L'economia russa a cinque anni dalle sanzioni

(di Andrea Gaspardo)
07/03/19

Come parte della regolare valutazione annuale delle economie dei paesi in via di sviluppo, la banca internazionale Standard Chartered ha recentemente pubblicato un report sull'economia russa. I risultati di tale documento, opportunamente confrontati con quelli di altri istituti creditizi e con le stime recentemente rilasciate dal Fondo Monetario Internazionale agli inizi di febbraio 2019 possono contribuire a gettare nuova luce sulla situazione economica della Russia a cinque anni dallo scoppio della crisi in Ucraina e dall'introduzione delle sanzioni economiche.

Nonostante le sanzioni applicate dagli Stati Uniti, dal Canada, dall'Unione Europea e dal Giappone abbiano provocato alla Russia danni pari al 6% del PIL (PPA) ai dati del 2018, l'economia della Federazione Russa si è dimostrata sufficientemente resiliente da assorbire lo choc. Nel 2014, per esempio, l'economia russa è cresciuta solamente del +0,7% mentre nel 2015 e nel 2016 il PIL (PPA) ha addirittura subito una contrazione rispettivamente del -2,5% e del -0,2%. La crescita ha avuto segno nuovamente positivo nel 2017, con un +1,5% ed è proseguita nel 2018 con un +2,3%. Un leggero aumento si è registrato anche a livello dei salari reali mentre sono diminuite sia l'inflazione che la disoccupazione, attestatesi rispettivamente al 2,5% e al 4,5%.

Secondo gli analisti di Standard Chartered è pertanto dubbio parlare di “successo” delle sanzioni. Non solo, il trend moderatamente positivo dell'economia moscovita, unito alla frenata dell'economia tedesca, attestatasi sul finale del 2018 ad un magro +1,5% (il valore più basso dal 2013) lascia ormai intravvedere lo scenario che sancirà nel 2020 un superamento della Germania da parte della Russia. Si concluderà in tal modo un ciclo geopolitico e geoeconomico; al momento della sua disintegrazione, nel 1991, l'Unione Sovietica era la seconda potenza economica mondiale e ricopriva la prima posizione di potenza economica del continente europeo.

La caduta del Muro di Berlino, la fine del Comunismo e la disintegrazione dell'URSS stessa, hanno consegnato per circa 30 anni una realtà continentale nella quale la Germania unificata si è nuovamente trovata a ricoprire un ruolo egemonico. Strumenti nemmeno tanto velati del rinnovato potere teutonico sono stati l'euro ed il processo di allargamento dell'Unione Europea. Tuttavia, parafrasando i saggi di Shanghai: “nessun pasto, sotto questo cielo, è infinito”; oltre ad essere ritornata nel grande gioco geopolitico ora la Russia punta decisamente ad accedere al “club” delle cinque maggiori economie mondiali e il successo economico comporta anche l'acquisizione di importanti “leve” politiche.

Non bisogna però credere che tutto ciò che luccica sia oro. A causa dei danni provocati dalle sanzioni, circa 20 milioni di Russi (il 13% della popolazione totale) vive sotto la soglia di povertà mentre i salari nominali medi mensili sono comunque al di sotto di 450 dollari, una soglia inferiore a quella del 2014. Non solo; le recenti riforme del sistema pensionistico (con innalzamento dell'età di pensionamento, specialmente per gli uomini) e l'introduzione di un nuovo sistema impositivo, soprattutto per le imprese, si sono dimostrati estremamente impopolari tra i Russi, contribuendo per la prima volta dall'inizio degli anni 2000 ad incrinare la fiducia verso l'inquilino del Cremlino.

Le stesse aspettative per l'economia variano considerevolmente nel mondo dell'imprenditoria russa. Su 1400 managers di imprese grandi e piccole, operanti nel settore manifatturiero e in quello dei servizi, consultati nel corso di un sondaggio del 2018, solamente il 4% ha descritto la situazione come “buona” mentre la maggioranza assoluta l'ha definita “catastrofica”. Se ne evince quindi come l'economia russa, benché resiliente alle crisi, sia ancora ben lontana da poter essere definita “un successo”.

Foto: Cremlino