia, ci stiamo comportando un po’ come se avessimo un elefante coperto di fango nel soggiorno di casa e fingessimo di non vederlo.

Eppure è la fermo al suo posto dalla primavera 2014: ha l’aspetto di villaggi rurali mai sfiorati dalla storia, devastati dagli incessanti bombardamenti; ha il volto di giovani miliziani dagli occhi chiari e la faccia da bambini cresciuti troppo in fretta; indossa il fazzoletto sulla testa come quelle povere Babuske che si ostinano a non abbandonare la loro casupola ed il loro frutteto; ti guarda con la faccia di chi ha visto piombare sulla propria testa una calamità tanto grande da non poterla neanche immaginare; soprattutto dopo il 2012, l'anno degli europei di calcio in Ucraina e Polonia.

A Donetsk il calcio era una cosa seria; c'era lo Shaktar (che in lingua locale significa minatore) che il miliardario Rinat Achmetov aveva portato al vertice delle squadre europee.

Achmetov al tempo si era anche premurato di edificare uno stadio che fosse all’altezza delle aspirazioni della sua squadra; e questo era la Donbass Arena un ultra-moderno tempio sportivo da mezzo miliardo di dollari.

A causa della guerra la squadra si è trasferita in territorio governativo e ora gioca nel Metalist Stadium di Kharkov. Da quel momento lo stadio ha smesso di illuminare le notti di Donetsk.

Entrando nella città di sera dopo l’attraversamento della frontiera con la Russia (e dopo aver fatto per la prima volta anche la carta di immigrazione), vedere lo stadio di nuovo illuminato è un vero shock. Questo spettacolo è dovuto alla recente nazionalizzazione della struttura da parte del governo della DNR.

La Donbass Arena è solo una della lunga lista di attività recentemente nazionalizzate dalle autorità separatiste. Tra queste c'è perfino la catena di Mc Donald’s della città ora divenuti Don Mak, ove la parola Don sta ovviamente per Donbass.

All'interno ci sono le stesse cameriere con cappellino e camiciola a maniche corte sorridenti, i palloncini ed i cestini di cartone per i bambini…Tutto rigorosamente marcato Don Mak.

La vita in città come sempre scorre tranquilla.

Il traffico è aumentato ed ovunque è possibile vedere inservienti intenti a ripulire le aiuole dalle foglie secche per prepararle alla fioritura delle rose.

Nei fine settimana competizioni sportive, spettacoli all’Opera ovvero quanto di meglio una qualsiasi città Europea possa offrire.

Insomma Donetsk è sempre Donetsk e se ti trovi in centro città la guerra sembra altrove, lontana.

Ma chi la frequenta da molti anni sa benissimo che in città c’è una sorta di porta fantastica che collega due universi paralleli: quello della normalità e quello della follia.

Questa porta si trova nei pressi dell’aeroporto al capolinea del filobus. Ti accorgi di essere nelle sue vicinanze perché nelle aiuole ci sono ancora le foglie secche ma soprattutto perché le finestre dei palazzi ancora oggi, in molti casi, sembrano orbite vuote.

I passanti si fanno più radi e le macchine hanno la tipica connotazione delle vetture usate dai militari per raggiungere il fronte: due dita di polvere, niente targa ed il parabrezza nella migliore delle ipotesi crepato.

Ma è soprattutto il rumore delle detonazioni a rivelare la presenza di quella porta accompagnato dalle raffiche di armi automatiche.

Quella porta magica è proprio lì, a poche centinaia di metri dall’esercito ucraino.

(foto/video: Giorgio Bianchi)