Donbass - Cap.2: un calcio alla guerra e uno al pallone

(di Giampiero Venturi, Giorgio Bianchi)
22/06/16

Prove di normalità nella Repubblica del Donbass, dove si ricomincia a vivere anche col pallone. Si ricostruisce il campionato con giocatori professionisti e semiprofessionisti. Ma è tutto sospeso in un limbo, in bilico tra la voglia di vivere e la ragion di Stato.

Dal 2014 in poi, tutto è cambiato. La Prem'er-Liha, la serie A ucraina, si è adattata alla politica rimescolando nomi cose e città.

Il calcio qui è pane quotidiano: siamo in Europa anche per questo… Non c’è un solo ragazzino nel Parco Shcherbakova che non conosca a memoria le squadre del campionato italiano. Ma c’è una linea sottile che divide tifo, patrie e coscienze. Una volta a Donetsk si giocava il derby d’Ucraina: la rivalità fra lo Šachtar e la Dinamo di Kiev era proverbiale. Ora lo Šachtar gioca a Leopoli, in attesa del nulla che cambi qualcosa.

Passano gli anni e con loro le passioni belle e brutali che si portano dentro. Nel 2012 la Donbass Arena di Donetsk era sede delle partite degli Europei di calcio. Quando iniziò la guerra lo stadio fu danneggiato. In queste ore le partite si giocano in Francia e l’Ucraina, già eliminata, è diventata la squadra degli “altri”: il Paese è uno, ma le Patrie sono due e dietro alle bandiere batte il cuore della passione. Anche quella del pallone.

Il terremoto politico ha mosso tutte le bandiere, comprese quelle delle curve. Non vale solo per Donetsk, ma per tutta l’Ucraina orientale. Basta guardare a sud per capire: nel 2014 la Crimea è tornata alla Russia. Nello stesso anno il PFK Sebastopoli e il Tavrija di Sinferopoli hanno fatto domanda all’UEFA per essere ammesse al campionato di Mosca.

La vita intanto continua. Mentre godiamo il fresco del cielo continentale dell’Est nel laghetto del parco alcuni ragazzi si fanno il bagno. Poi si asciugano intorno ad un fuoco improvvisato. Ridono, giocano, schiamazzano. Defilati, due fidanzati si baciano; poco più in là una bancarella di fiori. Tutto è normale, tutto è rallentato.

La vita di tutti i giorni a Donetsk è un carillon dolce come i lecca lecca fatti in casa che si vendono nel parco. È un quadro umido di acquazzoni estivi e umiltà endemica. Il parco d’estate sembra una tela impressionista, dipinta a tratti spessi e gentili insieme.

Su un lato del Parco Shcherbakova a poche decine di metri dal lago, c’è lo Stadio Šachtar, il secondo impianto di Donetsk. Assistiamo a Vostok-Oplot, due squadre con i nomi di battaglioni. Soldati, mogli di giocatori, qualche fotografo… il pubblico è questo. La guerra c’è, ma non si sente. Tutto si muove rimanendo fermo, come l’acqua fredda del lago.

Abbiamo passato la notte nel distretto di Petrovs’kyi, a 2 km dal fronte. Paul, un ragazzo di 25 anni che ci fa da guida, ci racconta dei Grad caduti intorno tempo fa, lasciando illese le case.

Poco più in là dai cumuli di terra che circondano una miniera, svettano della bandiere gialloblu. Proprio qui passa la frontiera e il fronte fra Ucraina e DNR. Per ora oltre non si può andare.

Una signora raccoglie frutta da un orto abbandonato insieme al marito. Le zanzare sopra i 30 gradi non danno tregua. Ancora bambini che schiamazzano e che si tuffano in acqua nel lago del Parco Shcherbakova.

Passa un Ural con un rombo rozzo carico di soldati e scuote le foglie di un tiglio. Con i fiori di questi alberi che sono ovunque si ricava un tè buonissimo che bevono tutti. 

(foto: Giorgio Bianchi)