La politica delle vie d'acqua che un certo occidente imbelle e la piccola Italia non possono capire

(di Andrea Pastore)
11/08/15

Per Montesquie la grandezza dell'Inghilterra  si misurava nella capacità di sottomettere l'interesse politico all'economia, evidenziando come gli affari fossero una faccenda "più mite" rispetto alla politica.

A guardare l'Egitto di queste settimane sembrerebbe che gli insegnamenti britannici abbiano fatto breccia nel cuore e nella mente dell'autocrate generale Al Sisi, ennesimo presidente in uniforme di un Egitto perennemente diviso tra normalità ed emergenza.

In realtà le cose non stanno come le si legge superficialmente, infatti se si rimanesse sullo strato meno profondo del ragionamento si rischierebbe l'ennesimo scivolone USA-centrico con relativa errata interpretazione delle questioni nord africane.

L'acqua per i paesi mediterranei ed in particolare per quelli della sponda sud è un elemento che nei secoli ha segnato evoluzione, prosperità e conflitti, sarebbe inutile ricordare le grandi civiltà nate lungo gli imponenti fiumi del vicino oriente e del continente "dirimpettaio" dell'Europa, peraltro porterebbe a riflessioni altre rispetto al raddoppio di 37 km del canale di Suez.

Ciò di cui si vuole ragionare è come per l'ennesima volta la gestione delle vie idriche abbia inciso sulla politica di una intera nazione e possa essere motivo di svolta negli equilibri geopolitici di una regione.

Dopo le primavere arabe nate nella cattività politica di cancellerie incapaci di capire le istanze di un’area ampia che va dal maghreb al centro asia, quelli che furono i vecchi amici del sistema Euro-Atlantico vennero deposti dalle rivolte 2.0, tuttavia il tanto atteso benessere non si manifestò e nel giro di pochi anni, per dirla con Hillary Clinton, i rivoltosi sfuggiti di mano sono diventati i primi antagonisti del sistema che li aveva addestrati e finanziati.

Nella situazione incandescente venutasi a creare in tutta l'area euro-mediterranea il paese delle piramidi, da sempre laboratorio politico e ventre fecondo dell'islam radicale, ha deciso di intraprendere una rotta in apparenza tattica e con risvolti politici meramente interni, ma nella realtà dei fatti profondamente influente sulle relazioni internazionali.

Il Canale di Suez raddoppiato, opera realizzata in pochissimo tempo (1 anno n.d.a.), con fondi completamente egiziani, si pone quale risposta inequivocabile circa le domande sul ruolo dell'Egitto nell'area e cioè Stato leader e garante dei commerci nel mediterraneo, quindi elemento di stabilità geopolitica.

Il concetto espresso da Al Sisi con tale mossa è semplice: noi egiziani i fondamentalisti li conosciamo, li abbiamo deposti, condannati a morte e siamo così sicuri delle nostre capacità da poter garantire il commercio marittimo mondiale raddoppiando il traffico in un'area che nell'ultimo decennio aveva visto, a causa della pirateria islamista, un crollo nel transito di mercantili e petroliere.

Nuova politica nasseriana? Parrebbe di no, nessun annuncio fintamente pan-arabo, nessun velato attacco ideologico ad Israele, solo pragmatismo di un soldato prestato alla politica o meglio impostosi al potere; per dirla con Davide Giacalone "Non è proprio il figlio legittimo di Voltaire" ma stante la situazione attuale è meglio un dittatore di stampo simil-baathista rispetto ad una incontrollabile ed ostile fratellanza musulmana, peraltro il modello socialista arabo nel corso dei decenni è stato alternativamente promosso, avversato e poi riproposto dalla cecità di quel certo occidente cieco e cinico interessato solo alle specie ittiche non autoctone che con il raddoppio del canale di Suez potrebbero giungere più facilmente nel Mediterraneo.

Per quanto riguarda poi la diplomaticamente piccola Italia la questione Suez è stata salutata con una indifferenza che farebbe sorridere se non fosse profondamente tragica, questa nuova realizzazione infrastrutturale pone infatti il Mediterraneo nuovamente al centro delle rotte commerciali provenienti da grandi esportatori quali Cina ed India e chi meglio di Roma potrebbe, se solo volesse, intercettare le esigenze di smistamento logistico e di sicurezza in mare per le grandi navi in transito?

Magari anche rafforzando le attività di anti pirateria nel Mar Rosso.

Forse si chiede troppo a questa classe politica molliccia e disorientata, intanto il Mediterraneo, destinato a diventare un lago, con la mossa egiziana è tornato al rango di via d'acqua marittima principale.

Se proponessimo un Al Sisi anche a Palazzo Chigi?