Navi da guerra ai limiti del mare territoriale libico contro l’'Isis

(di Giuseppe Paccione)
14/03/15

Ormai, si va sempre più focalizzando l’'azione coercitiva armata della comunità internazionale nei riguardi dell’'assenza di un governo stabile in Libia e delle sue coste e i legami di traffici di armi, persone e greggio.

La scelta di attuare l’'embargo navale non poteva essere ancora una volta accantonata, giacché il controllo del mare è un parametro necessario per intervenire sul territorio della Libia. Esiste una serie di problemi di tipo tecnico e operativo circa l’'uso di forze navali da guerra sotto la bandiera delle Nazioni Unite, come pure la questione del salvataggio di gente che emigra verso l’Europa.

Come ben è noto, in Libia si ha la tendenza a rendere il mare come dominio esclusivo. Si menzioni le vessazioni al traffico del commercio dei pirati, presenti lungo il litorale costiero della Libia. Lo stesso dittatore Gheddafi  - oggi molti politici italiani lo rimpiangono -– aveva sfidato la libertà del mare, quando, ad esempio, annesse nel lontano 1973 il golfo di Sirte e, in seguito, proclamò un’'aera di protezione della pesca dove, soventemente, tanti pescherecci battenti bandiera italiana hanno subito aggressioni da parte delle imbarcazioni militari libiche.

Tanto è vero che lo stesso Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dopo la capitolazione del leader libico, aveva preso in considerazione di intervenire sui porti libici per contrastare il contrabbando di armi attraverso la risoluzione 1973 del 2011, che autorizzava il blocco di mercantili, che risultavano essere coinvolti nel traffico. Come pure con la risoluzione 2146, adottata qualche anno fa, si decise di fermare il contrabbando di petrolio dalla Cirenaica, con il quale l’attuale ISIS stava tentando di finanziarsi.

Ecco che si comprende la ragione per la quale, dall'’inizio del mese di marzo, sono state avviate le manovre di alcune navi da guerra della Marina militare italiana nel mare internazionale, a ridosso delle acque territoriali della Libia. Tali operazioni sono rapportate alla crisi in corso, ma anche quello di accrescere la sicurezza della zona, i cui gli interessi dell'’Italia sono ampi, come quelli degli impianti estrattivi gestiti dall'’Ente Nazionale degli Idrocarburi. Inoltre, la presenza delle nostre forze navali da guerra punta a impedire episodi pirateschi; si pensi all’'attacco di alcuni scafisti appartenenti al gruppo terroristico ISIS, che ha costretto, qualche mese fa, la Guardia costiera italiana a consegnare un'’imbarcazione che era stata sottoposta a sequestro.

L'’equipe di esperti sulla Libia ha presentato al Consiglio di Sicurezza il rapporto che ha dato il via all’'embargo navale, dove si raccomandava l’'utilizzo di navi da guerra per sostenere il governo libico per garantire la sicurezza del mare territoriale e per prevenire l’'ingresso e l’'uscita dal territorio libico di armi e petrolio. Non si è ancora a conoscenza se il Consiglio di Sicurezza determinerà nelle acque internazionali un embargo navale selettivo nei riguardi di particolari imbarcazioni sospette e segnalate dai due governi libici (Tripoli e Tobruk), sulla stessa scia della risoluzione 2146/2014.

Circa l’'immigrazione ci si pone la domanda se, con tale blocco da parte delle navi da guerra, sia fattibile fermare il continuo flusso migratorio verso le coste italiane?

In realtà, il fine del blocco non è questo, considerando i risvolti di carattere d’'umanità. In tal caso, è d’uopo parlare di espatri illegali, organizzati dagli irresponsabili trafficanti su imbarcazioni superficiali e non sicure. Solo le autorità locali hanno il potere di bloccare tale flusso di esseri umani. Tali autorità sono le uniche che potrebbero effettuare interventi di soccorso nel mare territoriale, riportando i migranti in Libia in vista della loro successiva presentazione di richieste di asilo ad organismi internazionali presenti sul posto. Eventuali salvataggi prestati in alto mare dalle Forze navali rientrerebbero, invece, nelle responsabilità dei singoli Stati di bandiera che, successivamente, dovrebbero trasportare i migranti in un‘'area sicura.

Ma quale zona sicura, dato che solo il nostro Paese si sta assumendo il compito di accoglierli?

È il resto dei Paesi europei cosa attendono a disattivare la mina migratoria?

Riaccompagnarli in Libia rappresenterebbe una violazione dei diritti dell'’individuo, che ha diritto a ottenere la protezione internazionale.