Bombardieri cinesi atterrano su isole contese nel mar cinese

(di Antonio Vecchio)
19/05/18

La realizzazione della “portaerei inaffondabile”, come le autorità cinesi chiamano il sistema di isole artificiali nel mar cinese orientale e meridionale occupate e ottimizzate con strutture militari e civili, passa ora alla fase 2.

Il 9 maggio scorso, il sito Asian Maritime Transparency Initiative (https://amti.csis.org) aveva rivelato un’immagine satellitare risalente al 28 aprile, di un velivolo cinese Shaanxi Y-8, parcheggiato sulla pista della base di Subi Reef, nell’arcipelago delle isole Spratley nel mar cinese meridionale, sul quale Pechino ha realizzato tre “avamposti” (Subi, Mischief e Fiery) completi di piste di atterraggio e infrastrutture di vario tipo (dual use).

L’evento aveva destato particolare preoccupazione sia perché tale linea di velivoli, progettati e utilizzati principalmente con funzioni di trasporto, dispone di alcune varianti usate per svolgere pattugliamento marittimo e raccolta dati di intelligence, sia per il fatto che le Filippine, che contendono alla Cina la sovranità sulle Spratley, hanno a sole 12 miglia di distanza da Subi Reef una base con 100 operai civili e una ridotta componente militare a protezione.

È di ieri, invece, la notizia, questa volta pubblicata direttamente dalla PLAAF (People Liberation Army Air Force) sull’account WEIBO istituzionale (WEIBO: ibrido tra Twitter e Facebook, è una tra le piattaforme social più frequentate del Paese, nda) e sul profilo Twitter del quotidiano People’s Daily, di ripetute prove di atterraggio e decollo effettuate questa volta su Woody Island, l’isola più grande dell’arcipelago delle Paracel (mar cinese meridionale), da alcuni bombardieri a lungo raggio tra cui H-6K (foto).

L’evento di ieri rappresenta la conferma della volontà di Pechino di affermarsi come principale potenza dell’area a difesa dei crescenti interessi di natura economica e geopolitica.

Il Paese del Dragone è ora in grado di estendere significativamente, proprio da Woody Island, la sua capacità di intervento su tutto il mar cinese meridionale, grazie alle 1000 miglia nautiche (NM) di raggio operativo del H-6k, che quando completerà il programmato upgrade della linea, estendendo il raggio di azione a 1900 NM, consentirà alla Cina di intervenire in ogni angolo del sud est asiatico.

Come riporta oggi l’agenzia AGI/AFP, Wang Mingliang, un esperto militare citato nel comunicato del governo cinese, ha parlato di raggiunto "rafforzamento della capacità di combattimento per affrontare le minacce alla sicurezza marittima".

Il Dipartimento di Stato USA, riporta questa mattina l’agenzia NOVA, ha immediatamente rimarcato come le esercitazioni di ieri contribuiscano ad “aumentare le tensioni e destabilizzare l’intera zona” .

Pechino da tempo rivendica il controllo degli atolli delle Paracel (occupati dalla Cina e rivendicati dal Vietnam) e delle Spratly (rivendicati interamente dalla Cina, Vietnam, Taiwan, e solo in parte da Brunei, Filippine e Malesia), sui quali è da tempo impegnata nella realizzazione di infrastrutture dual use con batterie missilistiche, hangar e piste di atterraggio.

Il mar cinese costituisce per l’energivora potenza asiatica la principale porta di accesso del petrolio proveniente dei paesi del Golfo, che giunge dall’oceano Indiano passando per lo stretto di Malacca, attraverso cui passa il 40% delle merci mondiali.

Dal mar cinese meridionale, inoltre, ha origine la Maritime Silk Road Initiative: l’imponente infrastruttura marittima che con quella terrestre è la realizzazione del “sogno cinese” di Xi Jinping per il XXI secolo: un insieme coordinato di corridoi terrestri e marittimi che interesserà 65 Paesi nel mondo con il 70% della popolazione, espressione a livello globale del 55% del PIL e del 75% delle risorse energetiche.

(foto: Asia Maritime Transparency Initiative / Ministry of National Defense of the People's Republic of China)