Sviluppi dopo il summit tra le due Coree

(di Antonio Vecchio)
07/05/18

L’incontro del 27 aprile tra Moon Jae-inn e Kim Jong-un ha portato una ventata di aria buona e soprattutto pacifica nella penisola coreana. Non tanto per i risultati ottenuti, al momento relegati al campo delle tradizionali dichiarazioni di principio, ma soprattutto per la volontà delle parti, comunicata a gran voce a tutto il mondo, di voler cambiare registro e avviare una nuova stagione di relazioni. “Siamo fratelli con lo stesso sangue”, ha dichiarato Kim Jong-un, nel discorso al termine del summit, e “non ripeteremo gli errori del passato”. 

Nel comunicato congiunto diffuso al termine del vertice, il primo a tenersi in territorio sud-coreano, nel villaggio di confine di Panmunjom dove nel 1953 era stato firmato da USA e Corea del nord l’armistizio che pose fine alle ostilità (al quale non è mai seguito un formale trattato di pace), si fa riferimento alla comune volontà di realizzare la completa pacificazione della penisola e la sua denuclearizzazione. “I due leader hanno solennemente dichiarato di fronte a 80 milioni di persone della nostra nazione e al mondo intero, che non ci sarà più guerra nella penisola coreana e che una nuova era di pace è cominciata”, si legge. 

Nel documento si fa anche cenno al “supporto” degli altri due principali player regionali, rimandando a successivi round di colloqui trilaterali con USA (in questi giorni è stato annunciato il tanto atteso incontro con Trump) e quadrilaterali con USA e Cina, allo scopo di “dichiarare la fine della guerra e stabilire un permanente e solido regime di pace”.

A prescindere dall’indubbio risultato politico del vertice, da verificare però nei fatti, l’incontro sembra suggellare la fine di un lungo ciclo storico nel quale gli USA hanno rappresentato il regista indiscusso degli equilibri di questa parte di globo. Oggi gli americani appaiono ridimensionati, se non nell’indubbia e al momento ancora ineguagliabile potenza militare, nella loro autorevolezza, a tutto vantaggio di una Cina in ascesa - vero artefice dell’incontro - che si presenta come l’indiscussa potenza (ancora per poco) regionale.

Al netto del ruolo di sponsor e facilitatore giocato da Pechino, l’incontro tra i leader di Pyongyang e Seul è il frutto della determinazione del primo ministro sud coreano, politicamente forte in patria per essere all’inizio del suo mandato, ottenuto un anno fa su un progetto di pacificazione e riunificazione peninsulare (lui stesso è figlio di due profughi nord coreani). La tenacia di Moon fa il paio con la sua abilità nell’aver sempre tenuto in gioco Washington, da cui però si è nei fatti abilmente smarcato, in netto contrasto con le dichiarazioni roboanti e le sterili dimostrazioni di forza di Trump.

Pechino, d’altro canto, è il vero deus ex machina dell’intera operazione. È da Xi Jinping che Kim si è recato qualche settimana fa per definire nel dettaglio i termini delle proposte da porre sul tavolo, ma anche per offrire all’importante alleato il cenno di un rispetto antico, del riconoscimento del rango che gli spetta, in verità un po’ trascurato nei mesi passati.

La Cina esce dallo storico incontro come l’unico attore geopolitico dell’area in grado di fare la differenza. D’altronde Pechino è molto interessata alla pace regionale senza la quale sarà difficile realizzare la “rinascita” della Nazione, che passa attraverso lo sviluppo della sua economia e della sua rete di commerci. La Repubblica Popolare si è dimostrata in grado di esercitare il suo ruolo sino in fondo, senza rulli di tamburi, in modo silente e coerente con la millenaria civiltà confuciana e con il soft power del suo crescente peso economico, dal quale Pyongyang non può prescindere.

Anche Kim esce vincitore da questo round di incontri. Ha ottenuto, prima di tutto, il rango di potenza nucleare, avendo la meglio sulle politiche di almeno quattro presidenti USA che vi si erano opposti strenuamente nel corso degli anni.

Per il leader nord coreano l’arma nucleare rappresenta un polizza di sopravvivenza a tutto vantaggio del potere personale suo e della sua famiglia, oltre che per impedire eventuali interventi “cinetici” da parte degli USA in stile Grenada (1993). Kim ha ben chiara la fine che han fatto i regimi che hanno rinunciato a tale deterrenza, e per questo ha perseguito con lucida determinazione il pieno raggiungimento del potere nucleare, raggiunto il quale ha immediatamente attivato tutti i canali per effettuare lo storico incontro.

Il giovane dittatore, in barba a quelli che lo davano per matto, potrà ora concentrarsi sullo sviluppo dell’economia dello Stato in ginocchio per le sanzioni internazionali, spingendo per inserire Pyongyang nella piattaforma economico-commerciale denominata One Belt One Road (v.articolo), dalla quale rischierebbe di essere tagliato fuori se Pechino decidesse di privilegiare, negli scambi con la terza economia asiatica di Seul, la via marittima a quella terrestre.

Rimane la questione della denuclearizzazione, accennata - pur non in dettaglio - nelle dichiarazioni finali, che hanno “confermato l’obiettivo comune di realizzare, attraverso la completa denuclearizzazione, una penisola coreana libera dal nucleare”.

Saranno i futuri colloqui a chiarire meglio l’intendimento del giovane leader.

Lungi dal pronunciare una rinuncia al nucleare proprio ora che ha ottenuto il rango tanto atteso, Kim potrebbe limitarsi a sancire la fine del programma di sviluppo, in termini di ricerca e sperimentazione (a questo si colleghi il dichiarato smantellamento del poligono nucleare di Punggye-ri), in cambio di paritetiche iniziative da parte USA in Corea del sud e Giappone, come ad esempio lo smantellamento in ambo i Paesi del sistema antimissile THAAD (Terminal High Altitude Area Defense anti-ballistic), considerato da Pechino (e Mosca) una minaccia, perché in grado di “osservare” profonde porzioni di territorio (v.articolo).

Potrebbe invece dirsi subito favorevole a una “de-escalation” generalizzata, da ottenersi con l’ adozione, tra tutte le parti presenti nell’area, Giappone incluso, di meccanismi congiunti di de-confliction.

In assenza di offerte significative da parte USA (in termini di deterrenza nucleare nell’area) è però difficile che possa concedere qualcosa in più.

La strada per una definitiva denuclearizzazione dell’area appare ancora impervia e lunga, e l’entusiasmo di questi giorni rischia di essere prematuro.

(foto: KCNA / Ministry of National Defense of the People's Republic of China / U.S. Forces Korea - video: presidenza Repubblica di Corea)