Si può definire "soccorso" il recupero di un passeggero pagante che si è volontariamente imbarcato su di un gommone?

(di Walter Raleigh)
21/06/19

A scanso di equivoci, premettiamo subito che andremo contro corrente; analizzare e raccontare imparzialmente quanto accade non conduce a nessuna captatio benevolentiae, ma preferiamo lasciare ad altri il rischio di interpretare il ruolo del Nerone di Petrolini ("Bravo! Grazie!").

La vicenda ricattatoria della Seawatch3, che si sta protraendo in questi giorni al largo di Lampedusa, porta a diverse considerazioni. Nessuna piacevole, beninteso. Innanzi tutto si fa un gran parlare, da più parti, di legge del mare: al netto delle reminiscenze dei film da cinema dopolavorista, alzi la mano chi conosce davvero la materia e, soprattutto, le sue applicazioni in ambito marittimo, tenuto conto che si danno della norma interpretazioni che, basate su una opinabile geometria variabile, privilegiano punti di vista e considerazioni che, con il diritto hanno poco a che vedere e, soprattutto, saltano a piè pari tutti gli altri obblighi previsti da quella stessa legge che, incensata fino a pochi attimi prima, diventa invisa già al primo comma successivo.

Diciamo che la libera prassi ha spogliato di significato il diritto, per cui i concetti di area SAR, porto sicuro e più vicino, bandiera della nave di primo soccorso, rientrano nell’aspetto equestre di un circo istituzionale che, non avendo saputo reagire alle circostanze in quanto privo di vis ma ricco di levantine contraddizioni, ha preferito mercanteggiare il problema con clienti più smaliziati e soprattutto coesi, non disposti ad acquistare dal primo Totò di passaggio la Fontana di Trevi.

Diritto e certezze

I soccorsi in mare sono regolati operativamente da accordi e convenzioni che, tra l’altro, stabiliscono le delimitazioni delle aree SAR; primo problema: chi strepita conosce il diritto internazionale? Il comandante della Seawatch3 sembra apparentemente di no, e si lascia andare, ben supportata, ad interpretazioni che stanno al diritto come la stagione estiva sta all’ottimismo delle adolescenti svedesi. È pur vero che anche le elaborazioni diplomatiche tendono a presentarsi talvolta dense di significati paradossali, se è vero, come è vero, che Malta si è fatta carico di coprire un’estensione marittima grande 750 volte la sua area terrestre pur non avendo mai disposto, neanche nel suo momento di maggior fulgore prenapoleonico, di una flotta mediamente presentabile, e lasciando al Gigante Buono Italiano, l’incombenza di garantire soccorsi per uno spazio che, oltre a La Valletta, arriva fino a Tunisia e Libia.

Preveniamo le domande, Malta come fa? Come il famoso coccodrillo della filastrocca per bambini: non risponde alle chiamate, e quando lo fa arresta equipaggi e passeggeri, abominio questo per cui, presi da gretesco riscaldamento globale, non abbiamo occupato nemmeno il sagrato parrocchiale. Considerazioni spicciole: l’Italia soffre della perdurante mancanza di politica estera e di strategia, cosa che ha condotto il Ministro dell’Interno e non degli Esteri a relazionare in proposito l’alleato d’oltre Oceano, e che porta a ricercare l’altro famoso termine di paragone che fa il paio con grandezza e grossezza: divertitevi, trovatelo voi, è facile come rinvenire un porto sicuro italiano per la Seawatch3.

Un elemento che potrebbe aiutare i lettori risiede nella facoltà concessa ai mezzi aerei delle ONG interessate di levarsi in volo per pattugliare lo specchio d’acqua antistante Lampedusa da un altro italico Ministero, quello delle Infrastrutture, coperto da esponente della stessa maggioranza partita per l’America. Di fatto si è venuta a creare una situazione inconciliabile tra diritto e contingenze reali, che ha creato una serie aberrante di precedenti, dove il confine tra naufragio accidentale e rischio artificiosamente creato, come quello tra naufrago, perseguitato e migrante economico o climatico, è diventato impercettibile.

Ma il punto è anche un altro: perché Malta si sobbarca di tutte queste responsabilità? Semplice: quota parte della zona di interesse della SAR è regolamentata dalla Convenzione di Chicago del 1944 sulla sicurezza dell’aviazione civile, fonte di guadagni cospicui, senza contare diritti di pesca, prospezione petrolifera, nonché le attività di contrabbando di carburante libico, benignamente definibili border line, ed effettuate nelle proprie acque territoriali; questo, forse, potrebbe spiegare la ritrosia maltese a riconsiderare l’estensione delle zone SAR, anche se non riesce a dare alcuna spiegazione valida circa l’assenza politica della UE. Quando si dice la certezza del diritto, eh?

Lucro ed Organizzazioni sparse

Il tamburo della propaganda pro ONG suscita l’invidia degli incipit romanzeschi dell’800, anche se individua solo nell’Italia l’inevitabile Regno della cattiveria, attribuendo lo status di Repubblica della bontà a chi, apertamente, ricaccia indietro i migranti impedendone l’accesso sul proprio territorio. Se è vero che sono stati posti paletti alle attività di navi registrate in un paese e battenti bandiera di un altro, è altrettanto vero che, dolosamente, altre unità continuano ad inerire nella vita politica nazionale, infischiandosene del diritto vigente e ponendo a rischio la vita dei passeggeri raccolti, NON sbarcati nel primo porto sicuro, e di fatto, spesso oggetto di sviluppi fisiologici inspiegabili per cui un lattante, raccolto in Libia, una volta giunto dopo 10 giorni a Pozzallo è alto 180 cm e si rade quotidianamente, altro che Novecento di Baricco.

Quel che è certo, è che i percorsi migratori, grazie anche alle possibilità offerte dalle unità delle ONG che navigano fraudolentemente con i transponder disattivati, hanno visto scemare i rischi e aumentare i flussi, tanto da permettere anche a bengalesi e pakistani, notoriamente mediterranei, di giungere via aereo in Libia per intraprendere una traversata garantita dall’intervento di soccorsi che, pronti al limitare delle acque territoriali libiche, permettono addirittura di far risparmiare il gasolio necessario.

Si può definire soccorso il recupero di un passeggero pagante che si è volontariamente imbarcato su di un gommone? Praticamente una farsa. La mancanza di strategia, sul piano internazionale, ha lasciato l’Italia in balia delle politiche altrui, Vaticano compreso, con il coinvolgimento di apparati interni come la Guardia Costiera, che non hanno potuto fare altro svolgere i propri compiti istituzionali, creando un effetto distorsivo ed incentivante delle migrazioni, amplificato da una politica dell’accoglienza mal gestita e dispendiosa. Una piccola nota sul nostro atavico autolesionismo: invece di premere per riconsiderare le aree SAR, l’Italia ha solamente accresciuto, a suo carico, la rilevanza di obblighi ed oneri.

Ritorniamo sulla Seawatch3: si tratta di tutte ONG? No, parliamo anche di ONLUS, ovvero di organizzazioni non lucrative di utilità sociale, che comprendono tutte le associazioni della cooperazione, nate con regolamentazione del 1997 tesa a disciplinare le esenzioni fiscali, ed ormai proliferate ovunque. Non più di 6 anni fa, più di 4 milioni di italiani lavoravano per queste organizzazioni; finanziariamente parlando, andarle a toccare significa intaccare un indotto prezioso come i diritti maltesi sulla sua paradossale SAR senza contare che le donazioni private non vietano alle ONLUS di fruire di fondi pubblici.

Non sappiamo se sulla Seawatch3 sappiano tutto ciò: noi propendiamo per un incondizionato SI, aspetto che ci fa considerare l’attività caritatevolmente navale come connivente e destabilizzante, dato che il business, cominciato a bordo, si perfeziona a terra dove le sventure umane diventano strumento per incassare denaro pubblico.

Conclusioni?

Difficile chiudere su una vicenda in corso, e che lo sarà prevedibilmente ancora a lungo. I DEF degli ultimi anni presentano dati finanziari spaventosi in termini di spesa, una spesa che l’Italia ha potuto solo considerare come da detrarre (pelosa carità europea) dal totale complessivo in termini di debito, disavanzo, e con un mercato del lavoro impossibilitato ad assorbire un capitale umano spesso impreparato, di passaggio e soprattutto refrattario a permanere, lavorando, nella propria terra di origine.

Impatto sociale: potenzialmente devastante, con servizi pubblici carenti quantitativamente e qualitativamente, assicurati sia ai cittadini paganti ed aventi diritto, sia a soggetti che, pur non avendo mai contribuito e non godendo di alcuno status riconosciuto, avanzano rumorosamente pretese sempre più onerose.

È inevitabile prendere atto che il re, ormai, è nudo, e che il buonismo d’accatto ancora inalberato da una sinistra ridimensionata dagli ultimi risultati elettorali, che tanto si sta adoperando a partire dai croissant estivi della Diciotti, che infinita disperazione addussero ai migranti fuggitivi, non tiene conto della stanchezza di un popolo che, non razzista di elezione, sta diventando esasperato di necessità.

Foto: Sea-Watch e.V. / EUNAVFOR MED Op. Sophia