La Libia ed il suo enigma strategico

(di Denise Serangelo)
18/08/15

Che la Libia sia un inestricabile groviglio di problemi è cosa nota a tutti, che la soluzione a questi problemi non sarà un intervento militare montato in tutta fretta non è opinione altrettanto comune.
La Libia rappresenta una nuova Somalia, uno zoccolo duro che dovremmo affrontare con accuratezza, intarsiando un lavoro strategico-militare mai visto prima.
La paura dell'opinione pubblica urla vendetta e sovrasta la voce degli analisti che sostengono - ormai da sei mesi - una linea prima politica e poi militare per la pacificazione della paese.

Ammettiamo tutti con un po’ di onestà intellettuale che se in Libia non ci fosse l'IS nessuno guarderebbe a lei con tanto interesse. Nel 2011 con la caduta del regime di Gheddafi nessuno si era posto il problema di cosa si sarebbe dovuto fare per far transitare il paese verso un futuro democratico.

In una condizione ipoteticamente reale tutti gli Stati che hanno formato la coalizione nel 2011 avevano l'obbligo di pianificare un "post Gheddafi" che non comprendesse milizie assetate di sangue ed un paese allo sfascio. Il primo passo sarebbe stato trovare qualcuno capace di creare un governo stabile, con una leadership condivisa e a larga maggioranza. Avremmo dovuto coinvolgere gli stati arabi confinanti che sono stati a loro volta vittime della geopolitica spiccia.

Nulla di tutto questo è stato fatto perché eravamo troppo preoccupati di far decollare bombardieri che sembravano avere lo straordinario potere di risolvere i mali del mondo.
Come abbiamo detto a più riprese la componente militare non è la risposta a tutte le domande e non può essere usata quando non si sa bene cosa fare. E' uno strumento che può permettere la costruzione di uno Stato solo ed esclusivamente se accompagnata dalla componente politica di quest'ultimo.

In Italia stiamo ripetendo l'errore di sempre, tutti pronti a mandare i propri figli allo sbaraglio senza sapere di cosa stiamo parlando.
La Libia è un paese che attualmente lotta per non soccombere al caos, ingestibile sarebbe una missione militare - esclusivamente nostra o internazionale - perché non esiste un interlocutore capace di guidare il paese dopo di noi.
Il tanto auspicato Governo di Unità Nazionale è lo strumento principe che si trova alla base della formazione di un esecutivo capace di superare il pericolo per le istituzioni democratiche del paese. Come noto alle cronache la Libia certo non è un fulgido esempio di democrazia stabile e sicura, anzi.

L'unione del Governo di Tobruk è quello di Tripoli potrebbe permettere al paese di non soccombere sotto i colpi dello Stato Islamico per poi morire in una probabile missione internazionale per arginare il fenomeno.

Attraverso l'operato diplomatico di Bernardino Leon l'ONU ha già tentato di risvegliare le coscienze dei due governi incitandoli ad unire le forze per creare un Governo di Unità Nazionale.
Anche i più intransigenti sostenitori delle Nazioni Unite hanno storto il naso all'idea che un diplomatico potesse trovare un'intesa con due fazioni in lotta.
Nello stupore generale - anche mio - Bernardino Leon trionfante, è riuscito ad intavolando un piano d'azione per un governo congiunto di cui dovrebbe vedersi la nascita a breve.
Per coloro che sostengono l'inutilità di una missione diplomatica ricordo la celebre frase di Carl von Clausewitz "la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi" , se si interviene subito con la guerra la politica che posizione acquisterebbe?

L'Italia da prima promotrice di un intervento militare, si è poi schierata con la parte forte sostenitrice dell'operato diplomatico delle Nazioni Unite. Per questa volta, pare anche la parte giusta!

Che ci piaccia o no, in Libia non è possibile intervenire come se fosse casa nostra, siamo solo i vicini e non i proprietari di casa. Nonostante la forte presenza di interessi nazionali italiani - vedi ENI - il nostro paese non potrà mai intervenire unilateralmente sul fronte libico.
Il primo motivo è piuttosto semplice: la Libia è un soggetto di diritto internazionale e gode di tutti i diritti di uno Stato fatto e formato.
Così come in Italia non è possibile far sorvolare velivoli di forze militari straniere se non con i dovuti permessi, funziona allo stesso modo anche per la Libia.
Senza l'invito esplicito oppure senza accordi stipulati da entrambe le parti, nessun velivolo militare italiano può bombardare postazioni - di qualsiasi fazione - su suolo libico.

In seconda analisi il solo bombardamento di postazioni, per quanto vitali, non è risolutivo. Non si può bombardare in eterno aspettandoci risultati miracolosi, di conseguenza è logico presupporre che sarà necessario intervenire con truppe di terra.
E qui la questione si complica ulteriormente!
L'eventuale formazione di un contingente - italiano o multinazionale - in chiave anti-IS godrebbe solo dell'appoggio (nemmeno scontato) degli organi internazionali.

Per esistere in un contesto di legalità internazionale un contingente deve essere inquadrato in una missione di ampio respiro e con scopi e regole d'ingaggio predefinite e studiate a tavolino. Nel nostro caso anche con il governo di Tobruk e Tripoli.
Senza queste regole d'ingaggio e questo inquadramento sovranazionale non sapremmo che status attribuire ai combattenti sul campo e alle loro operazioni.
Sarebbe tutto consentito? In caso di rapimento o perdita di vite? In caso di violenza sui civili?
Domande a cui non potremmo dare risposta.

Lo Stato Islamico, unico vero motivo per cui sarebbe bene intervenire in Libia, sta conducendo sulla via errata molti governi europei.
La sua presenza e la sua ramificazione - ormai molto forte - sul suolo libico sarebbe facilmente gestibile anche prima di un probabile intervento militare.
Come ho sostenuto già sei mesi orsono i metodi "non militari" per arginare la presenza dell'IS in Libia ci sono e consentirebbero un indebolimento notevole delle truppe e dei rifornimenti.
La chiave di volta del Califfo è fondamentalmente la sua immensa ricchezza; con essa è possibile pagare le milizie e supportare l'enorme apparato burocratico che hanno creato nelle città conquistate.
Il taglio netto degli introiti finanziari provenienti dall'occidente porterebbe come conseguenza un indebolimento della componente economica e di conseguenza anche l'indebolimento della forza principale del Califfato.
Quando il Califfato - che si comporta come qualsiasi altra struttura economica - non avrà più un'economia florida con cui sostenersi sarà costretta a scendere a compromessi e a minare la sua credibilità agli occhi dei sostenitori.

In questo caso, dopo un accurato intervento finanziario e dopo aver minato i capisaldi su cui si fonda l'IS con l'appoggio - e l'autorizzazione - del governo libico e di quelli arabi sarà possibile intervenire militarmente.

Proprio il 18 Agosto 2015 in una riunione straordinaria al Cairo, la Lega Araba ha valutato le richieste di Tobruk , sull'eventuale uso di bombardieri nella zona di Sirte che verte in condizioni disperate.
Sono già diversi gli stati arabi - dal governo algerino a quello saudita - che sostengono che il deterioramento della situazione in Libia sia una minaccia per tutta la regione.
Quasi sicuramente, salvo opposizione dell'ultimo minuto (la più probabile è quella dell'Arabia Saudita) la Lega Araba dovrà far fronte - almeno per spirito di lungimiranza - alle richieste del governo libico.
Il coinvolgimento degli Stati Arabi sarà sicuramente un validissimo incentivo contro l'IS calcolando che proprio loro rischiano di essere le prossime vittime delle barbarie del califfato.

Un grosso importante punto da toccare è il traffico di esseri umani che vede l'Italia ampiamente coinvolta e l'Europa latitante.
Visto e considerato che la teoria più accreditata nel nostro paese pare sia quella dell'affondamento dei barconi, tengo a precisare che questa opzione non è attuabile.
Decisamente più attenta alla vita altrui e anche meno imbarazzante dal punto di vista internazionale è un'iniziativa unilaterale dell'Italia con entrambi i governi libici (anche se uno dei due non è riconosciuto).
L'approvazione della presenza di uomini armati appartenenti alle forze armate italiane sui porti libici potrebbe fungere da deterrente per la partenza dei barconi della speranza.
Qualora la presenza militare straniera dovesse essere non gradita ai due governi, l'Italia (e possibilmente anche l'Europa) potrebbero finanziare insieme ai libici una compagnia di contractors che si occupi di tale problema.
I contractors sembrano essere una soluzione piuttosto innovativa e riducono quegli spiacevoli battibecchi legati alla presenza di forze armate straniere su suolo libico.

La diminuzione delle navi (se così si possono definire) e dei conseguenti sbarchi andrebbe a minare una caposaldo delle finanze dell'IS.

Lo Stato Islamico è approdato a Sirte lo scorso febbraio dopo aver occupato alcune stazioni radio locali, per quattro mesi la città è stata divisa tra i miliziani dell’IS e una milizia fedele al governo di Tripoli, quello guidato dalla coalizione “Alba della Libia”.
A metà dello scorso giugno però gli uomini della milizia fedele al governo di Tripoli si sono ritirati da Sirte e l’ISIS ha potuto occupare la città.
Non sappiamo come sarebbe andata con un governo di unità nazionale ma sicuramente sarebbero state maggiori le pressioni sul governo di Tripoli affinché non lasciasse le postazioni.
In questo caso, anche di comune accordo con la controparte di Tobruk, si sarebbe potuta creare una piccola coalizione per difendere la città ed espugnarla.
Da Sirte è stato poi facile per gli uomini dell’IS estendere il controllo su altri paesi vicino alla città.
Allo stato attuale il Califfo a messo le mani su una porzione di territorio lunga quasi cento chilometri.

Nella settimana di Ferragosto, quando in Italia ci si preparava per i festeggiamenti l'IS è riuscito a raggiungere la città di Derna uccidendo con azioni casuali diverse centinaia di persone.
Qui, nell’ottobre 2014, un gruppo di combattenti libici appena tornati dalla Siria dichiarò la sua fedeltà al leader dello Stato Islamico Abu Bakr al Baghdadi, sancendo la nascita dell’ISIS libico.

Il controllo dell'IS su Derna non si può dire assoluto ma è comunque uno specchio di come questa milizia organizzata possa nuocere alla vita sociale di un paese che sta cercando di trovare la strada per risorgere.

E' proprio sotto il segno della rinascita che si stanno svolgendo in questi giorni i colloqui di pace tra i governi di Tripoli e Tobruk che dovrebbero portare nelle prossime settimane a un governo di unità nazionale.
La speranza di molti osservatori e analisti è che con un nuovo governo unito verso un nemico comune indirizzi i suoi sforzi contro l’IS e le altre milizie indipendenti.

Lo Stato Islamico ha purtroppo un grossissimo impatto sulle masse dell'opinione pubblica occidentale, tuttavia questo non vuol dire che sia giusto gettarsi a capofitto in una guerra impraticabile.
Alla base di ogni missione internazionale moderna ci deve essere il supporto politico di un governo capace di coordinare gli aiuti e di garantire la sovranità nazionale.
Ricordiamo con un velo di tristezza l'Afghanistan dove siamo intervenuti con una benda sugli occhi incuranti del concetto di exit strategy e presi dalla foga del momento.
A distanza di 15 anni è praticamente impossibile tirare le somme della missione ISAF che ha lasciato un paese allo sbaraglio per la fretta di andarsene.
In Libia dovremmo almeno aver imparato che la base strategica non è un vezzo con cui fare i conti dopo l'apertura di una missione ma prima.

L'Italia, per questo e per altre ragioni sopraesposte, non dovrebbe sostenere l'intervento militare nelle attuali condizioni geopolitiche della Libia.
Al contrario dovrebbe farsi portavoce di una corrente di intervento che predilige l'uso mirato e preciso delle sue forze armate in un contesto di massimizzazione della componente militare.
L'Italia può sostenere questa linea d'intervento distaccandosi completamente dalla visione più tipicamente americana.

Possiamo decidere ora se la Libia sarà una nuova Somalia o un clamoroso successo.