Sottovalutare al-Shabab è un errore

(di Giuseppe Barcellona)
31/10/17

Ancora morte a Mogadiscio in una spirale che sembra non volersi arrestare, dopo l’attentato dello scorso 14 ottobre dove hanno perso la vita poco meno di 360 persone, un’altra autobomba esplosa fuori dall’hotel Nasa-Hablod ha ucciso almeno 25 persone provocando trenta feriti ed il bilancio purtroppo è destinato ad aggravarsi; questa volta l’eccidio è stato rivendicato da al-Shabab che invece non ha ancora apposto la propria firma sul primo e più violento attentato di due settimane fa, particolare raccapricciante, la polizia locale afferma di aver trovato il corpo di una donna e tre bambini uccisi con un colpo di pistola alla nuca.

Assente sulla scena la stampa internazionale che ha relegato la notizia a brevi comunicati senza i canonici approfondimenti post-attentato ai quali siamo abituati dopo ogni analogo evento accaduto in occidente, un errore di sottovalutazione notevole o forse la precisa strategia di non concedere la ribalta mediatica ad un gruppo terroristico giovane ma molto determinato.

Intanto il capo dell’intelligence somala Abdillahi Mohamed Sanbalooshe non usa mezzi termini sfogandosi sulle pagine del New York Times: “Le informazioni vitali e le prove dei reati commessi in territorio somalo continuano ad essere analizzate all'estero, negandoci l'opportunità di proteggere i nostri cittadini e di perseguire gli autori dei reati”.

Un atto di accusa di connivenza delle autorità dell’occidente con i terroristi locali? Il camion utilizzato nell’attentato era italiano, un particolare da tenere in considerazione.

La richiesta delle autorità somale sarà valutata nei prossimi giorni dai governi americani e britannici che decideranno sul da farsi ma si profila all’orizzonte una ipotesi sussurrata dall’intelligence somala all’emittente Voice of America Africa secondo cui l’obbiettivo principale dell’attentato fosse la base militare turca che sorge nella zona distrutta dalle autobombe; la base recentemente inaugurata in cui operano 200 militari turchi serve ad addestrare l’esercito somalo in vista della graduale ritirata dell’ unione africana in Somalia (Amisom) che dovrebbe avvenire a fine 2018.

La mancata rivendicazione dell’attentato da parte di al-Shabab pone numerosi interrogativi; chi è stato ad architettare e compiere materialmente l’azione terroristica? È una domanda che al momento aleggia irrisolta sul cielo plumbeo di Mogadiscio.

Se fossero stati gli integralisti somali potremmo intuirne la volontà di compiere un balzo in avanti nella considerazione generale, sia nell’ambito del terrorismo internazionale percepito dall’occidente, sia in seno al mondo islamico dove al-Shabab potrebbe raccogliere l’eredità ed i cocci dell‘IS qualora i miliziani jihadisti attualmente impegnati in Siria venissero sconfitti, ma l’attentato del 28 ottobre e subito rivendicato sembra smentire la paternità del primo e più efferato eccidio ancora senza paternità, allora si può ipotizzare una faida interna a fazioni locali di al-Shabab, una ipotesi credibile se analizziamo la giovane e pur complessa storia del gruppo.

Al-Shabab, in lingua somala “i ragazzi”, è un gruppo operativo dal 2006 e nato dalle ceneri delle “Unioni delle corti islamiche” sconfitti a seguito della guerra civile somala; la sua storia vive fasi alterne esattamente come il territorio in cui opera, dove varie fazioni si contendono potere e territori.

A 6 anni dalla nascita la svolta qaedista con l’annessione al gruppo più importante ed esperto sotto l’egida di Ayman al-Zawahiri; nel 2012 al Shabab diventa ufficialmente una cellula di Al Qaeda operante in Africa orientale ma questa annessione provoca una faida interna culminata con centinaia di morti ed un indebolimento dell’organizzazione conseguenza anche dell’operazione Linda Nchi coordinata dagli eserciti somali e keniota.

Ciò che rimane di al-Shabab viene considerata una cellula qaedista fino ai giorni nostri, non è da escludere che non tutti i miliziani somali accettano la leadership di al-Zawahiri e che in territorio somalo operino gruppi terroristici non riconducibili all’egida qaedista, è una chiave di lettura teorica per i due attentati a distanza ravvicinata, semplicemente una guerra di potere interna ad al-Shabab in cui il gruppo ribelle cerca la ribalta mediatica per rivendicare successivamente l’affrancamento da al-Qaeda e la leadership nella zona.

Dopo i dissidi interni del 2012 sembrava che “i ragazzi” di Mogadiscio dovessero dissolversi come neve al sole ed invece, sotto la guida esperta dell’egiziano Zawahiri gli irriducibili somali hanno ordito una serie di attentati culminati nell’ottobre nero di Mogadiscio.

Sul fronte internazionale imparando le tecniche propagandistiche di al-Qaeda, al-Shabab ha radicalizzato cellule estere utilizzate successivamente non solo da un punto di vista militare ma come vettori di propaganda; qui si coglie il balzo che sta tentando l’organizzazione in un contesto non più solamente locale.

Si direbbe un gruppo in espansione, molti Paesi occidentali riconoscono in al Shabab una organizzazione terroristica, sorprendentemente tra questi non figurano Italia, Germania e Francia; questo è un grave errore.

Innanzitutto da un punto di vista della sicurezza interna non considerare i richiedenti asilo somali come una possibile minaccia terroristica è sbagliato, si corre il rischio di sottovalutare il problema infiltrazioni dato che vi è la certezza di cellule terroristiche somale in Italia operanti sotto copertura e dedite alla fornitura di materiali vari a uomini legati ad al Shabab.

-Gli investigatori della polizia stradale di Firenze *(Fonte Repubblica 4 ottobre 2017 edizione Firenze) hanno scoperto una rete di esportazioni illegali verso la Somalia di camion dismessi dell’esercito italiano, quattro cittadini somali ed un italiano sono stati arrestati con l’accusa di esportazione di materiale di armamento; sono coinvolte in totale 16 persone fra cui altri due cittadini somali che provvedevano ai pagamenti dei camion inviati in Somalia, interi o a pezzi, attraverso la rete clandestina di trasferimento di fondi denominata Hawala. L'inchiesta coordinata dalla pm di Firenze Giuseppina Mione e partita dalle segnalazioni della Agenzia delle Dogane, ha permesso di individuare una rete di cittadini somali che acquistavano autocarri militari dismessi ma non demilitarizzati, cioè non privati delle caratteristiche tipiche per l'utilizzo in scenari di guerra.

Autodemolitori, trasportatori e spedizionieri italiani li aiutavano riverniciando i mezzi o tagliandoli in pezzi e provvedevano ai documenti di spedizione. Il tutto per aggirare sia la normativa italiana che parifica i veicoli militari ai materiali di armamento, vietandone la cessione e l'esportazione, e soprattutto l'embargo internazionale verso la Somalia, che vieta in modo assoluto il trasferimento di veicoli militari (ma non di veicoli militari dismessi) nel Paese africano dilaniato dal terrorismo.

Già nel 2006 l’O.N.U. aveva accusato l’Italia di aver violato l’embargo ed inviato 18 camion in Somalia, i camion erano stati acquistati a Bari da un uomo di affari di Dubai, che poi li aveva spediti a Mogadiscio Il 7 ottobre 2015 il direttore interregionale dell'Agenzia delle dogane di Campania e Calabria, Alberto Libeccio, riferì alla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti che l'Agenzia aveva operato dei sequestri su automezzi di tipo militare dismessi all'Esercito italiano e svolto indagini su una filiera che portava “a persone e organizzazioni vicine ad Al Shabaab”- , cioè ai terroristi islamici ritenuti responsabili di numerosi attentati in Somalia, fra cui il massacro di sabato 14 ottobre perpetrato appunto con un camion arrivato dall’Italia.

È auspicabile da parte del governo l’immediato inserimento di al-Shabab nella lista di organizzazioni terroristiche, ciò consentirebbe una maggiore attenzione al problema somalo ed ai traffici illeciti che stando alla inchiesta di Firenze ancora oggi intercorrono tra i due Paesi; è opportuno considerare che quando si parla di Somalia l’Italia e sorda, in perfetta sintonia col resto dell’occidente che nel Corno d’Africa ha attuato politiche scellerate ed ha disseminato rifiuti tossici di ogni genere molti dei quali radioattivi, provocando migliaia di morti tra i civili avvelenati dalle esalazioni.

Si pensi al Progetto Urano che pare prevedesse di insabbiare in tre località desertiche del Sahara grandi quantità di rifiuti nocivi provenienti dall’Italia. Ilaria Alpi e Mirko Hrovatin pagarono a caro prezzo le indagini che stavano compiendo su questo traffico e nonostante nel 1992 sia stata ratificata dall’Unione Europea e da altri 168 Stati la “Basel convention on the control of transboundary movements of hazardous wastes”, che vieta l’invio di rifiuti pericolosi ad una zona di guerra, gli scarti tossici delle industrie sono passati sotto la cecità di americani, europei, russi e cinesi che hanno pattugliato i mari somali dal pericolo dei corsari, incuranti che i pirati più pericolosi della Somalia sono quelli in giacca e cravatta delle grandi industrie che si celano in società fittizie.

Lo hanno fatto l’Italia, gli Stati Uniti e la Francia, probabilmente anche altre nazioni con il coinvolgimento di personaggi politici e criminalità organizzata come svelato dall’ex agente segreto Aldo Anghessa negli anni novanta scoprire che questi traffici esistano ancora lascia molto perplessi. (Fonte Espresso)

http://espresso.repubblica.it/attualita/cronaca/2005/06/09/news/parla-un-boss-cosi-lo-stato-pagava-la-ndrangheta-per-smaltire-i-rifiuti-tossici-1.583

Esiste ancora il business dei rifiuti tossici smaltiti illegalmente sul suolo somalo? Ciò non dovrebbe sorprenderci dato che sarebbe un’attività che potrebbe finanziare le tribù dedite alla pirateria ed i guerriglieri di al Shabab.

Secondo l'inchiesta dell’espresso di allora uno di questi gruppi criminali era costituito da alcuni italiani tra i quali Giancarlo Marocchino, trasportatore e uomo di fiducia dell'esercito italiano a Mogadiscio, Guido Garelli, Ezio Scaglione, ex console onorario della Somalia, e dall'allora presidente somalo Ali Mahdi Mohamed, oltre che come complici vari industriali del Nord Italia e ciò si ricollega alle indagini odierne che riguardano lo smaltimento di rifiuti tossici e gestito dalla criminalità organizzata, il punto è che i guerriglieri locali in cambio dei permessi relativi allo smaltimento dei rifiuti accettano come contropartita la fornitura di armi ed esplosivi, sarebbe interessante sapere che tipo di armamento anno e la provenienza degli esplosivi ma come detto all’inizio i risultati delle indagini ristagnano all’estero senza che i detective locali possano accedervi.

Verità o false verità, pettegolezzi che si perdono tra le dune del deserto e la costa somala, tra candelotti all’uranio e scorie radioattive e sullo sfondo il sogno somalo di una nazione unita con l’Europa e gli Stati Uniti che si voltano dall’altra parte. Nessuno guarda la Somalia, armadio colmo di scheletri dell’occidente.

Questo articolo è stato realizzato attingendo alle seguenti fonti: articoli apparsi sul New York Times; Voice of America Africa; Firenze Repubblica; Danilo Arona carmillaonline.com 3 novembre 2009; Paul Moreira, Toxic Somalia, filmato audio Youtube; Greenpeace (FR) The toxic Ships; Barbara Carazzolo, Alberto Chiara, Luciano Scalettieri “Gli affari sporchi delle facce pulite” 1 ottobre 2000; Somalia: la discarica dei rifiuti occidentali, Francesco Dessi.

(immagini: Al Jazeera / web)