Maggio 2017, elezioni presidenziali in Iran. Il Medio Oriente (e non solo) col fiato sospeso

(di Daniela Lombardi)
24/04/17

È un tassello fondamentale per capire cosa ne sarà degli equilibri (o squilibri) geopolitici nel Medio Oriente. Il 19 maggio prossimo, data fissata per le elezioni presidenziali in Iran, sarà indispensabile conoscere chi uscirà vittorioso dalle urne, soprattutto a seguito delle dichiarazioni del presidente degli Usa Donald Trump, che ha fatto trapelare la sua intenzione di rivedere gli accordi sul nucleare iraniano.

Il presidente uscente dell’Iran, Hassan Rohani, che spera nella riconferma, ha fatto proprio degli accordi strappati all’America sul nucleare il cavallo di battaglia della sua campagna elettorale. Le trattative con gli Stati Uniti hanno infatti consentito la revoca di alcune delle sanzioni imposte dalla comunità internazionale a Teheran. In base alle stesse, l’Iran si è impegnato a limitare il programma nucleare al settore civile e a non munirsi di armi atomiche.

Poiché l’accordo ha dato più stabilità al Paese e maggiore credibilità nel contesto internazionale, Rohani viene considerato da una parte considerevole dell’opinione pubblica un presidente in grado di ridare slancio all’intero sistema economico, tema molto sentito in questo periodo storico.

Sugli equilibri in materia di economia e finanza pesa infatti il timore delle grandi banche rispetto alle manovre di Washington nello scenario mediorientale; questo scetticismo finora ha di fatto frenato la ripresa. Tutti i successi di Rohani potrebbero in sostanza essere vanificati dalle dichiarazioni di Trump proprio a ridosso delle presidenziali, ponendo sulla sua riconferma una grossa incognita. Un competitore che gode pienamente dell’appoggio del supremo leader Khamenei e che si pone nella campagna elettorale in modo aggressivo, potrebbe approfittarne.

Parliamo di Ebrahim Raisi, sceso in campo all’ultimo momento ma in grado di sparigliare le carte e creare molta inquietudine nello staff di Rohani. Per il popolo iraniano Raisi è l’espressione più dura del regime. Nel suo ruolo di viceprocuratore pubblico di Teheran, si è distinto per le condanne a morte facili e le esecuzioni di massa. Ha fatto parte della famigerata “Commissione della morte”, accusata del massacro nel 1988 di 30mila oppositori del regime. Di contro, per i suoi metodi, è stato ricompensato da Khamenei con incarichi importanti nella magistratura.

L’ayatollah non ha esitato a metterlo a capo dell’Astan Quds Razavi, fondazione economica potente più volte sospettata di finanziare cosiddette organizzazioni terroristiche.

Lo stesso Khamenei, attento al momento storico che vuole la Persia di nuovo nel gotha delle nazioni che contano, ha invece “bruciato” la già controversa candidatura di Mahmoud Ahmadinejad, che dunque non sarà in corsa il prossimo 19 maggio.

Che l’ex presidente iraniano, in carica dal 2005 al 2013, non avesse speranza di ripresentarsi, era apparso chiaro fin dall’inizio della competizione presidenziale. Era stato lo stesso ayatollah Khamenei a chiedergli di non farsi avanti.

Il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione, nominato per metà proprio dalla guida suprema iraniana, non poteva che attenersi alle sue indicazioni, estromettendo Ahmadinejad. Il nome dell’ex presidente e le sue posizioni antioccidentali non facevano comodo in questa fase storica nemmeno ai conservatori, che temevano di subire più danni che vantaggi dall’accostamento al leader noto per i suoi estremismi. Ahmadinejad ha di fatto spaccato lo schieramento tradizionalista; solo gli ultraconservatori sono rimasti ad appoggiarlo, mentre qualche suo fedelissimo lo ha accusato addirittura di blasfemia per aver contravvenuto ai consigli di Khamenei.  Escluso Ahmadinejad dallo scenario e tenuto conto del peso crescente di Raisi, non altrettanto competitivo viene ritenuto il candidato Mohammad Bagher Qalibaf, che nella sfida del 2013, vinta da Rohani, si era piazzato secondo.

Qalibaf è l’attuale sindaco di Teheran, ma ha incontrato ostacoli per una vicenda di corruzione che lo vedrebbe coinvolto. Il Comune avrebbe infatti ceduto a privati alcuni terreni di un’area residenziale a metà del prezzo di mercato. Anche per questo, il sindaco aveva fatto comprendere che si sarebbe ritirato dalla corsa, ripensandoci in seguito.

La lista dei candidati, della quale fanno parte anche Mostafa Aqa-Mirsalim, vicepresidente durante la presidenza di Rafsanjani  e di Khatami, Mostafa Hashemi-Taba, ministro della cultura nel periodo Rafsanjani e l’attuale vicepresidente Eshaq Jahangiri, verrà ufficializzata il prossimo 27 aprile. Subito dopo, partirà una campagna elettorale che si prevede senza esclusione di colpi.

I passi di Trump negli accordi sul nucleare saranno molto influenti per l’individuazione del futuro presidente iraniano. Il Medio Oriente (e non solo) rimane col fiato sospeso.

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