Siria, la terza guerra mondiale in un paese

(di David Rossi)
15/03/19

Lo slogan della così detta “primavera araba” suona sinistramente familiare nell’Europa dei Gilet gialli, dei Cinque stelle e dei Podemos: Ash-shaʻb yurīd isqāṭ an-niẓām (in arabo: الشعب يريد إسقاط النظام), cioè “il popolo vuol far cadere il regime”. Imitando i loro coetanei in Tunisia e Egitto, seguiti avidamente per due mesi in televisione e sui social media, il 6 marzo 2011 delle giovani mani imbrattarono con questa scritta alcuni muri a Daraa, un’antica e aridissima città agricola sul sud della Siria, al confine con la Giordania. La polizia segreta locale - con sollecitudine - arrestò - a seconda delle fonti - 10, 12 o 15 ragazzi di età compresa tra i 10 e i 15 anni, riservando loro un trattamento che secondo le “testimonianze” degli oppositori incluse un interrogatorio serrato, pestaggio a sangue, unghie strappate e torture con le sigarette, il tutto sotto lo sguardo compiaciuto del generale Atef Najeeb, cugino del presidente Bashar al-Assad. La storia – che vista la sinistra fama del regime baathista siriano e i precedenti, fu ritenuta credibile, anche se non vera – fece il giro delle famiglie e dei clan: tanto basta, per far deflagrare la Siria, con le più grandi manifestazioni che scendono piazza ad Aleppo proprio oggi 15 marzo di otto anni fa…

Qui, non ci interessa raccontarvi quello che è successo, quanto cercare di capire - in sintesi - chi ha vinto e chi ha perso, ma soprattutto quanto sono consolidate le posizioni dei vincitori e degli sconfitti. Per farlo, useremo un metodo comparativo: insomma, se ieri guidavi la Fiat Panda e oggi vai in giro con la Mercedes CLS, vuol dire che la tua situazione deve essere migliorata. Capire quanto la nuova situazione sia sostenibile, appartiene quasi alla metafisica: nessun esperto di geopolitica né matematico avrebbe scommesso una cicca sulla quasi contemporanea caduta dei regimi di Hosni Mubarak in Egitto, Ben Ali in Tunisia e Muammar Gheddafi in Libia, oltre che sul fatto che a implodere, nel caos generale, sarebbe la Siria, invece del Libano o dell’Iraq stesso.

Lo smantellamento di uno Stato inventato a tavolino

Intanto, cominciamo col dire che è stato sconfitto definitivamente l’assetto della regione del Levante deciso a tavolino dai vincitori della Prima guerra mondiale sulle macerie dell’Impero ottomano: attraverso il Trattato di Sevres (1920) la Francia infatti, aveva ricevuto i vilayet di Damasco e Aleppo, la parte settentrionale del Libano (l’attuale fascia costiera siriana) e il sangiaccato di Zor. Insomma, la Siria era un vero e proprio patchwork! È un mistero come detto territorio sia rimasto per quasi 90 anni intatto, nonostante le profonde differenze etniche e religiose al suo interno. Adesso, col ritorno dei Turchi nel Nord e con la “vitalità” dell’autogoverno curdo a Nord-Est, appare difficile, quasi impossibile, immaginare la riunificazione della Siria.

Erdogan salva la tomba del fondatore

I Turchi sono intervenuti per 8 anni nelle vicende siriane per ragioni politiche, economiche, di disegno politico “neo-ottomano” ma anche - e soprattutto - identitarie: la regione di Kobane ospita, infatti, la Süleyman Şah Türbesi, la tomba del nonno del fondatore della nazione turca; secondo il trattato di Ankara del 1921 tra Turchia e Francia tale mausoleo è “parte del territorio turco”, status sancito dalla perenne presenza della bandiera della mezzaluna. Se mai vi capiterà di incontrare qualche turco che vede Erdogan… con la luna di traverso, non vi aspettate di trovarlo transigente sulla questione di Kobane: per i Turchi rappresenta un elemento non negoziabile. Sul campo, possiamo senz’altro dire che hanno vinto e su tutti i fronti, anche perché hanno sfidato la Russia di Putin e l’hanno costretta a seguire la loro linea, quella della benedizione dell’occupazione militare di un’ampia fascia di sicurezza; dopo di che, hanno forzato gli Americani a scegliere tra loro e i Curdi, lasciando quest’ultimi orfani dei loro protettori, e, last but not least, dalla vicenda politica e militare dello Stato islamico sono usciti non più sudici e non più puliti degli stessi Americani, dei Sauditi, dei Qatariani ecc.

Mosca “costretta” a vincere

Putin - novello “Re tentenna” - ha tergiversato 4 anni prima di trovarsi costretto a intervenire in aiuto del “cliente” siriano, prima che anche la regione degli Alawiti fosse invasa da Daesh; poi ha rischiato di fare una figura barbina a Palmira, ma infine ha salvato la “ditta” Mosca-Alawiti. Nel far ciò, si è trovato dinanzi, per la prima volta, un leader come Erdogan che, invece che subire come fanno Regno Unito, Svezia e Baltici le spericolate incursioni dei caccia russi, intenti a saggiare capacità di reazione, difesa e autocontrollo, ha fatto abbattere il velivolo, senza troppe esitazioni. Insomma, ha spinto Mosca nell’angolo come Kennedy con Kruscev: cara Russia, o sei pronta a scatenare una guerra internazionale devastante o mi dimostri che finora hai bluffato. Alla fine, ha vinto a costo di trovarsi proiettato in una regione che non ama temendone la tossicità per gli interessi nazionali russi. Un conto, insomma, è difendere le basi russe: altra cosa è fare da gendarme al Medio oriente, un gioco troppo costoso per le dimensioni politiche ed economiche della Russia attuale.

I Curdi “tra color che son sospesi”

Che dire dei Curdi? La partita è ancora aperta. Se Putin ha da temere il contagio e Erdogan ha da difendere interessi non negoziali, la nazione curda ha in Siria un’opportunità storica per diventare uno Stato indipendente. Ma sanno anche di essere posta di fronte a due avversari (Erdogan e gli Alwaiti) che porranno una sfida mortale unendo le loro forze. Per capirsi, un po’ come ha fatto Londra per trecento anni, cercando di evitare ad ogni costo che i suoi due nemici maggiori si alleassero tra di loro. Quanto agli Americani, non è dato di sapere quanto prenderanno sul serio il loro ex alleato in futuro. Bisogna considerare, però, che col petrolio della Siria orientale i Curdi potranno farsi rifornire di moderni armamenti da chiunque…

Lo Zio Sam ha nuovi amici in Siria

Gli Americani fino al 2011 in Siria avevano solo qualche pugno di spie. Ora, osservano i Turchi con un piede e mezzo nel Paese, Israele che preme forte quanto non mai su Damasco, i Curdi che “on demand” possono tornare a essere alleati e qualche gruppo di “ribelli democratici” con la barba lunga pronto a dare una mano. Loro sono passati dall’avere una Panda usata a una discreta Mercedes, per davvero!

Iran: dopo certe vittorie…

Se la “ditta” Mosca-Alawiti non è sparita prima del 2015, il merito è di Teheran che ha mostrato i muscoli in Siria, a difesa dell’unico alleato (Bashar e il suo clan) che abbia nella regione. E forse nel mondo. Ma è possibile che in Iran non esista un Sadat che abbia un po’ di intelligenza strategica? Le mezze vittorie come queste devono servire per consolidarsi, non per preparare altri conflitti, anche perché il regime respira con affanno.

Israele: i nemici del mio nemico sono i miei amici

Adesso il regime alawita siriano deve combattere su più fronti: Turchi, islamisti, Curdi… C’è da scommettere che dalle parti di Gerusalemme, compiacendosi per il passaggio da una compatta di lusso a una Bentley, si stia imparando il curdo. Quanto agli Iraniani e Hezbollah in Siria, la debolezza delle difese antiaeree di Bashar non impedirà di spedirli al Creatore ogni volta che costituiranno una minaccia. E nello scenario in cui i Russi fornissero a Damasco - nell’ambito della “ditta” Mosca-Alawiti - i sistemi difensivi S400, tale transazione potrebbe rivelarsi commercialmente un cattivo affare, se Kheil HaAvir riuscisse a bucarli…

Il Libano saprà approfittarne?

La Siria sembra subire la giustizia divina per tutte le malefatte perpetrate per generazioni nella terra dei cedri. I Libanesi sapranno approfittare di questo vantaggio strategico o si comporteranno ancora come i capponi di Renzo? Meglio non dilungarsi troppo, perché tutto è imprevedibile, “levantino”.

Lo Stato islamico: brutali idioti al potere

Degli imbecilli oltre che dei criminali mostruosi. Hanno costruito, in poco tempo e con la fama della loro aggressività, un’entità estesa quasi 200.000 km quadrati, con un’economia statalista e primitiva, macellando come degli stalinisti del XXI secolo le più produttive minoranze della Siria e dell’Iraq. Hanno distrutto un patrimonio culturale per sostituirlo col niente. Si sono fatti belli sul web, convinti di affermarsi a suon di video truculenti e propaganda ossessiva. Non è rimasto loro niente. Dall’inferno, Osama bin Laden deve scuotere la testa di fronte a questo fallimento dei suoi critici islamisti.

Bashar, un talento politico

Bashar e il suo clan sono dei sopravvissuti. Un vero e proprio caso di darwinismo. L’ex oftalmologo ha dimostrato doti politiche di prim’ordine. Riuscirà a morire nel proprio letto come il padre? Intanto, deve tutto a Iran e Russia. Quanto sarà salato il conto da pagare?

Riad non guadagna niente

Nulla avevano nel 2011, nulla hanno oggi. Lo scorno della presenza turca in Siria fa il pari con la stabilizzazione della premiership del filo-saudita Hariri jr. a Beirut. Il modus vivendi con Israele - se duraturo - avrà un costo.

Doha fa peggio di Riad

Nulla avevano anche loro nel 2011. Ora hanno forse ancora meno di niente, perché sono stretti dal cordone sanitario saudita-emiratino e boccheggiano solo grazie ai Turchi. Troppo ambiziosi e poco accorti.

Hezbollah ha vinto ma…

Ragazzi del partito di Dio, se ci seguite, avete presenti i protestanti tedeschi in Svizzera? Leggetene un po’ la storia e saprete mettere a frutto una vittoria importante.

Gli Stati europei: peggio che andar di notte

Tutti in ordine sparso, senza iniziative serie, senza incidere sul campo. Hanno solo saputo prender colpi dallo Stato islamico, reagendo quando gli USA si sono mossi. Ridicoli.

Gli Stati arabi del Golfo battono un colpo

A parte il Qatar, hanno dimostrato di essere dei volenterosi ragazzi, completamente privi di talento ma ricchi di famiglia. Hanno un grande avvenire dietro le spalle.

Al netto del fatto che nessuno, nemmeno Daesh, è stato ancora escluso del tutto dalla partita in Siria, emerge un solo grande sconfitto: colui che si voleva liberare nello slogan della Primavera araba, cioè il popolo siriano, indipendentemente da posizioni politiche, etnia e religione. Nel 2010 avevano un PIL pro capite basso ($ 2.807) ma capace di crescere del 100% nei sei anni precedenti e un’aspettativa di vita di 75 anni. Trascorsi otto anni, ogni siriano ha un PIL di appena $ 1.100 e un’aspettativa di vita di meno di 69 anni. Vi diranno che il colpevole è, a turno, il regime, l’islamismo radicale, la Russia, Obama o, come sempre, Israele. Un po’ lo è anche il popolo, se è vero come è vero che Egitto e Tunisia non sono precipitati in questo inferno. La verità, alla fine, è che colpevoli e innocenti in Siria sono entrambi sottoterra.

Foto: Giorgio Bianchi