Lo scacchiere siriano e l'interventismo masochista

(di Denise Serangelo)
10/09/15

E' bastato veramente poco perché improvvisamente l'Europa (e il mondo) si ricordassero che in Siria lo Stato Islamico galoppa senza freni, da anni.
Meno di una settimana fa sulle principali testate giornalistiche mondiali, si proclamava il risveglio della Russia per il fronte siriano.
Dopo aver deciso - con tutta calma - con chi schierarsi e chi bombardare (come se fossimo al bar con gli amici) ora finalmente in mezza Europa i caccia scalpitando sulle piste e i venti di guerra fischiano sui cieli siriani.
Il disgelo è ufficialmente iniziato, diamo fiato ai cannoni.

Era solo questione di tempo perché qualcosa tra Siria, Libia e Iraq si mosso, ma la speranza era che ci si muovesse prima sul ramo politico e poi su quello militare.
L'interventismo è assolutamente necessario, ma come non ci stancheremo mai di dire deve essere oculato e pianificato perché non si trasformi un esercizio di masochismo pure e semplice.
Vista in quest'ottica la Siria era proprio l'ultimo baluardo che dovevamo toccare.
Politicamente è un pantano da cui l'Europa non si tirerà fuori facilmente, le forze in campo sono tante e tutte con interessi specifici nel territorio siriano.
Militarmente - oltre a rischiare una caduta di stile - non si pagherà sul terreno la decisione di intervenire senza il supporto di un progetto più ampio orientato al futuro.
Dimostrazione pratica è che stiamo bombardando ma ancora non sappiamo cosa stiamo colpendo il che ci ricorda la triste storia dell'Arabia Saudita e dello Yemen iniziata a fine marzo.
Se in Siria non ci fosse lo Stato Islamico che non è il vicino di casa che avremmo voluto, nessuno si starebbe affrettando a fare benzina ai bombardieri.
Da quattro anni in Siria, si muore di fame e di guerra civile, uno dei teatri più abominevoli che si ricordi dalla fine della seconda guerra mondiale, eppure eravamo tutti comodamente seduti a discutere di tutt'altro.
Ora la fretta di fare qualcosa rischia di far capitolare la Siria verso un baratro anche peggiore.

Per comprendere meglio i possibili sviluppi geopolitici e militari della vicenda è importante prima capire quali pedine si muovono sullo scacchiere siriano e perché.

Il primo inestricabile punto è sicuramente la figura complessa di Bashar al-Assad.
Potremmo discuterne per giorni ma Assad è ancora il Presidente della Siria ed è una delle pedine più importanti in campo, il vero fulcro intorno a cui ruota la lotta al terrorismo.
Il suo ruolo è decisivo per qualsiasi intervento, da quello militare a quello politico. La "sua" Siria è ormai solo un pungo di terra dilaniata e affamata, ad Assad tocca solo capire come salvare il salvabile.
Negli ultimi giorni ha dichiarato di aver ufficialmente bisogno di aiuto contro lo Stato Islamico ( alla buon'ora!) e di voler rinunciare alle postazioni meno importanti del paese in favore di una fortificazione dei punti strategici. Assad intende dunque creare una spina dorsale ben fortificata ed armata da cui far partire le offensive contro l'IS ma non è chiaro cosa farà contro i ribelli.
Mentre la Russia e l'Iran si affrettano a smuovere un apparato militare arrugginito , Damasco perde anche l'ultimo baluardo di neutralità: i Drusi.
I drusi sono una minoranza etnica e religiosa mediorientale originaria del Levante che parla arabo.

In tutto sono poco più di un milione e mezzo di persone, che vivono in un territorio che travalica i confini dei Paesi che gravitano attorno alle alture del Golan. Il loro credo mischia elementi dell'ebraismo, dell'Islam, del cristianesimo e un po' di induismo, ma i dogmi della loro fede sono riservati ai soli iniziati. Solo gli adepti possono studiarla, e i religiosi si riuniscono il giovedì e la domenica in luoghi privi di immagini.

Per queste loro caratteristiche sono considerati eretici dagli islamisti radicali, specialmente quelli di ramo salafita, che costituisce l'ideologia alla base di Al Nusra e dell'Is.
E' inutile sottolineare come questo popolo sia dunque oggetto di annientamento serrato.
Ma perché sono importanti i Drusi in questa lotta civile?
Innanzitutto è emblematico il comportamento di Assad, che prima dichiara di voler salvare la Siria dall'IS e dalla guerra civile e in poco meno di ventiquattro ore riesce a inimicarsi l'unica fazione ancora neutrale.
Nella notte tra il 5 e il 6 Settembre due autobombe si sono fatte esplodere nella città di Sweida uccidendo altrettanti leader religiosi drusi e una trentina di persone.
Così nella guerra in Siria debutta la guerriglia drusa.
Sheikh Wahid Balous, esponente religioso molto rispettato dalla popolazione e morto in questo attacco, si opponeva al regime di Damasco ma era anche avversario dei gruppi jihadisti.
La reazione della popolazione locale è stata prendere le armi e dare la caccia agli uomini della sicurezza di Assad. L'etnia da sempre considerata vicina a Damasco, ritiene che quest'ultima abbia deciso di eliminare Balous, innescando la rivolta degli abitanti locali.
Assad dunque perde alleati preziosi e visti i venti di guerra, nessun abile stratega si sarebbe messo contro l'ennesima parte in causa.
Le truppe di Damasco - nonostante i neo acquisiti nemici - hanno ritrovato il favore di due eccellenti intermediari.

I governi di Madrid e Vienna rompono il tabù e sostengono che sia ora di intavolare una seria negoziazione con Assad non solo in chiave anti Stato Islamico ma anche per fermare l'annientamento sistematico del paese.
I più intransigenti non vorrebbero nemmeno sentir abbozzare un'ipotesi così assurda, ma la vita (anche quella internazionale) non è fatta di soli principi, il pragmatismo potrebbe davvero salvarci da una Siria in mano al Califfato.
Assolutamente fuori dal coro è la Francia che anche in questo caso - e del tutto unilateralmente - opta per " bombardiamo e poi vediamo" che in Libia ha già fatto i suoi danni. Cosa o chi si stia bombardando non è dato sapere, anche perché le fonti militari dell'Eliseo parlano di voli di ricognizione per comprendere le postazioni sensibili dell'IS e in un secondo momento abbatterle.

Se Austria e Spagna hanno deciso di parlare fuori dagli schemi, Russia; Iran ed Hezbollah sono pronti a rimanere al fianco di Assad in modo imperituro e non del tutto disinteressato.

Vladimir Putin in un ritrovato protagonismo internazionale, punta tutto sullo scacchiere siriano e in generale nel medioriente.
L'intento sembra essere quello di fare da mediatore tra Damasco e i governi occidentali a cui Putin avrebbe fatto presagire odore di elezioni, diciamo democratiche, entro i confini siriani.
È recente la notizia che Assad sarebbe disposto a indire elezioni parlamentari e comporre una coalizione con un'opposizione "ragionevole", per la condivisione del potere.
Se davvero succedesse, Putin sarebbe inevitabilmente il fulcro di questo gioco politico, inutile dire che se la Russia mette la sua bandiera sopra una proposta così succulenta, qualcosa già bolle in pentola.
Non contento, Putin, richiama all'ordine anche Stati Uniti ed Arabia Saudita in una coalizione anti-is che lui sostiene da qualche tempo.
Questa fantastica coalizione però non ha ancora un piano d'attacco e nemmeno uno per il futuro della Siria, sconfitto lo Stato Islamico infatti che ne sarà di Assad?

Oltre ad una materiale interesse politico, la Russia è anche impegnata fisicamente entro i confini siriani con mezzi e soldati, le unità e il peso che queste hanno nel conflitto non ci è dato sapere.
Considerata la convergenza delle truppe di Assad verso postazioni più importanti, Putin sembra essere fortemente tentato nel puntare tutto il suo arsenale sulla cittadina di Latakia.
 La città si trova a soli 85km dal porto di Tartous, unico approdo nel Mediterraneo della flotta russa. Concesso in gestione a Mosca nel 1971, il porto può ospitare fino a quattro navi di medie dimensioni.
Il controllo dell'aeroporto di Latakia, che secondo indiscrezioni è già in mano alle truppe russe , ha allarmato gli Stati Uniti che in risposta hanno fatto richiesta formale alla Grecia di negare alla Russia l'utilizzo del suo spazio aereo per voli verso la Siria.

Da qualche ora la situazione si è ulteriormente complicata a causa del diniego della Bulgaria di sorvolare il suo spazio aereo per portare rifornimenti in Siria con gli Antonov russi mentre l'Ungheria ha accettato il sorvolo e aspetta di sentire da un momento all'altro i cargo passare sui suoi cieli.
La Bulgaria, che in Siria non ha interessi è stata recentemente oggetto di massicce esercitazioni NATO a guida americana che ci lascia presagire un avvicinamento alla sfera di influenza decisionale a stelle e strisce.
Quelli che una volta erano "Stati cuscinetto" tra occidente e blocco sovietico oggi giocano una partita importante sulla scena internazionale perché la Federazione Russa per garantire il suo ruolo in Medio Oriente deve necessariamente scendere a patti con i governi nazionali dell'Est.

Nella geopolitica del Medio Oriente la Siria è un paese-chiave, ma lo è anche nello scacchiere internazionale, un passo falso e l'occidente perde l'intera regione.
Quando in ballo ci sono enormi interessi come in questo caso, sarebbe impensabile non sapere come intende comportarsi l'America.
Il dissenso verso la politica a stelle e strisce è costato al regime di Assad l'inserimento nella Black list come “Stato Canaglia” subito dopo gli attacchi delle torri gemelle.
Gli elementi a supporto di questa decisione sono diversi: in primis il sostegno politico, economico e militare al partito libanese Hezbollah e la protezione di Hamas. La sempre crescente ostilità verso Israele, Stato con il quale, non ha mai firmato alcun accordo di pace dal 1948.
Ultima, ma non per importanza, la vicinanza ideologica all'Iran, che a sua volta a grossi interessi nel Paese.
Oltre ad aver inviato qualche aiuto ai ribelli e qualche drone a casaccio, l'America non si è spinta più di tanto nella questione siriana ma ha influenzato le decisioni di altri paesi.
Obama ha preferito (con un colpo di scena mai visto) deferire le sue responsabilità all'Europa e - misteriosamente - ai paesi emergenti, sostenendo che il power shift ormai era passato in mano ad altri paesi.
Un modo piuttosto elegante per scaricare la responsabilità dell'intervento militare a paesi terzi.
Realtà come Cina e Giappone non si sognano nemmeno di mettere piede nello scacchiere mediorientale e meno che mai lo faranno i paesi emergenti che hanno già abbastanza problemi per conto loro. L'unico coinvolgimento sembra essere quello legati al traffico di armamenti ma nulla di più.
Obama in questo modo ha evitato che il vero nodo del problema venisse al pettine: l'opposizione ferrea della Russia all'intervento in Siria.
Putin memore di come erano andate le cose in Egitto e in Libia ha posto il veto su qualsiasi risoluzione prevedesse l'intervento armato, sostenendo che se Assad doveva cadere, sarebbe caduto per mano del suo popolo.
Se sia stata una mossa vincente o meno questo non ci è dato sapere, ma l'America, con la scusa dello slittamento di potere internazionale si è lavata le mani e la coscienza.

L'Iran invece ha le idee chiarissime su cosa vuole in Siria: esserci a tutti i costi.
La Siria ha sempre ricoperto una posizione centrale nella strategia regionale iraniana, risultando di vitale importanza per gli interessi strategici di Teheran.
Damasco è il baluardo principale contro Israele che passa anche per Hezbollah, Hamas e il Jihad islamico palestinese.
Si stima che negli ultimi anni la Repubblica Islamica abbia investito, a fondo perduto, 25 miliardi di dollari in sostegno finanziario all’establishment ba’athista in Siria.
Fonti molto vicine alla Guida suprema Ali Khamenei hanno dichiarato: "Se perdiamo la Siria non potremo tenerci Teheran." Questo lascia presagire tutto l'interesse iraniano a tenere la sua alleata il più stabile possibile.

L’uomo insignito di tutelare questo spaventoso interesse nazionale è il generale Qasem Suleimani, comandante della Unità Al Quds dei Guardiani della Rivoluzione Islamica.
Il soggetto in questione è la punta di diamante dell'esercito iraniano, decorato e osannato come una celebrità rappresenta tutte ansie che il suo paese ha verso la Siria.
La strategia di Suleimani è divisa in due punti: il primo consiste nella formazione e nel finanziamento di una milizia di 150 mila unità, denominata Jaysh al Sha’bi, con il compito di supportare in futuro le attività dell’Esercito regolare siriano.
Il secondo punto riguarda l’addestramento, il supporto militare e di intelligence viene fornito sia al Jaysh al Sha’bi sia all’Esercito siriano dalle forze di terra dei Pasdaran (Irgc), dalla Unità Al Qods, dai servizi d’Intelligence, Hezbollah e formazioni sciite paramilitari di vari paesi.

L’altra forza in campo è Hezbollah, i cui interessi strategici collimano con quelli iraniani. 
Il leader del Partito di Dio, Hassan Nasrallah, nel 2013 ha sottolineato a Teheran che il coinvolgimento del movimento nella guerra siriana è da interpretarsi come una lotta per la sopravvivenza regionale degli sciiti contro il crescente di estremismo sunnita.
Hezbollah conta sul territorio una forza di 2 mila libanesi sciiti reclutati dai villaggi di confine, la sua presenza nella cittadina di Latakia ha perso di spessore dopo tre anni di continui combattimenti.
Compito primario degli iraniani e di Hezbollah consiste quindi nel riconvertire le forze governative siriane da un modus operandi di scuola sovietica, statico e abituato a operare in spazi aperti, a un impianto più agile e maggiormente in grado di affrontare l’insurrezione tramite la formazione nelle tecniche di guerriglia e di guerra urbana.

Grazie a questo addestramento intensivo e alle forze convenzionali Assad continuerà a mantenere protetto quel serpente che dalla periferia meridionale di Damasco sale su fino a settentrione di Latakia costeggiando il confine libanese.

Il rapporto tra Israele e la Siria non gode certo di ottima salute.
Il 21 agosto 2015 la Siria ha sparato quattro razzi contro Israele dalla zona di Quneitra, sulle alture del Golan, e non succedeva dalla guerra del 1973. Israele ha risposto nel giro di poche ore con un bombardamento d’artiglieria contro quattordici postazioni in territorio siriano, tra i dieci e i quindici chilometri oltre il confine, in una fascia di territorio che è controllata dall’esercito di Damasco. E’ il bombardamento contro la Siria più intenso da quattro decenni, considerato che negli anni scorsi ci sono stati colpi di mortaio partiti dal lato siriano e che Israele ha cominciato a colpire oltre confine a partire dal febbraio 2013, per bloccare i trasferimenti di armi sofisticate verso il gruppo libanese Hezbollah.
Il comando israeliano sostiene che a sparare i quattro razzi non è stato l’esercito siriano, ma la sezione palestinese della forza al Quds iraniana.
La forza al Quds è il reparto iraniano che si occupa delle operazioni speciali all’estero e agisce grazie all’appoggio e alla presenza di milizie locali. In questo caso secondo l’esercito israeliano si trattava di quattro uomini del Jihad islamico, un gruppo palestinese di Gaza che ha il suo quartier generale a Damasco. Del resto non c’è gruppo islamista della regione che negli anni recenti non abbia fatto base in Siria, come Hamas e Hezbollah (e pure il Pkk, che non è islamista). 
Anche per la sua vicinanza ideologica all'Iran, Israele certamente non può permettersi una risoluzione filo-sovietica e spera di spingere la politica americana ad intervenire preventivamente.

Come si evince, non esisteva nessuna buona ragione per iniziare a bombardare una Siria già dilaniata e contesa.
L'Europa, almeno questa volta, poteva limitarsi ad incoraggiare gli accordi con Assad e i paesi che lo sostengono invitandolo a trovare una soluzione consona anche per il futuro.
E' piuttosto rinomata la poca lungimiranza dell'Europa nelle questioni mediorientali, basti ricordare l'Iraq e l'Afghanistan, ma in Siria ci sono in ballo interessi che oltrepassano gli equilibri regionali minacciando persino la sicurezza globale.
Al di là delle controversie eterne tra blocco sovietico e quello americano, oltrepassando la voglia di sopravvivenza di cellule terroristiche e repubbliche di dubbio gusto, arriviamo al nocciolo duro della spinosa questione siriana: l'IS.

Lo Stato Islamico dell'Iraq e della Siria ( ISIS ) poi rinominato solo Stato Islamico è una strana creatura che è assemblata un po’ come organizzazione terroristica, un po’ come unità di guerriglia, esercito strutturato e in fine un po’ di istituzioni parastatali.
Le radici affondano a 25 anni fa, direttamente dalle mani di Abu Musab al Zarqawi, che nel 2003 fonda Al Qaeda in Iraq che a sua volta passerà nel 2011 sotto la guida di Al Baghdadi.
E' nel 2011 che rimbalza per le prime volte il nome di Stato Islamico dell'Iraq.
Al Baghdadi è iracheno e, a differenza di Al Zaeqawi, usa la sua rete di relazioni tribali per allargare l’alleanza anti-sciita.
Il caso vuole che nella vicina Siria, il presidente alawita dunque sciita Bashar al Assad opprima la maggioranza sunnita ma non controlli i territori confinanti con l’Iraq. L’Isi penetra in Siria, nel maggio del 2013 occupa la città di Raqqa, e viene rinominato “Isis”, Stato islamico dell’Iraq e della Siria.

L’Isi si è ingrossato in Siria con l’arrivo di jihadisti dal mondo islamico e dall’Europa e conta 50 mila combattenti. Con un blitz, nel giugno 2014 Al Shishani (luogotenente di Al Baghdadi) sposta una colonna motorizza dalla Siria all’Iraq e occupa Mosul che conta 2 milioni di abitanti.
Al Baghdadi fonda allora lo Stato islamico su quasi mezza Siria e mezzo Iraq. Si autonomina Califfo, guida spirituale e politica di tutti i popoli islamici, e governa 10 milioni di sudditi.

 L'ideologia sfrontata dell'IS si fonda sulla purezza dell’islam nella versione salafita: chi non si adegua va eliminato.
Nel bersaglio finiscono sciiti, cristiani, yazidi, curdi, laici.
Una lettura letterale del Corano è il cemento di questo pseudo stato, che lo porta a giustificare uccisioni, riduzione in schiavitù, stupri. La ferocia delle esecuzioni serve a intimidire i nemici, a galvanizzare gli estremisti, da monito ai timidi. 
Lo Stato Islamico non riconosce la comunità internazionale dunque non ha bisogno di costruire uno Stato per legittimarsi nella comunità internazionale.

Questo regno ibrido che pensavamo fondarsi su uno stereotipo vecchio come Al Qaeda è stato capace di superare le avversità del passato per risorgere dalle sue ceneri.
L'IS risorge dalle ceneri di Al Qaeda, trasformata dai suoi stessi errori in uno strumento del terrore altamente funzionante.
La Siria per lo Stato Islamico rappresenta una fonte di reclutamento e di sostentamento finanziario, sarebbe impensabile che vi rinunci senza combattere rischiando ogni cosa.

Nelle mani di questi "terroristi 2.0" ci sono armamenti di qualsiasi tipo e per ogni occasione dall'esplosivo al plastico fino alle armi di ultima generazione.
Fonti non confermate sostengono che alcune frange dell'organizzazione siano in possesso di materiale radioattivo o di armi chimiche da utilizzarsi contro l'occidente in caso di invasione terrestre.
Quello che maggiormente dovremmo temere, in vista di una improbabile invasione, sarebbe l'accesso alle fonti che hanno combattuto in Afghanistan ed Iraq, capaci di trasmettere le nozioni utili per gestire una guerriglia ad alti livelli.
Sembra una questione facile da arginare e invece con l'open source di internet e una connessione internet chiunque può conversare con chiunque, con una webcam insegni a costruire una bomba anche se abiti dall'altra parte del mondo.
Il giro di armi di piccolo e medio calibro è un fenomeno che nemmeno si conta più.
Il munizionamento arriva da ogni parte del globo ma soprattutto da Cina, Stati Uniti, Russia e Serbia.
L'ultimo dispaccio diffuso dal Conflict Armament Research analizza armi e munizioni sottratte all'IS durante la battaglia di Kobane tra il settembre 2014 e il gennaio 2015.
Spiccano per particolarità i fucili cinesi CQ da 5.56mm che somigliano tremendamente ai fucili CQ che il Sudan forniva ai ribelli del sud-Sudan nel 2013.
Fucili di produzione belga sono stati ritrovati in zone al confine con il libano ed è plausibile ipotizzare il loro arrivo proprio dal paese dei cedri, per non parlare dei fucili d'assalto sia russi che americani dagli AKM agli M16.
M79 razzi anticarro e le M80 mitragliatrici cinesi.
Si stima che il munizionamento - dalle armi personali alla contraerea - sia stato prodotto in 21 paesi in un lasso di tempo che parte dal 1945 al 2014, in Siria potremmo imbatterci in residuati bellici della seconda guerra mondiale come in armi di ultima generazione a guida laser.

Per i motivi sopraesposti e per e per la complessità dei giochi di potere che la Siria ha risvegliato sarebbe bene che l'Europa chetasse le turbine dei suoi bombardieri e per una volta faccia non la cosa moralmente più elegante ma pragmaticamente più risolutiva: sostenere Assad.
Nessun analista, considera Assad un governante nel senso letterale del termine, un governante non userebbe bombe contro il suo popolo, anche se quest'ultimo desiderasse vederlo alla forca.
Tuttavia è necessario pensare che tra i due mali bisogna scegliere quello minore e talvolta scendere a compromessi con esso per evitare la catastrofe.

In tutto questo scenario complesso ed articolato non abbiamo parlato dell'Italia che ancora dorme sonni profondi mentre il mondo intorno a Lei gira vorticoso e senza sosta.
Inutile dire che il governo non ha ancora preso una posizione sull'eventuale intervento in Siria, a noi piace avere un po’ tutte le porte aperte e nel dubbio ci limitiamo ad annuire ma a non fare nulla.

Dopo 300mila morti e quasi 12 milioni di profughi, dopo quasi cinque anni di combattimenti senza risultati inizierei a pensare di far pace con il resto del mondo e decidere da che parte si vuole stare.
La lotta al terrorismo è una e una soltanto, quella che lo sconfigge una volta per tutte, la lotta al terrorismo non è quella che abbatte una bestia e ne alimenta un'altra latente.
La lotta al terrorismo parte sempre prima dalla testa e dalla politica che non dalla pancia e dalla paura.
Abbiamo già visto cosa succede usando solo qualche aereo e qualche bomba, tanti morti, molte lacrime e un Califfato che non volevamo.
Lo scacco matto è dietro l'angolo ora la prossima mossa spetta a noi.

(foto: IRNA)