India vs Pakistan: caos calmo

(di Andrea Gaspardo)
27/08/19

I primi mesi dell'anno 2019 hanno segnato per il subcontinente indiano il susseguirsi di una serie di eventi che hanno contribuito a surriscaldare il conflitto (nemmeno tanto “congelato”) tra India e Pakistan. Sebbene la maggior parte dei commentatori politici abbia voluto leggere nelle “scaramucce di confine” la volontà da parte del primo ministro dell'India, Narendra Damodardas Modi, di manipolare la mai sopita contesa tra India e Pakistan per il controllo del Kashmir a fini elettorali, il conflitto del 2019 rappresenta in realtà l'inizio di una nuova fase nelle travagliate relazioni tra i due stati, oltre ad essere un banco di prova per le altre grandi potenze (Stati Uniti, Russia, Cina) le quali saranno chiamate a decidere quali tipi di relazioni intrattenere con i due contendenti e come posizionarsi rispetto alle pretese di Modi e dei suoi futuri “epigoni” di reclamare per l'India un posto al tavolo dei grandi del mondo.

L'ennesima escalation che coinvolge i due irrequieti vicini è iniziata il 14 di febbraio, quando un attentatore suicida a bordo di un veicolo imbottito di esplosivo si è fatto saltare in aria al passaggio di un nutrito convoglio della “Central Reserve Police Force” (CRPF) nel distretto di Pulwama, nella parte occidentale del Kashmir indiano, uccidendo non meno di 40 poliziotti e ferendone altrettanti in quello che è stato il più grave attacco nel territorio del Kashmir da molti anni. A differenza di quanto accaduto in altre occasioni però, questa volta l'India ha deciso di non “porgere l'altra guancia” e ha invece contrattaccato vigorosamente.

Dodici giorni dopo, il 26 febbraio, con una complessa operazione aerea, 12 Mirage 2000 dell'aeronautica indiana (foto apertura) hanno bombardato un presunto campo di addestramento della formazione terroristica “Jaish-e-Mohammed” localizzato nella cittadina di Balakot, situata nella provincia pachistana del Khyber Pakhtunkhwa, marcando la prima occasione in assoluto nella quale aerei indiani hanno sconfinato per operazioni aeree in territorio pachistano dalla guerra del 1971.

Il giorno successivo l'aeronautica pachistana ha a sua volta portato a termine un attacco in territorio indiano (“Operazione Swift Retort”) al quale l'aeronautica indiana ha risposto inviando i suoi caccia ad intercettare gli intrusi pachistani. Nella successiva breve battaglia aerea, pare che le forze aeree indiane abbiano perso due Mig-21 Bison mentre quelle pachistane avrebbero perso un F-16. Non sono invece state registrate perdite tra i JF-17 pachistani (foto) ed i Mirage 2000 ed i Sukhoi Su-30 MKI indiani anch'essi partecipanti al “duello nei cieli”.

L'evento ha lasciato in eredità pesanti strascichi che perdurano nonostante siano passati ormai diversi mesi. Innanzi tutto i gesti distensivi (come la liberazione di Abhinandam Varthaman, comandante di stormo dell'aeronautica indiana fatto prigioniero dai pachistani) non sono riusciti a fermare del tutto gli incidenti di frontiera che stanno continuando tutt'oggi, seppure a ritmo più contenuto. Secondariamente, la crisi geopolitica in generale e le prese di posizione dei vari attori internazionali, oltre ai riflessi che hanno avuto sugli equilibri della politica interna indiana hanno contribuito a dare una nuova dimensione qualitativa agli eventi le cui reali ricadute potrebbero farsi sentire tra molto tempo.

Tra i vari paesi che hanno espresso le loro preoccupazioni attraverso dichiarazioni diplomatiche riguardo alla crisi, bisogna prestare particolare attenzione alla percezione che gli indiani hanno attribuito a quelle di Stati Uniti, Russia, Cina, Iran e Turchia. Sia la Turchia che l'Iran si sono proposti come mediatori, tuttavia mentre Nuova Delhi ha da decenni stabilito un rapporto di mutua collaborazione con Tehran, le puntate di Ankara sono state accolte con notevole freddezza, per non dire fastidio.

Da quando il “reis” di Ankara, Recep Tayyip Erdoğan, ha cominciato ad utilizzare più spesso la carta della “solidarietà islamica sunnita” per atteggiarsi a nuovo campione del mondo islamico, la Turchia ha deragliato sempre di più dalla sua storica posizione di equidistanza tra i due contendenti e ha finito per appiattirsi sulle posizioni del Pakistan, divenendone uno dei partner più importanti sulla scena internazionale. Il dinamismo dei turchi sulla scena politica del subcontinente indiano non è affatto piaciuto a Nuova Delhi ed è anzi possibile che il neanche tanto velato appoggio turco ai pachistani, unito alla sempre più infiammata retorica che Erdoğan utilizza riguardo alla questione del Kashmir porteranno ad un inevitabile deterioramento dei rapporti tra la Turchia e l'India. Situazione diametralmente opposta è invece quella dell'Iran.

Nonostante, a prima vista la “Repubblica degli Ayatollah” e la “Più Popolosa Democrazia del Mondo” abbiano assai poco in comune, in realtà i due paese hanno costruito una solida relazione strategica (al netto di rare prese di posizione iraniane non propriamente concilianti sulla questione del Kashmir ma che rappresentano più screzi di facciata che sostanziali) proprio in funzione anti-pachistana. Nonostante infatti sia l'Iran che il Pakistan siano formalmente “repubbliche islamiche”, la prevalenza rispettivamente dell'Islam Sciita e dell'Islam Sunnita, i confliggenti interessi geostrategici in Afghanistan e nell'Asia Centrale e la protezione garantita dal Pakistan all'Arabia Saudita ed agli altri Paesi del Golfo, tutti mortali nemici dei persiani, hanno portato inevitabilmente i due paesi sulla rotta di collisione, ed anzi hanno rinsaldato ancora di più l'intesa strategica Iran-India già approssimativamente abbozzata sul finire dell'epoca dello Scià ed offi diventata un partenariato di fatto.

Ecco dunque che, quando l'Iran si pone come mediatore del conflitto indo-pachistano, le autorità dello stato “indù” sono assi più propense ad accettare positivamente l'offerta piuttosto che quelle dello stato “musulmano”. Anche nel corso dell'ultima contesa, la Cina si è dimostrata il migliore “tutore” internazionale del Pakistan. Nella prudente presa di posizione di Pechino si può intravvedere la necessità da parte della grande potenza asiatica di continuare a tutelare uno “stato cliente” sempre più dipendente dai generosi finanziamenti del gigante cinese ma che allo stesso tempo detiene delle considerevoli leve di pressione nei confronti dell'Impero di Mezzo data l'importanza che la stabilità del Pakistan e delle sue infrastrutture rivestono nello sviluppo della cosiddetta “Nuova Via della Seta”. La Cina vede inoltre nel continuo rafforzamento della propria partnership con il Pakistan un utilissimo strumento proprio per contenere l'India, per tanto non si può certo dire che i dirigenti di Nuova Delhi nutrano alcun tipo d'illusione sulle intenzioni dei “mandarini” di Pechino.

Al contrario, la crisi indo-pachistana ha ancora una volta rinsaldato la relazione privilegiata esistente da decenni tra Nuova Delhi e Mosca. Non avendo alcun interesse vitale nell'Oceano Indiano e nelle aree prospicienti il subcontinente, la Russia è percepita dagli eredi di Gandhi e Neru come l'unica tra le grandi potenze con cui l'India può avere una reale relazione “paritetica” ed il recente riavvicinamento tra Russia e Pakistan non modificherà di una virgola questo stato di cose.

La decisione da parte del Pakistan di aggiungere Mosca all'elenco dei suoi fornitori di armamenti, non ha incontrato particolari opposizioni dal lato indiano ed anzi, le autorità dello stato “indù” hanno successivamente confermato tutti i contratti multimiliardari stipulati negli anni scorsi con le industrie della difesa del Cremlino.

Coloro che invece rischiano di uscirne veramente con le “ossa rotte” da questa situazione sono gli Stati Uniti d'America. Negli ultimi anni infatti, i politici e gli strateghi di Washington avevano lavorato alacremente nel tentativo di aprire il ricchissimo mercato della difesa indiano anche alle industrie belliche statunitensi. Inoltre, nei circoli del potere come nei think-tank a stelle e strisce si parla sempre più della necessità di aggiungere l'India a quel fantomatico “blocco delle democrazie” che dovrebbe operare all'unisono per fermare l'ascesa cinese e continuare a garantire il predominio americano nel mondo. Sennonché tale teoria va irrimediabilmente a cozzare tanto con la politica di “non allineamento”, che l'India ha sempre pervicacemente rifiutato di abbandonare, che con gli interessi di lungo periodo dell'India di trasformarsi nella nuova potenza navale del XXI secolo che dovrebbe soppiantare proprio gli USA.

In sostanza, al netto delle odierne contese che li oppongono ai pachistani e ai cinesi, gli indiani non dimenticano mai che, nel lungo periodo, il nemico da battere saranno proprio gli USA. Interessante notare come il fatto che i pachistani abbiano utilizzato proprio gli F-16 ed i missili aria-aria AIM-120 AMRAAM di produzione americana per affrontare i velivoli indiani e stato accolto sia dalla stampa che dalla popolazione come un autentico affronto, proprio mentre gli USA sono impegnati nello sforzo, sinora vano, di spingere l'India a cancellare i suoi importanti contratti con Mosca cercando al contempo di vendere all'aeronautica indiana delle nuove versioni proprio di quell'F-16 contro il quale si sono diretti gli strali dei giornalisti di tutto il subcontinente.

Appare dunque chiaro che l'infinita contesa indo-pachistana si sia alla fine evoluta in un nuovo round tra le grandi potenze mondiali per imporre la propria influenza in questa difficile area del mondo.

Foto: India MoD / Pakistan Air Force / Presidency of the republic of Turkey / Cremlino