“Made in China 2025” e Intelligenza Artificiale: la Cina prepara la nuova rivoluzione industriale

(di Antonio Vecchio)
23/08/18

È l’intelligenza artificiale (AI) il campo in cui la Cina sta preparando il suo futuro primato globale e nel quale sta maggiormente investendo risorse, umane e finanziarie. Il campo che, per dirla con le parole di Andrew Ng1, professore a Standford, “cambierà il mondo della fabbrica proprio come cento anni fa fece la corrente elettrica”.

Ma andiamo per gradi. Con la locuzione “intelligenza artificiale” si intende2 “l’insieme di tecnologie che automatizzano le attività associate al pensiero umano, tra cui quella decisionale, quelle connesse con la soluzione di problemi e quelle di apprendimento”.

Un settore tecnologico il cui sviluppo, pur essendo ancora ai primordi, già consente ai computer di imparare ad agire autonomamente, assumendo decisioni proprie basate esclusivamente sui dati disponibili e non sulla programmazione ricevuta.

Sono ormai diversi anni che, in questo campo, la gara della Cina con il resto del modo procede serrata; non solo con gli USA, cui spetta il primato globale nella ricerca e sviluppo (R&S) e quello della produzione di hardware, ma anche con UK, Canada e con l’Unione Europea.

L’impegno di Pechino nel campo della AI inizia nel 2006 con un impegno di 75 miliardi di USD per il periodo 2006 - 2020 e il lancio, a livello nazionale, di 16 mega progetti.

Nel 2015, la dirigenza del Dragone lancia il piano “Made in China 2025” (in mandarino Zhōngguó zhìzào 2025, 中国制造2025), che si propone di trasformare l’industria cinese in una industria 4.0, assicurandole in un decennio la leadership in campo tecnologico.

Si dovrà però aspettare il XIX Congresso del Partito Comunista Cinese del 2017 per la sua consacrazione definitiva, con la dichiarazione del leader Xi Jinping di fare della futura Cina “una superpotenza scientifica e tecnologica”, in cui la AI rivestirà una parte decisiva.

Un impegno formale, quello della dirigenza cinese, in linea con lo sviluppo inarrestabile del settore, che nel 2016 ha fatto rilevare un output di circa 10 miliardi di USD, l’anno successivo salito a 15 miliardi USD, e che per il 2020 è stimato dieci volte tanto. Risultati inimmaginabili solo alcuni fa, frutto del particolare “ecosistema” creatosi, che incoraggia, con l’avvallo governativo, le attività di R&D da un lato e il “fare impresa” dall’altro.

La strategia di Pechino si sviluppa parallelamente nei campi dell’hardware, in quello dei dati e nella ricerca e sviluppo (in primis di algoritmi).

Nel primo campo, incoraggia il trasferimento di tecnologia mediante acquisizioni di marchi stranieri e la creazione di joint venture con firme estere. La costituzione di centri di ricerca in città europee o USA avanzate in campo scientifico permette di “respirare l’aria adatta” e agevola il trasferimento di saperi. Grazie a questa strategia, la Cina ha potuto realizzare ben 167 centri di calcolo avanzato (tre in più di quanti gli USA ne possiedono oggi).

Ciò nonostante, la Cina appare ancora indietro rispetto al competitor americano: basti pensare che tutt’oggi produce solo il 13% del proprio fabbisogno di circuiti integrati.

L’esatto contrario di quanto avviene nel campo dei dati dove Pechino si distingue essenzialmente per la grande quantità a disposizione, resa possibile dall’assenza di una legislazione nazionale a tutela della privacy e dal numero significativo di utenti (sono 800 milioni, solo per citare un esempio, i cittadini cinesi che si connettono ogni giorno al web da piattaforme mobili).

Consapevole dell’importanza di questo primato per il futuro della AI, la Cina favorisce una politica di continuo scambio tra soggetti pubblici e privati, che permette il trasferimento di dati personali degli utenti dagli uffici governativi alle società fornitrici di servizi e viceversa. Basti pensare che secondo il presidente dell'Accademia delle Scienze di Pechino, entro il 2020 la Cina gestirà il 20% dei dati a livello globale: circa 44 trilioni di gigabyte.

Anche nel campo della ricerca i cinesi stanno dimostrando una particolare abilità, evidente soprattutto nella elaborazione di algoritmi già sviluppati da altri. In questo settore, la Cina ha già 39.000 ricercatori a fronte degli oltre 72.000 americani; e sono circa 200.000 i lavoratori qualificati che hanno lavorato nel campo della intelligenza artificiale nel corso del 2017, con un aumento tendenziale annuo del 20-30%.

Numeri, che oltre a dare il senso di un impegno scientifico importante, sono anche la conseguenza delle politiche intraprese da Pechino per attirare alcuni dei 400.000, tra tecnici e ricercatori cinesi specializzati in AI, che ancora lavorano all’estero. Uno dei programmi di maggior successo, il “China Talent Program”, ha sinora consentito il rientro di 1510 ricercatori su 6200 domande, ai quali è stato garantito un salario dal 70% al 150% di quello dagli stessi percepito nei centri di ricerca occidentali.

È anche grazie a questa politica di apertura, che Pechino detiene, dal 2014, la leadership mondiale per numero di brevetti depositati e di ricerche pubblicate.

Un dato di gran rilievo - riferito a numerosi settori tra cui: domotica, autoveicoli senza pilota, sicurezza, robotica, cybersecurity, riconoscimento facciale e vocale e traduzione istantanea - cui però non consegue un numero equivalente di citazioni nella letteratura scientifica di settore: aspetto questo che denota, se non altro, un perdurante deficit qualitativo dei lavori di ricerca.

Ciò nonostante, la Cina può vantare (dati riferiti a giugno 2017) il 23% delle 2.542 compagnie impegnate nel mondo nel campo della intelligenza artificiale, contro il 42% americane.

Sono 242 i centri di ricerca/ produzione che operano nella sola Pechino, 112 quelli di Shangai e 93 sono invece a Shenzhen. Sempre cinesi sono inoltre i primi tre big player globali: Baidu, Alibaba e Tencent (i cosiddetti BAT).

Al momento, il campo su cui maggiormente si sta concentrando la ricerca e l’applicazione è quello del controllo sociale, quanto mai importante per uno stato la cui popolazione raggiunge ormai il miliardo e quattrocento milioni di persone.

La tecnologia sinora sviluppata, che consente il controllo biometrico degli individui, unita alla citata disponibilità di dati personali, già consente un database di oltre un miliardo di posizioni individuali, che, solo riferendosi al 2016, ha permesso l’arresto di circa 4000 criminali identificati grazie al riconoscimento facciale ottenuto con telecamere montate sui caschi dei poliziotti (lo scorso mese di maggio, nella vasta regione nord occidentale del Xinjiang, un ricercato è stato individuato dal personale di sorveglianza e arrestato in uno stadio di 20.000 persone).

Ma è sul progetto del “sistema di credito sociale”, ossia la possibilità di assegnare un “voto e un giudizio” individuali sulla base del loro comportamento civico, che Pechino sta investendo le risorse più importanti.

Il piano prevede di “mettere in sistema”, grazie alla rete e alla collaborazione di tutti i gestori di pubblici servizi, le interazioni di ciascun cittadino cinese verificando la bontà del suo “comportamento sociale”.

Pagamenti delle bollette e delle rate di prestiti, uso dei social media e del web, capacità di generare rispetto sociale e sul posto di lavoro: tutto questo, e molto altro, contribuirà ad attribuire un punteggio che condizionerà, in futuro, non solo l’accesso al credito, ma anche quello alle scuole, alle università, l’acquisto di biglietti ferroviari e aerei, la possibilità di saltare liste di attesa negli ospedali pubblici, ecc.

È soprattutto su questo sistema, che Pechino intende impostare nel futuro la “governance interna”, realizzando una società di “orwelliana” memoria che pensavamo esistesse solo nella fantasia dello scrittore e saggista britannico3.

La rivoluzione tecnologica in atto, incluso il preponderante impiego dell’intelligenza artificiale, ne costituisce lo strumento principale.

1 Professore associato all'Università di Stanford, è cofondatore di Coursera. Ha lavorato presso Google e Baidu.

3 George Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair (Motihari, 25 giugno 1903 – Londra, 21 gennaio 1950), è stato uno scrittore, saggista, giornalista e attivista britannico.

(foto: web / Ministry of National Defense of the People's Republic of China)