Giappone: il crisantemo e la (nuova) spada

(di Gino Lanzara)
02/11/17

Probabilmente il 2 settembre 1945 nessuno avrebbe mai potuto immaginare quale avrebbe potuto essere l’evoluzione storica successiva al conflitto nel Pacifico; sul ponte della Missouri il Giappone firmava la sua resa incondizionata annichilito dai soli nucleari di Hiroshima e Nagasaki. Le nuove divinità atomiche avevano ormai sostituito quella celeste Imperiale. Il “secolo breve” di Eric Hobsbawm ha tuttavia imprevedibilmente mutato gli equilibri geopolitico strategici asiatici, e l’esito della recente consultazione elettorale nipponica ne è l’ultimo esempio.

La scelta del premier Abe di sciogliere la Camera Bassa, apparsa inizialmente azzardata per lo sfavorevole clima politico dovuto alle accuse di clientelismo e favoritismo, si è mostrata premiante e ha confermato tuttavia sia certezze che pesanti incognite, su cui pesa, peraltro, anche la futura (e storica) abdicazione dell’83enne Imperatore Akihito.

Il successo di Abe non era così scontato: la sua impopolarità ed i continui scandali stavano per mettere a rischio l’esecutivo e la sua politica riformistica; approfittando sia dei risultati economici che dei timori generati dalla Corea del Nord, Abe ha promesso fermezza contro le provocazioni missilistiche, e ha promosso significative modifiche costituzionali in grado di permettere al Giappone di fronteggiare le nuove minacce esterne.

È stata una strategia pagante? Sembrerebbe di si, anche se va tenuto presente che al tavolo da gioco elettorale Abe non ha avuto di fronte competitors in grado di offrire valide alternative, ma solo fenomeni mediatici e pallide rimembranze di appassita grandezza democratica. Economicamente il Giappone si trova in un momento di potenziale vulnerabilità dovuta al forte debito interno (a differenza dell’Italia) per cui non sussiste ancora un problema di spread, al surplus commerciale per cui lo Stato è inefficiente all’interno ma efficientissimo verso l’estero, ed ai cambiamenti internazionali capaci di ridurre gli export giapponesi.

In questo momento il Giappone rischia di perdere il primato nel firmamento asiatico per cedere il posto all’astro nascente cinese, che è tuttavia capace solo di proporre una riedizione di inaccettabili servitù neoimperiali. Rimane dunque da vedere come intenderà riproporsi il Sol Levante, certamente più orientato su posizioni occidentali che non su quelle asperrime offerte dal fronte cinese, capaci solo di suscitare reazioni “muscolari”.

Sul fronte economico il primo ministro continua a spingere per l’“Abenomics”, ovvero una miscela del pensiero economico keynesiano, di Friedman e della linea seguita dalla Fed guidata da Bernanke, che punta a spingere le banche centrali all’incremento della liquidità al fine di investire successivamente in opere pubbliche. I punti fondamentali, le cosiddette tre frecce, si sostanziano in una politica fiscale espansiva grazie agli investimenti pubblici; in una politica monetaria egualmente espansiva simile al quantitative easing europeo del 2015; in un programma di riforme strutturali di lungo periodo capaci di rilanciare l’investimento privato. Così come nella BCE a guida Draghi, gli effetti sono stati tuttavia oggetto di controversie; l’economia giapponese è considerata drogata, anche in virtù del fatto che i consumi interni non hanno rimpiazzato le esportazioni, che il privato non ha sostituito i grandi accentramenti industriali statali, e che l’80% del debito pubblico è venduto agli stessi giapponesi. In ogni caso la nuova politica internazionale continua a garantire la tenuta economica interna, per cui l’Abenomics rimane una certezza, sia pur sofferta ed in salita. I problemi in agenda sono dunque di non poco conto; oltre al sostegno alla bilancia commerciale, Abe deve tenere presente la questione demografica, vera e propria mina innescata che minaccia le prospettive di lungo termine, ed i non agevoli rapporti diplomatici regionali con Corea del Sud e Cina, resi ancora più problematici da quella che è percepita come un’eccessiva arrendevolezza verso l’amministrazione USA.

Con una popolazione in rapido invecchiamento la politica reflazionistica dell’Abenomics potrebbe attentare alla tenuta economica. I timori nipponici sul piano della sicurezza si dibattono inoltre tra due tipi di potenziali minacce, quelle nucleari nord coreane a medio breve termine, comunque capaci di far tremare la Borsa ed i commerci di Tokyo, e quelle di maggiore profondità temporale, legate al possibile primato cinese. Al di là di possibili spinte ideologico nazionaliste, rimane il rischio oggettivo connesso alle pretese del Dragone di operare un controllo sul Mar Cinese meridionale, transito del 50% delle importazioni alimentari ed energetiche giapponesi. Un’ipotetica riunione cinese con Taiwan, contribuirebbe a rendere possibile un ulteriore isolamento del Giappone che, per evitare una liaison sino americana, sta stringendo accordi militari sempre più stringenti con Viet Nam, India e con gli stessi USA. Abe punta dunque ad un contenimento della Cina e ad una politica estera più assertiva.

Le tensioni nell’area orientale hanno condotto a conflittualità sempre più spinte, che sono state acuite dalle iniziative prese da Xi Jinping e da Shinzo Abe, decisionisti e nazionalisti. A fattor comune si può notare come ambedue abbiano tracciato linee politiche di rottura rispetto al passato; Pechino intende vedersi riconosciuta la parità geopolitica con gli USA mentre Tokyo, il più importante alleato americano dell’area, punta a riguadagnare prestigio e potere rilanciando l’economia e rafforzando le sue capacità di proiezione marittima. Le due realtà geopolitiche sono chiaramente incompatibili: da un lato l’insorgente neo sino – centrismo, dall’altro l’aspirazione giapponese ad una “normalità” supportata dall’appoggio dell’amministrazione Trump, consapevole di non poter più svolgere un ruolo egemonico globale in un mondo multicentrico e multipolare, e che tenta, quanto meno, di impedire l’affermazione di pericolosi concorrenti regionali. Le ultime considerazioni di carattere geopolitico non possono che rendere più agevole la comprensione della mossa politica che Abe si accinge a compiere, ovvero la revisione dell’art. 9 della Costituzione nipponica. Cina e Corea del Nord con la loro politica aggressiva non hanno fatto altro che accelerare – con un iniziale effetto domino - il processo di rilettura costituzionale, inducendo a ritenere congrue le istanze nazionaliste che premono per permettere l’effettiva ricostituzione delle FFAA, ora configurate come Forze di Autodifesa.

A seguito dell’olocausto atomico, il Giappone ha intrapreso la strada dell’occidentalismo, vera tendenza dominante per tutto il periodo della Guerra Fredda; la fine del bipolarismo ha tuttavia indotto ad una nuova visione delle connotazioni geoculturali, non più comprensibili e non più attagliate allo stile giapponese di intendere la politica. Con lo storico spostamento del potere da occidente ad oriente e con il pivot to Asia di stampo obamiano, il Giappone ha avvertito la necessità di ridefinire la sua linea strategica: o rimanere in campo Occidentale rafforzando il legame con gli USA, oppure rientrare a pieno titolo ad Oriente con la consapevolezza di dover comunque sottostare ad una supremazia cinese. Secondo la scuola neoliberale ambedue le soluzioni presentano dei rischi, e J. Mearsheimer è convinto che la crescita cinese non possa essere in alcun modo pacifica. La dicotomia realista (troppo pessimista) e liberale (eccessivamente ottimista) conduce a considerare il quadro generale in chiave costruttivista, ovvero secondo una visione meramente oggettiva ed asettica che auspichi, razionalmente, un contenimento delle istanze sino – centriche, ed all’attenuazione del particolarismo nipponico. Le reazioni delle Cancellerie alle affermazioni di Abe, tuttavia, non inducono a particolari ottimismi, il che porta a chiedersi quanto terrore ancora incuta il Samurai giapponese. Tokyo ormai sta tarando il suo budget per la difesa su volumi significativi memore della querelle legata alle Isole Senkaku – Diaoyou, della minaccia nucleare nord coreana e dei segnali di disimpegno americano dalle basi nel Pacifico. Abe, del resto ha anche dichiarato come la costante mancata partecipazione giapponese alle missioni internazionali “precluda vitali opportunità di business”.

Mentre la Cina si domanda se il Giappone, possibile artefice di un atto senza precedenti dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale, rinuncerà alla sua politica orientata alla difesa, Abe cerca di distendere i toni, ma senza deflettere dai propri intendimenti. Le continue pretese cinesi di scuse per l’invasione patita ad opera delle truppe giapponesi, potrebbe incontrare adeguata compensazione nella revisione costituzionale: il riconoscimento delle colpe del passato, ancora ben rammentate in tutti i Paesi invasi, sarebbe attenuato da una visione prospettica futura in cui il sentimento nazionale nipponico troverebbe appagamento e non ulteriore umiliazione. Del resto, data la situazione globale, sembra comunque anacronistico permettere che il Giappone rimanga vincolato ad un pacifismo ad oltranza: le dimostrazioni di forza sia da parte cinese che nord coreana, senza contare l’attuale impotenza di fronte agli assalti condotti dal terrorismo islamico, non possono che giustificare il legittimo ricorso a tutti i possibili mezzi leciti per la difesa nazionale.

I 313 seggi che garantiscono la maggioranza parlamentare permettono di ipotizzare concretamente la possibilità di una modifica costituzionale, favorita peraltro dalle minacce nucleari incombenti; l’addio al pacifismo costituzionale potrebbe diventare una realtà, tenuto anche conto dell’affezione che il popolo giapponese nutre per i propri militari, sempre in prima linea in tutti i tragici avvenimenti che hanno colpito il Sol Levante.

La realpolitik mostra ancora una volta la sua valenza. Se è vero che un possibile emendamento costituzionale dovrebbe comunque superare il giudizio popolare referendario, non si può nemmeno escludere, data la maggioranza più su richiamata, che l’esecutivo possa mettere mano alla riscrittura dell’art. 96 della Costituzione, che regola le procedure necessarie a permettere le variazioni Costituzionali stesse.

Le Forze di Autodifesa, dopo una difficile rinascita dalle ceneri di un conflitto dall’esito tragico troverebbero, con questa modifica Costituzionale in pectore, una legittimazione piena e corroborata, peraltro, dall’apprezzamento internazionale per l’organizzazione e la preparazione tecnologica dimostrate durante le partecipazioni alle missioni internazionali che hanno visto impegnati i militari nipponici. Abe, in sintesi, è il perno su cui ruoterà la politica giapponese ancora per diversi anni; economia, salari, conflittualità regionali ed internazionali dovranno necessariamente passare al suo vaglio, tenuto anche conto dell’inconsistenza politica delle opposizioni.

Sarà Abe anche il capo di governo artefice della rinascita delle FFAA giapponesi? Estremamente probabile, data la volontà di affermazione di potenza dimostrata in più di un’occasione; sarà interessante valutare, peraltro, l’entità e la valenza degli armamenti che il suo esecutivo metterà a disposizione dello strumento militare. Una visione forse condizionata dai tragici trascorsi bellici potrebbe indurre ad escludere il ricorso alla dotazione di testate nucleari, ma l’attuale minaccia nord coreana, laddove fosse ancora effettiva e proiettabile, indurrebbe a ritenere, molto più che realisticamente, un’opzione di tal fatta.

Mai come ora, torna d’attualità Ruth Benedict; nel 1946, sia pur con molte riserve, scrisse un libro di rara preziosità il cui titolo condensa una realtà forse immutabile del Giappone: Il crisantemo e la spada. Il "crisantemo" rappresenta l'Ikebana, il lato artistico e culturale nipponico; la "spada" incarna l’onore ed il prestigio del Samurai, il lato militarista. La simbologia del titolo racchiude quindi il paradosso che il Giappone è sempre sembrato chiudere in sé. La Benedict, con le ceneri nucleari ancora fumanti, pronosticava contro ogni razionalità la rapida rinascita giapponese come conseguenza dell’elasticità ideologica e del grande senso del dovere del cittadino giapponese. Mai previsione è stata più calzante ed “azzeccata” di questa.

(foto: MoD giappone / U.S. DoD)