L'Europa delle opportunità: progetti congiunti e fondi (promessi). Chi le coglie e chi resta a guardare...

(di Federico Castiglioni)
10/10/17

Con lo stile freddo e razionale che lo contraddistingue il 4 giugno scorso, in piena campagna elettorale, Emmanuel Macron teneva un discorso sulla difesa nel quale marginalizzava il ruolo nella Nato nel futuro francese (“un’alleanza difensiva che è divenuta aggressiva”, nelle sue parole) e sottolineava contestualmente la necessità di una vera integrazione europea della Difesa.

L’accusa agli Stati Uniti di voler cambiare lo scopo e lo spirito dell’alleanza non è nuova nella politica francese e riecheggia dalle critiche del generale De Gaulle a quelle rivolte dal presidente Jacques Chirac a George W.Bush. Non è un caso del resto se la Francia, fin dagli anni ’60, è stata il motore dell’integrazione europea della Difesa, iniziando con il piano Fouchet deli anni ‘60 (mai arrivato in porto), passando per l’incontro di Saint-Malo tra Tony Blair e Chirac e arrivando all’impulso dato da Parigi nel definire i nuovi compiti dell’Azione esterna europea nel Trattato di Lisbona.

La nuova crisi transatlantica che si sta consumando tra Europa e Stati Uniti, incentrata proprio sul ruolo futuro e presente della Nato può essere l’occasione per un rilancio per una più vasta cooperazione continentale sulla Difesa? La scelta di procedere su questa strada potrebbe non essere opzionale. Gli Stati dell’Unione Europa nel complesso spendono ad oggi esattamente la metà degli Stati Uniti nel settore ma l’efficienza comparata degli investimenti non è della metà, ma si aggira intorno al 25%. Questo vuol dire che la moltiplicazione dei fornitori, i progetti incompiuti e la scarsa ambizione possibile con dei progetti sviluppati unilateralmente dalle nazioni europee portano ad una perdita di competitività ormai inaccettabile, soprattutto in un mondo instabile in cui si sono aperti nuovi scenari caldi tutto intorno al continente, in particolare ad est della Vistola e sulla sponda sud del mediterraneo. Come se non bastasse negli ultimi anni, complice la crisi economica, tutti i Paesi europei hanno dovuto costantemente tagliare le spese destinate al comparto. Basti pensare che nel 2017 sono stati spesi nel complesso in Europa per la Difesa 20 miliardi in meno rispetto al 2007, un calo drastico e a tratti preoccupante.

A parte alcune singole iniziative, ad esempio nell’est europeo, sembra che questo trend non si stia invertendo, visto per esempio l’annuncio francese di una riduzione di ulteriori 800 milioni destinati alle Forze armate nella prossima finanziaria (decisione che ha causato numerose polemiche, tra cui le dimissioni del capo di stato maggiore Pierre de Villiers - v.articolo). La diminuzione del sostegno europeo anche in ambito Nato ha portato alla dura reprimenda del presidente Trump e ha contribuito a tracciare un nuovo solco attraverso l’Atlantico. Gli europei si trovano quindi in una difficile situazione e l’unica opzione sembra quella di spendere meglio le poche risorse disponibili per alcune priorità di Difesa continentale. Partendo da queste considerazioni si può ben comprendere l’accelerazione franco-tedesca di questa estate per un nuovo ambizioso piano di sviluppo congiunto di armamenti. Il 18 maggio scorso Angela Markel e il nuovo inquilino dell’Eliseo, Emmanuel Macron, al termine di un incontro bilaterale hanno annunciato alcune direttrici di azione congiunta comune. La prima sembra riguardare il comparto aereonautico e in particolare lo studio di un nuovo Eurofighter di V generazione che riproduca il consorzio europeo degli anni ’90 che ha portato allo sviluppo del celebre caccia intercettore. Un’importante novità rispetto al consorzio precedente sarebbe la sostituzione della britannica BAE Systems con un altro fornitore di sistemi elettronici, presumibilmente francese. In tal modo si recupererebbe l’idea originale di coinvolgere in prima linea Parigi nello sviluppo di un nuovo caccia europeo, esperimento fallito nella prima versione dell’Eurofighter per numerose incomprensioni che portano la Francia a ritirarsi dal progetto per sviluppare il caccia bombardiere Rafale.

La seconda direzione di sviluppo congiunto annunciata dai due capi di Stato è quella dello sviluppo di un nuovo veicolo corazzato. Da anni ormai in Europa ci si interroga sul futuro del Leopard 2 (foto) e sulla possibilità di superare i semplici aggiornamenti per arrivare allo sviluppo di un vero carro di nuova generazione. L’esigenza europea di aggiornare il fortunato prodotto della tedesca Krauss-Maffei si è fatta più pressante dopo la presentazione del carro russo Armata, che probabilmente sarà prodotto in serie dal prossimo anno. È facile immaginare un protagonismo tedesco su questo progetto, ma in che modo si possano o vogliano coinvolgere gli altri partner continentali è ignoto.

La terza direttrice di sviluppo congiunto sembra essere quella della creazione di un modello di drone europeo, che permetta di abbassare i costi e le altre difficoltà legate all’acquisto di droni statunitensi. In questo settore l’Italia ha qualcosa da dire. Dal 2010 l’Aermacchi, insieme alla francese Dassault, studia modelli sperimentali di droni che possano servire allo scopo. Nel giugno del 2015 il progetto è stato ampliato firmando un protocollo di intesa tra ministero della difesa italiano, francese e tedesco; nell’ottobre dello stesso anno il modello di drone europeo sperimentale Neuron (foto seguente) è stato testato in Sardegna (v.articolo).

Questi tre settori strategici individuati da Merkel e Macron sembrano aprire quindi una nuova fase nella storia della collaborazione europea nel settore della Difesa.

Restano diversi punti interrogativi, ad esempio sulle risorse che saranno investite. Una prima risposta in tal senso è venuta dalla Commissione Europea nel settembre del 2016. Durante lo State of the Union il presidente della Commissione Juncker aveva infatti annunciato un piano ambizioso per la Difesa che sembrava mirabolante, ma le cui direttrici sembrano invece confermate dal vertice bilaterale franco-tedesco di quest’estate. Juncker aveva annunciato la disponibilità da parte della Commissione Europea di investire 500 milioni l’anno in finanziamenti diretti e 1 miliardo l’anno in cofinanziamenti (fino ad un 25% del totale) per progetti di ricerca e sviluppo a partire dal 2019. Le proposte di ricerca congiunta europea sarebbero dovute pervenire alla Commissione da almeno tre industrie specializzate nel settore e coinvolgere almeno tre Stati membri. I tre progetti indicati da Merkel e Macron dovrebbero quindi farci capire in quali settori queste risorse saranno spese e chi ne saranno i principali beneficiari, anche se non è escluso il coinvolgimento di altri partner (questo è del resto il senso dell’iniziativa) in primis di Italia e Spagna. Già il mese scorso l’Agenzia Europea per la Difesa, il “contenitore” di pull and sharing che veicola i fondi che l’Unione spende in campo militare, ha lanciato una Request for information proprio per valutare delle proposte per la realizzazione di un nuovo corazzato che parta dall’ultima versione del Leopard 2, ossia proprio quello che era stato prospettato da Parigi e Berlino a fine giugno.

Nonostante l’accelerazione degli ultimi mesi questi progetti congiunti potrebbero arrivare con qualche anno di ritardo rispetto al necessario. Qualsiasi sviluppo significativo è in effetti impensabile prima del 2021 o del 2022 ad essere ottimisti, e questo senza considerare il tema della produzione che seguirà quello dello sviluppo. Ancora una volta la competizione tra Stati e tra imprese di bandiera sostenute dai rispettivi governi può essere il vero tallone d’Achille di questi progetti, così come di ogni effettiva cooperazione europea.

(foto: U.S. Air Force / U.S. DoD / Bundeswehr / Dassault Aviation)