Fine dei giochi in Algeria?

(di Andrea Gaspardo)
04/04/19

Nel corso di una precedente analisi redatta non molto tempo fa, avevamo già toccato la delicata tematica riguardante la difficile fase storica di transizione che l'Algeria sta vivendo. Alla luce degli ultimissimi eventi susseguitisi nel paese, e vista l'importanza capitale che la sua stabilità ha per l'Italia, è necessario tornarci nuovamente per interpretare l'ennesimo atto di quella che si prospetta una fase decisiva della lotta di potere interna.

Negli ultimi vent'anni, gli equilibri politici interni della Repubblica Algerina Democratica e Popolare, hanno sostanzialmente ruotato attorno alla figura del presidente Abdelaziz Bouteflika, esponente della “prima generazione rivoluzionaria” che aveva portato all'indipendenza del paese dalla Francia, nel 1962. Tuttavia, con il passare del tempo, le condizioni di salute del vecchio “bey” di Algeri si erano deteriorate sempre più, consegnando al paese la macabra realtà di un leader sostanzialmente paralizzato su una sedia a rotelle ed in balia di un “cerchio magico” composto dalle alte sfere politico-militari, tra cui spiccavano con sempre maggiore insistenza Said ed Abderrahim Bouteflika, i fratelli di Abdelaziz. Invero, già da anni le oscure stanze del “Pouvoir” (Il Potere) erano dilaniate da una serie di feroci lotte intestine, motivate essenzialmente dal desiderio di Said di esercitare il ruolo incontrastato di “eminenza grigia” alle spalle del fratello “parzialmente incapacitato” e di diventarne eventualmente il successore; mossa quest'ultima fortemente osteggiata da ampi settori dello “stato profondo” presso i quali Said aveva sempre avuto una fama decisamente “solfurea”. Infatti, sebbene l'Algeria sia una repubblica oligarchica governata da un'élite irresponsabile (nel senso di “non responsabile”) nei confronti della società civile, “Les Décideurs” (I Decisori) sono sempre stati altresì prudenti a non creare ingombranti “dinastie” rifuggendo dalla tentazione di cooptare figli, nipoti ed altri parenti nei gangli del potere e preferendo mantenere il “bastone del comando” all'interno di una certa “cerchia generazionale” forgiata dalla “fratellanza al fronte” e dalla comune militanza all'interno dell'FLN (Front de Libération Nationale). Il fatto quindi che Abdelaziz Bouteflika avesse favorito l'ascesa dei suoi due fratelli (in particolare di Said) ai più alti vertici del proprio “cerchio magico”, aveva fatto infuriare non pochi tra i “Décideurs”. Tuttavia, grazie ad una metodica serie di purghe già descritte nella precedente analisi, sembrava che non vi fosse più alcun ostacolo che si frapponesse tra Said ed il potere supremo.

Uno dei tasselli chiave all'interno di questa metodica operazione di “colonizzazione” dei presidi del potere era stata la nomina del generale Ahmed Gaïd Salah (foto) alla posizione di capo di stato maggiore delle forze armate algerine, in sostituzione di quel Mohamed Lamari che ne era stato il comandante supremo ed incontrastato nel corso della sanguinosissima e selvaggia “Guerra Civile Algerina” che tanto ha inciso sulla psiche collettiva della nazione. Militare di lungo corso e generale di corpo d'armata con un passato nell'artiglieria, quando venne scelto per il delicato incarico, Salah si distingueva assai più per la sua lealtà a Bouteflika che non per le sue capacità di “condottiero”. La carriera di Salah infatti, può sembrare a prima vista “scarna” se confrontata con quella di altri alti ufficiali che nel passato si sono distinti ai vertici degli apparati statali.

Nato nel 1940 e unitosi ai combattenti dell'FLN all'età di 17 anni, la carriera di Salah si sviluppò nel dopoguerra dell'indipendenza quando venne inviato in Unione Sovietica per ricevere educazione formale ed addestramento all'Accademia Militare di Artiglieria. Ritornato in patria, gli vennero assegnati diversi comandi nel corso dei decenni seguenti e partecipò persino alla Guerra Civile Algerina, tuttavia la zona sotto il suo controllo vide una presenza degli islamisti davvero marginale per cui il suo contributo in tale occasione viene considerato assolutamente secondario. Tuttavia, ciò che Salah non è riuscito a guadagnarsi con “l'esperienza sul campo”, è stato parzialmente compensato dal suo “savoir-faire” dimostrato in più occasioni nel corso delle frequenti visite alle caserme situate nella sua area di responsabilità. Questo e il suo approccio “paterno” nei confronti dei suoi sottoposti e della truppa in generale, ne hanno fatto un elemento genuinamente popolare in tutta la struttura delle forze armate, in particolare tra “Les Centurions” (I Centurioni), gli ufficiali subalterni veri architetti della vittoria contro gli islamisti negli anni '90.

Quali che fossero le motivazioni sia palesi che occulte, quando nel 2004 lo scomodo veterano Lamari dovette lasciare il suo posto, Salah parve a Bouteflika come il candidato ideale per portare avanti l'opera di “colonizzazione e mutazione” dello strumento militare. Invero, lo stesso Salah non disdegnò di trarre personale giovamento dalla nuova situazione venutasi a creare attorno a lui. Sua fu infatti la decisione di obbligare al ritiro dalle scene anche gli ultimi 14 tra i 50 alti ufficiali definiti “Janveristes” (Gli Uomini di Gennaio), che con un colpo di spugna, nel 1992, avevano annullato la vittoria elettorale del FIS (Fronte Islamico di Salvezza) dando così inizio ai terribili eventi degli anni '90. Pare inoltre che ci sia lo zampino di Salah anche dietro alla defenestrazione di Mohamed Mediène “Toufik”, evento che ha portato al quasi completo collasso dei servizi di sicurezza. Nonostante la malattia di Bouteflika, Salah ne appoggiò la ricandidatura per un quarto mandato nel 2014 e da allora ha svolto quasi il ruolo di “addetto stampa e alle pubbliche relazioni” del regime algerino vista la defezione quasi permanente del moribondo presidente dai media e l'estrema riluttanza di Said a presentarsi sotto i riflettori.

Ulteriore elemento di vicinanza tra la “famiglia presidenziale” e la “famiglia del generale” fu poi la nomina del genero di Salah, Abdelghani Zaalane (foto) prima a ministro dei trasporti, nel 2017, e poi a responsabile delle pubbliche relazioni dell'ufficio presidenziale. Pareva dunque giustificata l'opinione di diversi analisti esperti di questioni algerine che vedevano Salah come niente di più che un “cane da guardia” dei Bouteflika e pedina fondamentale della stabilità del regime. Eppure gli eventi degli ultimi due mesi hanno dimostrato che, all'ombra del potere, nessun idillio dura per sempre.

Già nel corso del mese di febbraio la gente, prima ad Algeri e poi anche nelle altre grandi città, aveva cominciato a scendere in piazza a causa delle incertezze relative alle prossime elezioni presidenziali, originariamente previste per l'11 marzo e successivamente posticipate al 18 aprile senza che esistesse neppure una lista dei candidati ufficiali o un qualche accenno di preparativo di campagna elettorale. “Le Peuple” (Il Popolo) capì che era in atto un vigoroso braccio di ferro ai vertici del “Pouvoir” e questo ha fatto scattare la mobilitazione, via via ingigantitasi nel corso delle settimane (fino a toccare la cifra di 17 milioni di manifestanti il 26 di marzo!) dopo che il 3 dello stesso mese, con una mossa a sorpresa, il vecchio “bey” aveva deciso, nelle sue condizioni, di candidarsi ad un quinto mandato, coprendosi di ridicolo di fronte alle élite e facendo inferocire la base popolare. Tuttavia, lo stesso giorno della grande “manifestazione dei 17 milioni” il generale Salah è comparso in televisione, parlando a reti unificate dalla Scuola per Ufficiali delle forze armate algerine affermando che, per quanto riguarda i militari, in base all'articolo 102 della costituzione, Abdelaziz Bouteflika è da considerarsi “infermo e non idoneo a svolgere le sue attività costituzionali”; un golpe bianco a tutti gli effetti! E' indicativo però che Salah abbia deciso di fare l'annuncio della “deposizione” di Bouteflika proprio alla Scuola per Ufficiali. Tale istituzione, infatti, è da sempre considerata un bastione dei “Centurions”, e questo potrebbe indicare che siano in realtà loro, più che il vecchio generale, la vera forza che, conscia della disperazione popolare, sta spingendo il vecchio clan al potere letteralmente fuori dalla finestra.

"Post scriptum"

Nelle ultime ore del 2 aprile 2019, Abdelaziz Bouteflika, l'uomo che per 20 anni ha retto le sorti dell'Algeria, ha annunciato le sue dimissioni con effetto immediato. Assieme a lui se ne vanno anche il primo ministro Ahmed Ouyahia e la quasi totalità dei suoi fedelissimi nei gangli dell'amministrazione dello stato.

Sebbene sia impossibile al momento fare delle previsioni certe su quale traiettoria prenderà il paese, gli eventi delle ultimissime settimane hanno dimostrato che, una volta ancora, in Algeria sono i militari ad avere l'ultima parola in merito al futuro della collettività.

Foto: web / AlgérieNouvelle