Dal fronte ucraino - cap.2: Un giorno a Donetsk

(di Giampiero Venturi)
23/04/15

Dormire con la luce non è facile. Con i lampi dei mortai poi, ancora meno. Vibrano le finestre, sembra il fortunale. La differenza fra un temporale e l’artiglieria in fondo è che l’artiglieria vale anche col tempo buono. Di mattina va meglio, si riesce anche a uscire. Nella zona di periferia verso l’aeroporto passa la linea del fronte.

La gente si fa rara e cede il posto a segni di bombardamenti più fitti: case, tralicci, un asilo nido, la Scuola 58… tutto è sfondato. Come colonna sonora c’è sempre l’eco dell’artiglieria lontana. Un po’ monotona ma fa compagnia.

A Donetsk il governo ucraino non eroga più pensioni. Di fatto è un’ammissione di sconfitta e ritiro dal territorio. Gli anziani che rimangono a vivere tra le macerie campano come viene e con l’aiuto dei soldati filorussi del Donbass. In zona ci sono quelli dello Skorpion, unità equivalente ad un battaglione, secondo gli standard russi.

Controllati i documenti e stabilita la fiducia, non è difficile fare amicizia. Sono giovani e quasi sempre figli di mamma. C’è anche qualche figlio di ‘ndrocchia però. Sono i più anziani e i più esperti. Molti di loro sotto la mimetica portano la telnjaška, la maglia a righe russa simbolo di élite.

Si dorme a gruppi negli scantinati-bunker. Maria Vergine con Gesù Bambino sul muro. Cibo, armi, puzza di muffa e polvere da sparo. Cibo e resti di cibo ovunque. Vanno forte il pane, la marmellata, la carne di cervo in gelatina e il salame russo. Niente però tira più della vodka. Garantisce una certa omogeneità al fronte. Anche di mattina, scorre più dell’acqua.

Quando la vodka affianca le armi accadono prodigi: si può fare il tiro a segno senza sbattersi a cercare bersagli. È un modo di ottimizzare le risorse. Chissà cosa ne penserebbe chi ha inventato le bottiglie…

Tra risate e parole secche, prima tocca alla PK con treppiede, poi al classico AK47. Appoggiati agli angoli svettano anche alcuni RPG ma rimangono lì e l’edificio di fronte tira un sospiro di sollievo. Ho la sensazione che le munizioni a Donetsk non siano un problema...

Giro con i ragazzi trotterellando tra i caseggiati: armi a tracolla, sigarette e cani randagi. Ce ne sono così tanti da non bastare come mascotte per tutti i soldati del Donbass.

C’è un market, perfetto per fare la spesa. I soldati entrano armati con la scioltezza di chi lo fa spesso. La signora li tratta come figli. Forse è così. Se ci fossero altri clienti e gli scaffali fossero pieni, sembrerebbe un giorno ordinario. Un po’ stranino a dire il vero, ma comunque ordinario…

Intorno, tra marciapiedi e palazzi accartocciati, Donetsk è un fermo immagine. Fino a un anno fa era qualunque grande città europea buona per la Champions; ora è lontana anni luce dalla goffa abulia dell’Occidente, dove ci s’incazza per un iphone 5, anziché 6.

Con una vecchia Lada ci allontaniamo correndo come pazzi. Guida un certo V. che si crede Ayrton Senna. Il traffico non esiste, ma il rischio di schiantarsi è alto almeno quanto quello delle granate ucraine. Non faccio in tempo a ricordargli la fine di Ayrton che arriviamo ad un avamposto per lasciare la pappa ai soldati.

Reti, sacchi, armi anticarro, mitragliatrici interrate e canne metalliche ovunque. Tra i teli mimetici spunta un Shilka, forse due. La quantità di casse di munizioni fa paura. I bossoli arrivano a cumuli di 5 metri d’altezza.

La vodka aiuta a capirsi ma basterebbe una foto per rompere la fiducia e l’idillio. Tutt’intorno intanto, il nulla devastato.

Faccio in tempo a sentire qualche colpo dimostrativo giusto per spaccare i timpani e poi via, più veloci della luce, per altre postazioni tra voci slave, visi giovani, croci di Sant’Andrea del Donbass che ricordano quelle sudiste della Guerra di Secessione. Anche in Ucraina in fondo, di secessione si tratta…

Si torna alla base. Chi pulisce un’arma, chi dorme, chi fuma, chi mi racconta dei figli.

Tour notturno fino alla piccionaia dei cecchini. È al 15° piano di un palazzo in costruzione. È sera e le luci non ci sono. Se ci fossero non si potrebbero accendere. Un uomo capisce l’importanza di un elmetto solo quando sbatte la testa una mezza dozzina di volte…

All’interno della postazione A. fa l’avvistatore e D. il tiratore. D. sostiene che il suo Makarov arriva a 2 km. Forse è la vodka mia; forse è la sua; forse è vero.

Saliamo sul tetto per una visione turistica della linea del fronte. Anche col binocolo ad infrarossi è impossibile vedere le postazioni ucraine. Bisogna aspettare i bagliori dell’artiglieria per orientarsi, ma anche no.

Ritorniamo nel sottoscala. Si dorme tra puzze varie, intorpiditi da tutto tranne che da una strana euforia.

Per capire la guerra, la mattina dopo basta incontrare un anziano. Nella notte, un Grad ha sfiorato casa sua e si è ficcato inesploso nel terreno. Lui non se ne cura e vaga come un fantasma.

(continua)

articolo Giampiero Venturi

foto Giorgio Bianchi