Il Movimento per il Jihad Islamico palestinese

(di Paolo Palumbo)
08/06/18

Nel frammentato panorama islamista mondiale, il radicalismo palestinese ha sempre recitato un ruolo centrale, non tanto per la partecipazione attiva alle attività terroristiche globali, quanto per un sostanziale peso ideologico. Da una ricerca pubblicata su Die Welt des Islam, i ricercatori Thomas Hegghammer e Joas Wagemakers hanno sottolineato come i palestinesi, sebbene in minoranza nel campo del terrorismo internazionale, occupino una posizione centrale nella narrativa islamista, più di ogni altro gruppo sunnita1. In particolare emergono tre nomi che – ad esempio per al-Qaeda – hanno tracciato la via del nuovo jihad: Abdallah Azzam, Abu Muhammad al-Maqdisi e Abu Qatada al-Filistini. Sebbene questi tre rappresentino una minima parte della produzione letteraria islamista, l’importanza delle loro parole risulta essere preminente fungendo da guida per molti gruppi radicali transnazionali. Per quanto concerne l’attivismo sul campo, Hamas e la causa palestinese raffigurano, dunque, un ingranaggio indispensabile del pensiero jihadista poiché la lotta contro Israele e i suoi alleati è uno dei perni attorno al quale ruotano le motivazioni del terrorismo. Ancorché Hamas continui a combattere una guerra circoscritta ai territori, un’altra organizzazione palestinese hanno mostrato una vocazione più internazionale: la Jihad Islamica Palestinese o PIJ (Palestinian Islamic Jihad).

Due organizzazioni, un obiettivo, due modus operandi

La Jihad Islamica Palestinese (all’inizio chiamata “Avanguardia Islamica”) nacque tra il 1975 e il 1976 nella Striscia di Gaza, fondata da due fiancheggiatori della Fratellanza Musulmana egiziana: Fathi Shaqaqi e lo sceicco Abd al-Aziz al-Awda. Shaqaqi e Awda erano entrambi originari di Gaza, cresciuti in due campi profughi e poi emigrati in Egitto per studiare: il primo si laureò in medicina, mentre Awda – considerato la guida spirituale del movimento – si specializzò in scienze religiose2. Ad un certo punto la Fratellanza Musulmana discostò i suoi interessi dalla “causa Palestinese”: la condanna ai sionisti era unanime, tuttavia la lotta attiva contro gli ebrei in Israele venne delegata ai gruppi nazionalisti3. Questa nuova presa di posizione creò la prima spaccatura tra i palestinesi e la rappresentanza egiziana islamista; una divisione resa poi definitiva dopo la Rivoluzione in Iran del 1979.

La Rivoluzione di Teheran attirò, infatti, l’attenzione di Shaqaqi il quale, benché sunnita, plaudì alla presa di potere dell’Ayatollah sebbene questi fosse sciita. Il suo appoggio alla Rivoluzione prese corpo in una pubblicazione (Kohmeyni: the Islamic solution and the alternative) che sollevò vive protese da parte dei capi della Fratellanza e una mozione di sospensione per lo stesso autore. L’esclusione di Shaqaqi dal movimento islamista egiziano causò un’ulteriore allontanamento dei palestinesi i quali preferirono puntare su figure più vicine alle problematiche locali come Khadir Habib e l’attuale leader del gruppo Ramadan Shallah (foto).

L’appoggio della Fratellanza Musulmana restava comunque una colonna portante per molti jihadisti soprattutto per chi non poteva dimenticare quale fosse la propria origine. Ancora oggi sotto l’ombrello della PIJ militano anche altre organizzazioni minori che si ispirano proprio alla Fratellanza Musulmana, comprese alcune fazioni combattenti di al-Fatah4. L’Iran, come vedremo in seguito, figurava come un legame finalizzato ad ottenere un sostegno finanziario e a dar maggiore voce alle proprie istanze.

L’ideologia islamista della PIJ germogliò in uno dei momenti più critici della gestione israeliana di Gaza, il cui controllo fu affidato al generale Ariel Sharon. I disordini nella Striscia erano quotidiani: dapprima i militanti palestinesi colpirono i loro stessi compagni giacché rei di cooperare con le forze di occupazione delle IDF. In un secondo tempo si rivolsero alle famiglie ebree e fu a quel punto che il comandante israeliano decise di sopprimere ogni violenza adottando metodi brutali, probabilmente efficaci, ma poco lungimiranti5. La Striscia di Gaza e le condizioni precarie di vita dei suoi abitanti servirono da incubatrice alle organizzazioni islamiste i cui leader facevano proselitismo tra i più giovani che affollavano i campi profughi. All’interno di quei “gironi infernali” la Fratellanza Musulmana forniva assistenza, chiedendo in cambio volontari per combattere con le armi l’occupazione israeliana. Sia Hamas, sia la PIJ condividevano il medesimo scopo e gli stessi ideali, ma nonostante le somiglianze la PIJ aveva un’identità più allargata rispetto i territori e la sua presenza era rintracciabile in diversi paesi Arabi e non-Arabi6. Questa dilatazione era connessa al percorso di vita di Fathi Shaqaqi il quale dopo aver scontato due anni di reclusione, nel 1989 fu deportato, insieme ad al-Awda, in Libano da dove iniziò a tessere la sua trama per istituire un ufficio della PIJ a Damasco in Siria. Da qui partirono le prime ritorsioni contro Israele: l’assalto ad un bus di turisti ebrei in Egitto nel 1990 (9 morti israeliani, 2 egiziani e 19 feriti) e un grave attentato con coltello sulle strade di Tel Aviv nel marzo 1993.

Lo stesso anno la PIJ rigettò gli accordi di Oslo e proprio in quell’occasione, sentendo traditi i suoi ideali dal direttivo di Arafat, Shaqaqi (foto) strinse legami proficui con l’Iran e con le milizie di Hezbollah per domandare loro un maggiore supporto finanziario per la causa palestinese.

I palestinesi della Jihad Islamica pervasero i territori con volantini di propaganda anti accordo istituendo anche un giornale – Al-Istiqlal – controllato poi dall’Autorità Palestinese. Il repentino avvicinamento all’Iran allontanò ulteriormente la PIJ da Hamas che, sebbene anch’esso sfavorevole ai patteggiamenti con gl’israeliani, aveva mostrato un atteggiamento più prudente nei confronti dell’Iran. Hamas otteneva largo consenso, mentre la PIJ restava un gruppo di minoranza, capace di raccogliere sotto la sua ala appena il 5 % della popolazione presente nei territori7.

Sebbene gli accoliti della PIJ fossero pochi, la qualità dei loro attacchi contro Israele non aveva nulla da invidiare a quella di Hamas. Ambedue le fazioni armate impiegarono largamente gli attacchi suicidi considerandoli l’unica arma capace di terrorizzare la popolazione israeliana. L’Intifada del 2000 segnò una funesta escalation di attentati con persone e veicoli imbottiti di esplosivi: tra novembre 2000 e ottobre 2001 la PIJ rivendicò la responsabilità su cinque attentati dinamitardi, il più grave ad Hadera che causò 2 morti e 60 feriti. Sfogliando le pagine elettroniche del database START che raccoglie le notizie sui diversi complotti dinamitardi perpetrati dalle organizzazioni terroristiche di mezzo mondo, notiamo come in alcuni casi le rivendicazioni provengano sia da Hamas, sia dalla PIJ. La compresenza delle due anime jihadiste è connessa alla debolezza della PIJ riguardo la struttura e i numeri per condurre autonomamente gli attentati.

Dieci giorni dopo l’accordo tra Sharon e Arafat per un cessate il fuoco generale a Gaza e in Cisgiordania, il 1° giugno 2001 uno shahid fece esplodere il suo carico di morte in mezzo ad una fila di giovani davanti all’ingresso della discoteca “Pacha” nel centro di Tel Aviv: morirono in 20 e 100 rimasero feriti. L’impatto dell’attentato, rivendicato dalle brigate Ezzeddin al-Kassam (ala militare di Hamas) determinò la reazione dell’Autorità Palestinese che incarcerò diversi membri di Hamas e della PIJ tra cui il suo leader spirituale lo sceicco Abdullah Shami. Il fermo di Shami scatenò l’ira della popolazione la quale circondò con un muro umano la sua abitazione ritardandone l’arresto; lo stesso accadde quando fu incarcerato Mahmoud Tawalbi a Jenin8.

La spirale del terrore era appena all’inizio e le tensioni con l’AP si traducevano spesso in azioni intimidatorie per erodere le trattative di pace con il governo israeliano. L’8 settembre 2001, in una delle aree più frequentate nel centro di Gerusalemme presso la pizzeria Sbarro (foto), un attentatore suicida fece esplodere una bomba nascosta nella custodia di una chitarra uccidendo 16 persone (tra cui 7 bambini) e ferendone 130. La PIJ notificò la sua responsabilità con un fax spedito all’ufficio di Beirut della Associated Press9.

La PIJ esigeva la rimozione del governo di Arafat: nel gennaio del 2003 i principali rappresentanti dei gruppi palestinesi si incontrarono al Cairo per decidere quale sarebbe stato il loro atteggiamento nei confronti dell’AP. Tutti furono concordi nel rifiutare la tregua e sull’eventualità di formare una coalizione per prendere il potere10.

Abbandonate in fretta le velleità golpistiche, il 25 giugno 2003 la PIJ e Hamas raggiunsero un accordo con l’AP per un “cessate il fuoco” di tre mesi senza però consegnare le armi al presidente Abbas. Una mossa di convenienza, guidata soprattutto dagli sviluppi internazionali e dalle pressioni diplomatiche degli Stati Uniti su paesi sostenitori della jihad palestinese come Siria e Iraq.

Dopo tre mesi di pace, utili anche per riprendersi e riorganizzare le file, Hamas era ormai diventato il principale referente per la lotta contro Israele, mentre la PIJ e altri gruppi minori stavano lentamente perdendo terreno. Il 19 maggio 2003 in aperta controtendenza a quelle che erano le prescrizioni islamiste, una giovane donna di 19 anni tale Hiba Daraghmeh si martirizzò in un centro commerciale di Afula: la bomba fu reclamata proprio dalla PIJ11. Il reclutamento di donne, sebbene biasimato in linea di principio dalla comunità islamista, diventò una peculiarità della Jihad Palestinese la quale arruolava possibili candidate nelle Università del nord della Cisgiordania così come nei villaggi e nelle città. Le donne destavano meno sospetti, si mescolavano facilmente ai locali e non suscitavano le stesse attenzioni di uno shahid uomo. Il 4 ottobre 2003 un’altra martire donna si fece esplodere ad Haifa nel prestigioso ristorante Maxim: la suicida si chiamava Hanadi Jaradat ed era una praticante di legge di Jenin. Come spesso accade i servizi investigativi israeliani vennero a conoscenza che Hanadi era la sorella di Jadi Jaradat un membro della PIJ ucciso dalle IDF durante un rastrellamento insieme al cugino, Fadi Jaradat12. Fu un tipico caso in cui l’estremo sacrificio di un martire era collegato a ragioni di vendetta familiare.

Il legame con l’Iran

Come abbiamo visto il primo leader politico della PIJ prese seri contatti con il regime iraniano facendone uno dei principali interlocutori politici del movimento palestinese. La già citata pubblicazione di Shaqaqi sui risvolti positivi della rivoluzione iraniana costituì il punto di partenza di questa cooperazione, ma sancì anche una netta separazione dalla Fratellanza Musulmana. Taysir al-Khatib, rappresentante della Fratellanza, ricordò al fratello palestinese come la rivoluzione iraniana fosse un evento indubbiamente positivo “ma che gli iraniani erano pur sempre sciiti, ed essi erano sunniti ed avevano in mano il mondo islamico”13. In un’intervista abbastanza recente il nuovo leader della PIJ, Ramadan Shallah ha voluto chiarire la posizione palestinese nei confronti degli sciiti iraniani: “Io critico il regime Islamico per non avere un’adeguata visione d’insieme. Noi dobbiamo sviluppare una politica mondiale; in Iran la situazione è complicata, sì sono uno stato Islamico, tuttavia divergono dalla visione globale sunnita, che è poi anche la mia. Io concordo con la loro politica estera, ma disappro la politica interna”14. Alla fine Shallah ha santificato comunque la presenza degli iraniani nel panorama islamico dacché gli unici capaci di fare da contrappeso alla progressiva perdita di potere “internazionale” dei sunniti. Tutto questo presenta delle indubbie contraddizioni che l’intervistato ha motivato con il fatto che, malgrado l’Iran sia uno stato sciita, è comunque islamico e salvaguarda la causa palestinese grazie ad una costante pressione sul nemico Israele. Un’affinità d’interessi dunque che però ha recentemente mostrato delle incrinature derivate da un progressivo taglio dei finanziamenti a favore della PIJ15. Una delle ragioni che rischia di minare questo legame decennale è certamente il tentativo iraniano di creare una propria enclave dirigenziale all’interno del jihad palestinese16. Successivamente le contingenze internazionali hanno costretto l’Iran a rivedere la sua politica di supporto ai movimenti palestinesi.

  

1 Thomas Hegghammer-Joas Wagemakers, The Palestine Effect: The Role of Palestinians in the Transnational Jihad Movement, in “Die Welt des Islam”, 2013, pp. 281-314. URL: http://hegghammer.com/_files/The_Palestine_Effect_The_Role_of_Palestinia...

2 Nicolas Dot-Pouillard, Eugénie Rébillard, The Intellectual, the Militant, the Prisonier and the partisan: the genesis of the Islamic Jihad Movement in Palestine (1974-1988), Muslim World, Wiley, 2013, 103, p. 20. URL: https://halshs.archives-ouvertes.fr/halshs-00776059/document.

3 Ibidem.

4 Gli altri gruppi sono Usrat al-Jihad, Abu-Jihad un contingente di al-Fatah, la Islamic Jihad Organization al-Aqsa Battalions (fondata in Giordania nel 1982) e la Tanzim al-Jihad. Sherifa Zuhur, Palestinian Islamic Jihad (PIJ), in Encyclopedia of Terrorism, ABC-Clio, Santa Barbara California-Denver, Colorado-Oxford, England, 2013, vol. 2, p. 575.

5 Ahron Bregman, La vittoria maledetta. Storia di Israele e dei Territori occupati, Torino, Einaudi, 2014, p. 62.

6 Antony H. Cordesman, Arab-Israeli Military Forces in a Era of Asymmetric Wars, Standford University Press, Stanford California, 2008, p. 310.

7 Palestinian Islamic Jihad, op. cit., p. 576.

8 Anthony H. Cordesman, The Israeli-Palestinian War. Escalating to Nowhere, Praeger, Westport Connecticut – London, p. 214.

9 L’attentatore fu identificato come Hussein Omar Abu Amsheh, ma poco tempo dopo la PIJ ritirò la sua dichiarazione, declinando ogni responsabilità poiché, a loro detta, si erano confusi sull’identità del martire. URL: https://www.start.umd.edu/gtd/search/IncidentSummary.aspx?gtdid=20010809...

10 The Israeli-Palestinian War, op. cit. , p. 215.

11 Secondo i dati riportati dal sito START, l’attentato ebbe una doppia paternità avendo partecipato anche le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa.

12 Jonathan Fighel, Palestinian Islamic Jihad and Female Suicide Bombers, International Institute for Counter Terrorism, Articles, 06/10/2003, URL: https://www.ict.org.il/Article/888/Palestinian%20Islamic%20Jihad%20and%2...

13 The Intellectual, the Militant, the Prisonier, cit.

14 Scott Atran, Robert Axelrod, Interview with Ramadan Shallah, Secretary General, Palestinian Islamic Jihad, (Damascus, Syria, December 15, 2009), in “Prespectives on Terrorism”, Vol. 4, Issue 2, May 2010, p. 6. URL: http://www.terrorismanalysts.com/pt/index.php/pot/article/view/95/html

15 Una delle cause della crisi tra PIJ e l’Iran è stato il mancato riconoscimento dei palestinesi della causa rivoluzionaria Houthi nello Yemen e l’aperta condanna della guerra voluta dall’Arabia Saudita.

16 Fatima al-Smadi, Analysis: Hamas, Islamic Jihad Redefining Relations with Iran, Report, Al Jazeera Centre for Studies, 20 september 2015, p. 5. URL: http://studies.aljazeera.net/mritems/Documents/2015/9/20/201592096288377...

(foto: web / Ramadan Shalah)