Dio non gioca a dadi

(di Gino Lanzara)
15/11/19

La globalizzazione investe e coinvolge la sfera militare mediterranea, valutata geostrategicamente in funzione della diffusione degli armamenti convenzionali e non, dei sistemi satellitari e di cyberwarfare, delle potenzialità economiche espresse dai budget e dai sistemi industriali dei Paesi affacciati sul Mare Nostrum, delle disponibilità di armamenti nucleari.

Circa il 70% dei bilanci interessanti le spese militari riguarda Stati che, sia pur con diversa frequenza, impegnano sia il bacino Mediterraneo che le acque adiacenti, dove lo spessore della globalizzazione è tarabile a seconda del numero di Unità Militari presenti.

La sponda Nord, è caratterizzata da high tech e dalla contrazione del numero di combattenti disponibili, mentre quella Sud, tecnologicamente meno capace e con un numero significativo di non sempre qualificati coscritti, è sensibile ad acquisti ed implementazioni della capacità bellica, attività testimoniata dagli sforzi marocchini per dotarsi di mezzi subacquei convenzionali russi, e dalla consegna dell’Unità anfibia algerina Kalaat Beni Abbes, allestita in Italia; tra le due sponde, un pacchetto di Stati, produttori ed importatori di tecnologia militare, caratterizzati da differenti disponibilità di risorse1.

Spingendo lo sguardo verso i limiti di un Mediterraneo per noi più trascurato che allargato, è possibile valutare sia lo sforzo dei Paesi del Golfo, sia quello in evoluzione dalla Cina, sempre più affrancata dalla tecnologia russa. Al gap esistente lungo gli assi est-ovest e nord sud, non colmabile in breve tempo, si affianca la deterrenza degli armamenti nucleari il cui possesso tuttavia non è sempre esplicitamente dichiarato, come nel caso di Israele, che se ne avvale quale garanzia di sopravvivenza verso la minaccia iraniana.

Prime conclusioni: la distribuzione di potenza nel Mediterraneo, privo del monopolio NATO, ha gettato le basi per una nuova corsa agli armamenti cui difficilmente ci si potrà sottrarre, specialmente se si vorrà continuare a detenere un accettabile Potere Marittimo indispensabile al raggiungimento degli obiettivi strategici nazionali. Importanza delle flotte; Royal Navy e Marine Nationale, numericamente meno nutrite che in passato, rimangono tuttavia versatili e capaci, specialmente perché dotate di battelli a propulsione nucleare dotati di lanciatori balistici; l’Italia, premiata dalla posizione geografica ma non sempre da una programmazione lungimirante, disputa la piazza d’onore alla Spagna, impegnata anche sul fronte atlantico; la seconda linea navale vede sul versante orientale la Turchia, con una flotta numericamente significativa, e la Grecia, con una componente subacquea incentrata su mezzi di produzione tedesca Type 214.

A sud – sud est, e non dev’essere una sorpresa, si fanno strada Egitto ed Algeria, che non hanno esitato a rafforzare sia le forze di superficie che quelle subacquee, ed Israele, dotato di sottomarini classe Dolphin armati con missili da crociera con probabili testate nucleari e munito del sistema Iron Dome Marittimo a protezione dei giacimenti di gas.

Ancora l’atomo: l’area MENA (Middle East and North Africa, ndr) ambisce all’energia nucleare o per incrementare le esportazioni di risorse energetiche, o per liberarsi dalla soggezione al greggio, oggetto di eccessive fluttuazioni monetarie. Malgrado l’Algeria punti ad incrementare la produzione di energia grazie all’energia atomica, l’unico Paese che sembra in grado di concretizzare significativamente le sue aspirazioni nucleari è l’egemonico Egitto; al di là dei propositi e della possibilità di realizzarli, va rammentato un requisito comune alle ambizioni atomiche ed alla loro politica: volitività e determinazione sia pure in presenza di fattori ostativi, ovvero costi, tempistiche, scarsità d’acqua, rischi sismici, competizioni tra le grandi potenze per la spartizione del continente africano.

Insomma, la politica di potenza nell’area segue linee ben definite; parafrasando Einstein potremmo dire che Dio, neanche qui, gioca a caso a dadi.

Il lato oscuro della forza

L’area MENA, per i più distratti, riserva sempre sorprese collegate alle evoluzioni geostrategiche. La caratteristica comune risiede in tre fattori ben precisi: possesso, valorizzazione ed uso dello strumento bellico.

L’Egitto è nuovamente in mano agli uomini in divisa da quando Al Sisi, deposto Mursī, ha riportato in auge l’istituzione militare, fondata su nazionalismo e preservazione di benefici finanziari, in un contesto in cui essa stessa costituisce uno dei pilastri dell’economia nazionale, controllata per almeno il 40% delle attività produttive, e sotto l’influenza del Consiglio Supremo delle Forze Armate, composto da 21 ufficiali, che esercitano vasti poteri soprattutto durante la fasi di vacatio governativa; oltre l’innegabile peso politico, è impossibile trovare settori economici in cui le FFAA non abbiano interessi e non intendano forgiare un apparato industriale nazionale efficiente.

La valenza della leva economica parallela, utile sia a fomentare che a placare i moti popolari, dipende tuttavia dai cospicui finanziamenti degli USA, che stimano l’Egitto quale entità strategicamente rilevante anche se non ancora in grado di pacificare completamente il Sinai malgrado gli sforzi compiuti per dimostrare una reale reazione contro il jihadismo, ed attraversata da corruzione, disoccupazione e frequenti attriti tra Esercito e Polizia.

L’apparato bellico egiziano, basato su 4 regioni militari ed equipaggiato con mezzi della più varia provenienza, contando peraltro sulla Marina più grande del MO, tende a dare un’immagine atta sia a stabilizzare l’interno, sia a rassicurare i partner con esercitazioni congiunte nel Mediterraneo Orientale volte, tra l’altro, a rammentare il possesso di immense risorse energetiche, sia a sostenere i Paesi del Golfo (eccettuato il Qatar), confortati dalla repressione della Fratellanza Musulmana, vista la spinta USA indirizzata alla costituzione della Forza Unitaria della Lega Araba da proiettare contro l’Iran.

La Russia fornisce supporti per i sistemi di difesa aerea; la Cina approvvigiona droni; la Germania produce armamenti navali.

Ed è proprio sulla Marina che scommette l’Egitto, punto di incontro geografico tra Nord Africa, MO e Mediterraneo, con le portaelicotteri Nasser e Sadat fornite dalla Francia, mercé il supporto finanziario saudita, che ha permesso, pur di tornare in possesso delle isole di Tīrān e Ṣanāfīr, sia l’acquisto di altri mezzi di superficie, sia di puntare ad allestimenti subacquei cinesi di tonnellaggio contenuto.

La Marina, articolata su Mediterraneo e Mar Rosso, si sta dunque trasformando in una forza versatile volta a dissuadere e contenere le potenze d’area più assertive, sia preservando la possibilità di proiettarsi nei contesti arabi ed africani di interesse, sia proteggendo le sue SLOC, il Canale di Suez e gli accessi sul versante del Mar Rosso.

I militari giocano un ruolo determinante anche nell’Algeria orfana di Bouteflika, e trovano humus fertile proprio nelle indicazioni politiche fornite dall’egiziano Al Sisi, abilissimo nello sfruttare il vuoto di potere venutosi a creare. Il pouvoir algerino è ancora più opaco di quello egiziano, e non mette in condizione di stabilire agevolmente chi sia davvero al potere in uno dei maggiori produttori mondiali di idrocarburi.

L’Esercito, presente nel dna algerino fin dalla fondazione dello Stato, per mano del generale Gaïd Salah si è ora posto quale forza di stabile garanzia, e non ha esitato né ad operare pesanti purghe nell’entourage di Bouteflika, né a rinviare il voto per le elezioni presidenziali, imponendo così una lunga fase transitoria in un sistema di potere complesso, dove la figura del Capo di Stato Maggiore, dagli anni ’90, ha sempre interpretato un ruolo rilevante, malgrado il tentativo di controllo esercitato dall’apparato politico; in senso lato un colpo di Stato incruento ma determinante per la stabilizzazione degli assetti politici.

Giovani e poco ideologizzate, le FFAA, potenziate già dal 2014 grazie ad un budget che pone l’Algeria tra i Paesi africani che più spendono per il proprio apparato bellico, sono ora diventate l’ago politico della bilancia, innescando il timore che possano assurgere ad un ruolo totalizzante come quello interpretato dall’Esercito Egiziano, e tuttavia in possibile difficoltà nel garantire il contenimento della crisi economico sociale e del rischio jihadista.

La Germania ha fornito sia mezzi terrestri che navali (Fregate MEKO A200), come l’Italia, anche se in percentuali diverse; di particolare rilevanza le forniture di battelli convenzionali russi (KILO), unitamente a sistemi lanciamissili S400, poiché conducono ad oscillazioni dell’equilibrio di potenza nell’area marittima mediterranea, un equilibrio garantito all’interno del Paese dall’Aviazione, indispensabile per il controllo di un Paese morfologicamente così aspro, e volto al monitoraggio delle minacce provenienti da Mali, Niger e Libia. L’Algeria, come e se non più dell’Egitto, mostra delle capacità belliche complessive che sarebbe imprudente sottovalutare, specie se correlate al particolare momento politico.

Cosa fare da grandi

Quanto conta la politica estera associata alle capacità militari? Moltissimo, come sempre accade fra poli magnetici che si attraggono e, raramente, si respingono.

Se è vero che esistono potenziali affinità con l’Egitto, è altrettanto vero che l’Algeria non stima un Haftar, supportato dagli interessi franco–emiratino-egiziani, che riunifichi la Libia, in un’area come quella del Sahel/Sahara fortemente destabilizzata e che non presenta leader pienamente legittimati a capo di entità centralizzate.

Egitto ed Algeria divergono quindi su aspetti strategici, ma non su quelli tattico/diplomatici, che privilegiano l’instaurazione di relazioni a carattere regionale (Tunisia, Ciad, Niger, Sudan); quel che è certo, è che se le spaccature interne prevarranno, la forza mediatrice algerina potrebbe cessare lasciando il campo ad estremismi ed ondate migratorie difficilmente contenibili.

Anche la Tunisia gioca un ruolo politicamente rilevante; priva della forza militare dei suoi vicini, forza che, comunque ben addestrata e rinnovata nel tempo ha impedito la deflagrazione di una guerra civile al tempo delle Primavere, la Tunisia occupa una posizione geografica e politica che, in termini di rendita, fa risaltare la nostra assenza, visti anche gli esiti elettorali che hanno condotto ai vertici un politico filo islamista.

Sponda Nord, Italia; i nostri interessi sono molteplici; la politica estera condiziona gli investimenti nel campo degli armamenti, dove Paesi meno puri del nostro puntano ad occupare spazi colpevolmente abbandonati; o nel campo dell’energia, dove lo Stato non può che assimilare la strategia ENI, non supportata però da un potenziamento delle capacità militari, ed impegnata attualmente in Libia ed in Algeria con l’azienda di Stato Sonatrach, ed in futuro nelle acque dell’East Med, dove è ipotizzabile la creazione di un hub gasiero interessante i giacimenti di Egitto, Cipro, Libano ed Israele.

Le dinamiche d’area suggeriscono una politica estera e di potenza differente, accorta sia agli investimenti sia a non sottovalutare le capacità di Paesi che curano addestramento, equipaggiamento, e capacità subacquee di Marine potenzialmente in grado di lanciare vettori balistici. Abbiamo lasciato il titolo di quest’ultima parte di analisi privo di punti interrogativi: a voi decidere se metterli o meno.

1 Grecia, Slovenia, Turchia, Bulgaria, etc.

Foto: web / Egypt State Information Service / Egypt MoD / Algeria Ministry of National Defense