Le risorse finanziarie dell’ISIS e la sua politica monetaria

(di Nicolò Giordana)
17/01/15

Oggi uno dei temi principali che le intelligence e coloro i quali vogliono contrastare il dilagante fenomeno del terrorismo di matrice islamica debbono affrontare attiene al modo in cui una delle sue principali espressioni, lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIS), ha accumulato la ricchezza che lo ha reso il gruppo terroristico senza dubbio più ricco al mondo.

Rompere questi vincoli di finanziamento significa "chiudere i rubinetti" e debellare armi e seguaci.

Il successo o il fallimento degli Stati, che oggi sono in guerra contro i fondamentalisti, di interrompere le erogazioni di fondi risiede nel capire come ed in che misura sanzionare i soggetti esteri con cui ISIS o i suoi intermediari fanno affari, e ciò è unicamente possibile con la stretta cooperazione con le forze locali proprie di quei territori che mano a mano stanno venendo inghiottiti dal nuovo Califfato, lavorare con queste Istituzioni per bloccare i meccanismi con cui ISIS si procura il denaro.

Il porre un freno al sistema finanziario dell'ISIS è una missione molto difficile ed anche nel caso in cui si prospetti un successo in questo senso non possiamo pensare che le attività del gruppo sarebbero definitivamente terminate, la storia infatti ci insegna che anche quando la diramazione di al-Qaeda in Iraq (AQI) era al minimo del suo potere ha comunque saputo mantenere un nucleo di affiliati e con questi condurre operazioni.

Le risorse finanziarie dell'ISIS

La prima domanda che dobbiamo farci è da dove ISIS prende il denaro. Dall'esame storico delle attività analoghe sviluppate da AQI e dallo Stato Islamico dell'Iraq (ISI) condotto attraverso le documentazioni acquisite dalle forze di peacekeeping e da quelle irachene tra il 2005 ed il 2010, si deduce come ISIS ed i suoi precursori hanno provveduto a generare internamente i loro finanziamenti.

Oggi la maggioranza dei proventi arriva dal contrabbando del petrolio, dalla vendita dei prodotti derivati (di natura petrolifera) delle regioni irachena e siriana, dalle estorsioni ed indebite tassazioni delle economie locali delle aree soggette al suo controllo, nonché dalla vendita di manufatti antichi frutto di razzie e dalla vendita al mercato nero delle merci rubate, frutto di "bottino di guerra".

Un punto di svolta a questa politica economica è rappresentato dal 2008: il leader del movimento diviene Abu Bakr al-Baghdadi e, mentre prima i sostentamenti erano unicamente ricercati all'interno, i finanziamenti provengono anche da donatori esterni (1). Ad oggi molti studiosi pensano che questa fetta di "datori" extra-ISIS sia in continuo sviluppo e che un giorno rappresenterà l'apporto fondamentale specie pensando che sarà impensabile spremere ulteriormente, e quindi eccessivamente, i territori conquistati in Siria ed Iraq. Se poi i rapporti tra ISIS e Jabhat al-Nusra (JaN), che vennero interrotti al fine di consentire a JaN di divenire un affiliato indipendente di al-Qaeda con base in Pakistan, dovessero ricucirsi, la rete originaria avrebbe un nuovo significativo apporto finanziario.

Ad oggi dunque, essendo la parte maggiore del finanziamento interno, occorre che i maggiori sforzi siano volti al contrasto di queste operazioni finanziarie pur non tralasciando gli apporti esterni e colpendo con sanzioni pesanti i donatori.

La crescita di ricchezza dell'ISIS

La sensibile differenza tra le attività economico-finanziarie dell'ISIS e quelle dei suoi predecessori è che le ultime della nuova organizzazione sono più di scala che di genere. Le recenti stime indicano un profitto giornaliero per l'ISIS che va da 1.000.000 $ a 3.000.000 $. I registri ritrovati nelle perquisizioni durante le operazioni di peacekeeping hanno dimostrato come, tra il 2008 ed il 2009, lo Stato Islamico dell'Iraq abbia prodotto un reddito medio mensile di poco meno di 1.000.000 $. Certo oggi non è chiaro quale sia l'apporto di quella regione, economicamente parlando, all'ISIS, fatto sta che quello che era prima un reddito mensile è oggi moltiplicato e divenuto un prodotto giornaliero. Sicuramente queste risorse hanno contribuito all'ampliamento territoriale condotto dal gruppo terroristico tra Iraq e Siria.

Dai noti registri si desume poi come i soldi prodotti siano quasi subito stati in gran parte spesi nei costi di gestione del convivio: stipendi agli affiliati, spese legali sostenute per conto dei suoi membri detenuti, e costi sostenuti per compiere le operazioni militari. Se i rapporti di cui l'intelligence americana è venuta in possesso durante un'operazione di cattura di un dirigente ISIS nel giugno 2014 sono veritieri, ad oggi il surplus dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante è di circa 2 miliardi di dollari, godendo dunque di una quantità enorme di capitale e non dovendo curare alcun pareggio di bilancio.

Come lo Stato Islamico spende i propri soldi

Dopo aver citato questa copiosa ricchezza il primo quesito che ragionevolmente possiamo porci è come l'ISIS possa spendere i propri soldi. In primis una delle possibili vie d'uscita potrebbe ragionevolmente essere finalizzata alla continuazione d'espansione della sua base territoriale in Iraq, Siria, Libano, Giordania, Israele, Cisgiordania e nella striscia di Gaza. In secondo luogo il denaro potrebbe essere utilizzato per accrescere la sua influenza in altre regioni musulmane come il Pakistan e l'Afghanistan così tentando di surclassare il primato jihadista di al-Qaeda. Terza via potrebbe condurre al finanziamento materiale di attacchi terroristici nel nord America, in Europa o in altre parti del mondo. Ultima possibilità, una strada quasi obbligata, è quella di riservare una parte di provvigioni ai propri affiliati e fornire servizi atti a mantenere l'ordine nel territorio che controlla.

Di tutte queste possibili opzioni la prima e l'ultima sembrano, ad oggi, le più accreditate: la priorità illustrata dallo stesso Stato Islamico è quella di costruire un califfato proveniente dall'Iraq e dal Levante, ecco la ragione che ci porta a ritenere più attendibile come l'ISIS sia principalmente focalizzato al controllo del territorio conquistato ed a stabilire una valida leadership nella regione basata sulle sue rigide strutture di governance salafita-jihadista improntate alla Sharia.

La seconda ipotesi di spendita sopra citata è suffragata dalle numerose segnalazioni che hanno evidenziato come diversi affiliati all'ISIS hanno fatto viaggi in Pakistan, in Afghanistan ed in altri Paesi per tentare di reclutare militanti. Ad oggi hanno giurato fedeltà all'ISIS numerosi gruppi: diversi comandanti talebani risiedenti in Pakistan, i capi del gruppo Abu Sayyaf nelle Filippine meridionali (al-Harakat al-Islamiyya), il gruppo scissionista capitanato dall'ex leader della Jemaah Islamiyah in Indonesia, e quello Ansar Beit al-Maqdis nel Sinai. Alcuni di questi jihadisti, come quelli risiedenti nelle Filippine, hanno intensificato le loro operazioni anti-occidentali, come il rapimento dei "cani infedeli", in questi ultimi mesi potendo così apportare un sostegno alla causa dominante.

Il percorso che vorrebbe l'uso delle proprie risorse finalizzato ad azioni terroristiche in Occidente sarebbe altresì percorribile in quanto un atto di forza potrebbe attirare nuovi jihadisti stranieri che combattono con ISIS in Iraq e Siria. Un attacco massiccio sarebbe sì costoso ma, con ogni probabilità, ad oggi sostenibile, ecco perché occorre un'azione verso l'interruzione ai vari finanziamenti alla cassaforte dello Stato Islamico. Tale azione non impossibiliterebbe forse un qualsiasi attacco ma sicuramente ridurrebbe la portata di questi andando a diminuire possibili azioni di ricerca e sviluppo in armi e materiali, nonché la capacità economica per consentire ai membri di stare a lungo tempo impegnati in operazioni effettive o in attività di addestramento.

Come tagliare le fonti petrolifere e di estorsione dell'ISIS

Le attuali principali fonti di finanziamento sono rappresentate dalle vendite clandestine di petrolio, dall'estorsione e dalle attività criminali correlate.

Il punto principale, per quanto concerne il petrolio, è indagare e scoprire chi commercia il petrolio rubato dall'ISIS per poterlo poi sanzionare con pene ingenti. È vero che il prodotto che muove nelle reti illegali è in gran parte fuori dall'economia formale ma, ad un certo momento, quando viene acquistato da un soggetto che opera nell'economia legale, entra nel sistema finanziario e diventa tracciabile: l'acquirente infatti avrà un conto bancario, mezzi di trasporto assicurati e strutture che hanno necessità di licenze per la loro attività. Sono gli intermediari accondiscendenti a queste attività illecite di finanziamento ai terroristi, siano essi commercianti, raffinatori o aziende di trasporto, a dover essere identificati e fermati. Bisogna tagliarli fuori dai sistemi economici e confiscare i loro beni anche colpendo gli istituti bancari che contengono i loro soldi o che elaborano le loro transazioni. Per queste attività, specie per quelle di stopping del contrabbando, occorre una forte collaborazione con le autorità curde e irachene per ciò che conce i loro territori. I servizi d'intelligence hanno lavorato in tal senso recependo informazioni su vendite petrolifere di contrabbando nei mercati di Turchia e Kurdistan ma il lavoro è ancora in salita anche a causa del compiacimento di alcuni governanti di questi territori. Queste operazioni sono molto complesse e spesso le reali identità dei contrabbandieri sono schermate dalle banche che gestiscono, consapevolmente o inconsapevolmente, questi affari con i trafficanti del petrolio proveniente dall'Iraq e dalla Siria.

Circa i proventi derivati dalle attività di estorsione, da molto tempo costituiscono una delle fonti di reddito più vivaci di questa organizzazione. Un esempio ci viene fornito dai documenti sequestrati ai terroristi dove appare come nel 2009, a Mosul, il quantum prodotto da queste attività era pari ai proventi derivanti dal commercio del petrolio. Per poter contrastare questa fonte occorre esercitare un controllo sul territorio in cui l'ISIS opera, sulle imprese locali e sulla popolazione, un'operazione che è da affidarsi ai militari della coalizione di peacekeeping in loco che debbono puntare all'eliminazione della forza intimidatoria dei gruppi paramilitari dello Stato Islamico. Il lavoro, dunque, deve avvenire in collaborazione alle autorità arabe, irachene e curde e deve mirare a monitorare i flussi di merci nei territori chiave per determinare così il flusso dei finanziamenti dell'ISIS.

Conclusioni

Sicuramente ad oggi la rete di ISIS è dotata di professionisti che controllano i traffici ed i conti del gruppo terroristico. Identificare tali soggetti e sanzionarli con pene esemplari è assolutamente propedeutico a smantellare l'opera di autofinanziamento dell'organizzazione.

In ragione del disegno sino a qui rappresentato ritengo indispensabile continuare a condurre attacchi aerei contro le attività per loro finanziariamente redditizie: i raid aerei hanno infatti compiuto, sino ad oggi, un ottimo lavoro in tale senso interrompendo il flusso di proventi e guadagnando tempo per approfondite attività di intelligence e diplomatiche volte ad indebolire l'ISIS. Il punto è determinare se sia conveniente distruggere quei beni di cui i governi legittimi titolari dei territori oggi occupati dai terroristi dovranno tornare in possesso.

Occorre poi potenziare la capacità di raccolta delle informazioni finanziarie e di analisi delle medesime volte ad ottenere un quadro più chiaro delle reti finanziarie dello Stato Islamico. Per fare questo bisogna sviluppare una solida partnership con i governi locali e con gli Stati coalizzati nella lotta al terrorismo rafforzando la cooperazione di intelligence coi curdi e con gli iracheni per l'identificazione dei contrabbandieri di petrolio nonché monitorando i prezzi di vendita di quest'ultimo.

Infine è da ritenersi valida la permanenza militare, nel suolo iracheno, volta ad aumentare la forza di sicurezza propria dell'Iraq. La lotta contro i finanziamenti al terrorismo è indissolubilmente legata alla presenza di peacekeeping in Medio Oriente: l'ISIS, per accumulare la sua ricchezza, sta sfruttando la debolezza del Governo iracheno - instauratosi dopo una dittatura durata ventiquattro anni e che oggi subisce gli arresti tipici delle questioni politiche interne - e l'instabilità attuale della Siria causata col rovesciamento del regime di Bashar al-Assad.

Il taglio alle finanze dell'ISIS non può dunque compiersi se tutti gli stati coinvolti, occidentali e islamici moderati, non vogliono liquidare in toto questa corrente radicale terroristica autrice di una mala interpretazione coranica oltre che degli innumerevoli disastri che il mondo contemporaneo sta soffrendo.

 

(1) In questo senso si è espresso l'anonimo autore del documento ad oggi visibile, assieme ai molti altri a cui questo testo farà riferimento, nei database online del Combating Terrorism Center dell'Accademia Militare di West Point. Qui l'autore mette in guardia dai finanziamenti esterni in quanto gli accordi finanziari che sarebbero alla loro base vengono da questo ritenuti vulnerabili.