Washington e Nuova Delhi: guerra all'ultimo contratto

(di Andrea Gaspardo)
09/11/18

Continuano gli strascichi relativi alla decisione da parte di Nuova Delhi di procedere all'acquisto di imponenti quantitativi di armamenti (in particolare i missili antiaerei S-400) dalla Russia nonostante la minaccia di sanzioni da parte degli Stati Uniti nell'ambito dell'ormai celeberrimo CAATSA. Ad una domanda precisa da parte dei cronisti, nel corso dell'incontro con la stampa tenutosi alla Casa Bianca il 10 di ottobre, su come gli Stati Uniti avrebbero risposto all'iniziativa indiana, il presidente americano Donald Trump aveva così risposto: “L'India lo scoprirà presto. Prima di quanto immaginiate”. La risposta statunitense è infine arrivata ma in una maniera assi più sottile di quanto ci si sarebbe immaginato, conoscendo il temperamento focoso ed imprevedibile dell'inquilino della Casa Bianca. Approfittando del rilancio da parte di Nuova Delhi del programma di acquisto di un nuovo caccia tattico da parte delle Forze Aeree Indiane, Washington ha sostanzialmente proposto di barattare la “non applicazione” del regime sanzionatorio con la selezione da parte dell'India del celebre caccia americano General Dynamics F-16 Fighting Falcon.

Il programma al quale Washington si riferisce è il famigerato MMRCA (Medium Multi-Role Combat Aircraft) giunto ormai, nel più puro spirito della tradizione indù, alla sua quarta “reincarnazione” e durante il quale l'F-16, pur nella sua variante aggiornata F-16IN (basata sulla versione “Block 70/72” potenziata per venire incontro alle esigenze indiane), è già stato scartato due volte in favore del francese Dassault Rafale. Tuttavia, a causa di insormontabili problemi di natura politica ed industriale, il caccia francese è stato ad oggi ordinato solamente in 36 esemplari, mentre l'Aeronautica Indiana ha emesso un requisito per 200-300 velivoli con i quali equipaggiare 11 squadroni di prima linea dando all'intero programma un valore complessivo di 13-15 miliardi di dollari. Con una simile “bonanza” in palio era ovvio che la Casa Bianca avrebbe mobilitato tutto il suo “potenziale di fuoco” pur di far pendere l'ago della bilancia dalla parte del complesso militar-industriale domestico, arrivando addirittura a proporre a New Delhi la “co-produzione”, strizzando l'occhiolino al programma “Make India” del primo ministro Narendra Modi avente come scopo quello di aumentare la percentuale di componentistica industriale prodotta in India in tutti i settori, incluso quello aeronautico.

Certo, un accordo di questo tipo (tecnicamente “da governo a governo”) risulterebbe economicamente vantaggioso per l'India se non per il fatto che legherebbe indissolubilmente i due paesi in un momento storico nel quale, al contrario, il gigante asiatico sta cercando di uscire dalla sua posizione geopolitica di second'ordine al fine di rivendicare un posto al tavolo dei “grandi” in piena indipendenza. Ecco perché gli Indiani si sono dimostrati storicamente più propensi a rivolgersi a Mosca per le principali forniture di armamenti d'importazione, essendo la Russia l'unica tra le grandi potenze planetarie a non avere particolari interessi strategici nell'Oceano Indiano, proprio là dove Nuova Delhi vuole esercitare una posizione di indiscutibile predominio percorrendo un sentiero che, molto probabilmente, la porterà alla lunga ad uno scontro frontale sia con Washington che con Pechino.

Non è dato sapere, ad oggi, che risposta formale sia giunta alle autorità americane, ma pochi giorni dopo il “rilancio” di Trump, il Comando delle Forze Strategiche indiano ha testato un missile balistico “Agni I” in grado di essere armato, tra le altre, anche con testate nucleari. È evidente che, convenienza economica a parte, l'India è determinata a rimanere un'entità geopolitica autocefala caratterizzata da una politica estera indipendente e non-allineata.

(foto: web / Indian Air Force)