Diario siriano. Cap.1: Il varco nel buio

(di Andrea Cucco, Giampiero Venturi)
01/02/16

Coerenti con la scelta di raccontarvi i Paesi solo attraverso l’esperienza sul campo, siamo in Siria!

Il sistema di sicurezza, più rigido dopo l’intervento russo, rende impossibile l’ingresso alla stampa, tranne in rare occasioni. Noi ci siamo aggregati a un gruppo di volontari italiani e siamo riusciti ad entrare via terra dal Libano. Vogliamo raccontare come stanno le cose in un Paese brutalizzato dalla guerra e dai media internazionali. La verità di qui, non la racconta nessuno.

Quasi sera. La strada tra l’aeroporto Hariri di Beirut a Damasco porta verso il nulla. Lasciati il traffico, la vita e le auto di lusso della capitale libanese si sale ripidi fino a Chtaura, grosso snodo in direzione est dove tempo fa eravamo già passati (vedi articolo). Il sole cala in fretta alle nostre spalle, poi quando la costa scompare tutto diventa buio e inizia a fare freddo, molto freddo. È l'immagine più eloquente della guerra.

Due ore scarse e siamo alla frontiera. La scritta sull’edificio bianco ricorda che la Siria è un Paese arabo. Dentro, la luce e il riscaldamento elettrico sono intensi. Le guardie di confine e gli addetti alla sicurezza parlottano sotto un quadro enorme del Presidente Assad. Fuori intanto si passa dal caldo artificiale al fuocherello di ciocchi di legna della garitta siriana. Il posto è surreale: un’oasi calda e illuminata nella notte nera senza luci.

La rete dei lampioni stradali installata al centro tra le due corsie di marcia, è fitta ma spenta. Ai lati oscurità e gelo: a gennaio, il freddo fra Libano e Siria diventa sempre neve.

Dalla frontiera in poi incrociamo o sorpassiamo di rado un veicolo. Lungo la strada di tanto in tanto spuntano dal buio militari in mimetica e scarpe leggere. Quando i fari dell'auto passano vengono inghiottiti di nuovo dalla notte.

La temperatura è sotto zero. Dopo mezz’ora di strada in silenzio dal mantello scuro del nulla s’intravedono le prime abitazioni e le luci gradualmente aumentano. Ma non abbastanza: siamo a Damasco.

Superiamo alcuni posti di controllo tra mezzi oscurati e soldati e giungiamo di fronte all'entrata dell'albergo (per ragioni di sicurezza non possiamo dire quale).

Due mesi fa proprio qui è caduta una bomba da mortaio: tre morti. Per non farci mancare nulla, su una facciata ci sono i segni di una precedente granata a razzo.

La cosa preoccupa: un colpo di mortaio ha una gittata di alcuni chilometri. L'RPG poche centinaia di metri. Significa che la guerra è passata qui accanto.

È notte fonda ormai. Dalla finestra dell’hotel si vedono case. Siamo a Damasco, Siria.

(foto: Andrea Cucco)