L'inaccettabile rischio dell'istituzione di un esercito kosovaro

(di Andrea Gaspardo)
10/04/19

Sebbene l'opinione pubblica nel suo complesso tenda ad ignorarlo, negli anni recenti il rischio geopolitico connesso all'area balcanica ha iniziato nuovamente a crescere esponenzialmente. Epicentro di questa nuova ondata di tensioni è, una volta ancora, il territorio del Kosovo. Oltre ai mai sopiti rancori ereditati da decenni di permanenza kosovara nella federazione jugoslava e ai lutti causati dalla Guerra del Kosovo del 1999, altre fonti di tensione si sono successivamente accumulate. L'ultima di queste è stata la decisione, approvata nel dicembre 2018 dall'Assemblea Nazionale (l'equivalente locale del nostro Parlamento), di trasformare le cosiddette “Forze di Sicurezza del Kosovo” in un esercito in piena regola dotato delle strutture di comando e controllo e degli arsenali militari pesanti adeguati al compito di tutelare l'integrità del “paese”.

Varie ragioni sia di ordine interno che esterno hanno spinto la leadership dell'entità balcanica a compiere una mossa di tale portata, nonostante l'irrigidimento ulteriore dei rapporti con la Serbia che questo ha comportato. Da un lato, l'appello alla retorica nazionalista serve ai dirigenti kosovari a distogliere l'attenzione degli abitanti dalla catastrofica situazione economica interna (il Kosovo è il terzo paese più povero d'Europa per PIL pro-capite a parità di potere d'acquisto, superato solamente da Ucraina e Moldova). Dall'altro, l'attivismo in campo diplomatico-militare serve a rafforzare la collaborazione con gli Stati Uniti d'America e una parte dei suoi alleati occidentali per garantire la sicurezza esterna di un territorio sorretto da un'architettura istituzionale instabile e la cui postura internazionale sta cominciando a venire messa seriamente in discussione. Infatti dopo che 116 su 193 membri dell'ONU avevano riconosciuto il Kosovo come stato sovrano, a partire dal 2017 la controffensiva diplomatica di Belgrado e Mosca è riuscita ad ottenere il ritiro del riconoscimento da parte di 14 stati, con altri 2 pesantemente in bilico. Non solo, all'interno dell'Unione Europea, che costituisce uno dei principali sponsor del piccolo territorio balcanico, cinque membri (Spagna, Grecia, Cipro, Romania e Slovacchia) si sono pervicacemente rifiutati di riconoscere Pristina.

Che il vento internazionale stia lentamente cambiando non è sfuggito ai dirigenti kosovari, i quali hanno deciso di giocare d'anticipo ripercorrendo la strada già tracciata il 17 febbraio 2008 quando con la “Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza”, in spregio alla risoluzione 1244 delle Nazioni Unite, decisero di proclamare la loro “autodeterminazione”. A tal fine, hanno annunciato il piano di trasformare ed espandere le “Forze di Sicurezza del Kosovo” in un esercito in piena regola che dovrebbe contare circa 10.000 uomini tra attivi e riservisti.

La mossa ha registrato l'opposizione immediata tanto di Belgrado quanto di Mosca che hanno puntato il dito contro questa ulteriore mossa destabilizzante. Il commento più pesante, da questo punto di vista, è stato quello di Vassily Nabenzya (foto), rappresentante permanente della Russia presso le Nazioni Unite, il quale dopo aver messo in guardia dal fatto che l'istituzione di forze armate in piena regola è in aperto contrasto con le norme della costituzione kosovara stessa, ha poi affermato che “non vi è alcuna garanzia che tale esercito kosovaro non venga poi usato per portare a termine la pulizia etnica definitiva dei Serbi rimasti in quel territorio”. In realtà, tali preoccupazioni non sono assolutamente da sottovalutare dato che nel periodo subito successivo alla guerra del 1999, e poi ancora nel 2000 e nel 2004, i Serbi e le altre minoranze del Kosovo furono sottoposte a veri e propri pogrom organizzati dall'alto. Il rischio che tale esercito venga dunque utilizzato dai leader di Pristina per portare a compimento l'opera di “purificazione” del Kosovo è troppo grande per essere bellamente ignorato.

Foto: Iowa Army National Guard / web