Crisi USA-Corea del Nord: il cane abbaia ma non morde

03/10/17

La Corea del Nord da circa vent’anni sta sviluppando un programma per dotarsi di missili balistici nucleari. Il primo test atomico si ebbe il 9 ottobre 2006 con potenza (stimata dai sismografi) tra i 0.7 e i 2 kiloton. Ma la comunità internazionale è entrata in fibrillazione dall’anno scorso, quando il quinto test, del 9 settembre 2016, è stato valutato tra i 15 e i 25 kiloton, ovvero la potenza tipica di un’arma tattica (la bomba di Hiroshima era di 15 kt, quella di Nagasaki di 20). Ma il sesto ed ultimo test del 3 settembre 2017 ha raggiunto una potenza superiore ai 70 kiloton. Quella cioè di un’arma strategica.

Il regime coreano fin dagli anni Settanta è riuscito poi a procurarsi i missili Scud che, secondo un disertore, l’Unione Sovietica gli fornì nel 1972. La versione più accreditata è invece che i missili siano stati forniti dall’Egitto nel 1979-80 come ricompensa per l’aiuto fornitogli dalla Corea del Nord durante la guerra dello Yom Kippur. Per inciso, col nome di Shabab-1 è stato lanciato anche il primo missile superficie-superficie iraniano. La Corea del Nord è infatti un’attiva esportatrice di missili ad Iran, Pakistan, Egitto, Siria, Libia, creando così un fattore destabilizzante anche degli equilibri mediorientali, poiché ha fornito a Pakistan ed Iran vettori per armi nucleari.

La linea nata con gli Scud egiziani si è sviluppata rapidamente, dopo il Hwasong-5 e i diretti derivati Hwasong-6 e 7 del 1998 (che potevano portare una testata nucleare ad una distanza variamente stimata tra 1000 e 1500 km e potevano perciò essere già definiti un MRBM “da teatro”), da cui sono derivate le versioni operative chiamate “Rodong”.

Di fatto però il missile che più preoccupa gli USA è Hwasong-10 ("Musudan"), una versione terrestre dell’SLBM sovietico R-27 Zyb (SS-N-6 Serb). Con una gittata di circa 4000 km, è un IRBM capace di colpire la base statunitense di Guam e sono in fase di sviluppo il Taepodong-2 (8000 km) e il Hwasong-13 (12000 km), quest ultimo in grado di tenere sotto tiro tutti gli Stati Uniti continentali, a parte la Florida.

Al di la delle schermaglie militari e delle polemiche verbali, è comunque importante considerare le implicazioni geostrategiche e di politica internazionale, che trovano sempre nella diplomazia il luogo principe dove viene ad emergere la vera realtà dei rapporti di forza tra i vari attori. In quest’ottica, la visita a Pechino del Segretario di Stato americano Rex Tillerson – che ha aperto contatti diplomatici diretti con Kim - è un fatto molto più importante del volo di meno di una dozzina di aerei USA lungo le coste nordcoreane, peraltro ben tenendosi in acque internazionali. Oltretutto Tillerson non ha parlato solo della crisi coreana, dimostrando come nei rapporti tra Stati Uniti e Cina, la grande partita a scacchi resti principalmente quella economica e finanziaria.

L’unica plausibile opzione militare americana a questo punto sarebbe uno strike pre-emptive, che tuttavia pone una serie di problemi molto pesanti e di difficile soluzione.

Il primo è che avrebbe bisogno, se non dell’alleanza, almeno del consenso del Giappone e della Corea del Sud. Ma il Giappone si troverebbe sotto il tiro dei missili nordcoreani, e la Corea del Sud rischierebbe ancor di più: la capitale Seul è a pochi chilometri dal confine, quindi vulnerabile alle artiglierie nordcoreane, senza contare i missili tattici Scud e FROG. La Corea del Sud è un paese piccolo, economicamente avanzato e fortemente popolato, per cui i danni alle persone ed alle cose sarebbero certamente ingenti. Le forze armate USA dovrebbero perciò in contemporanea attaccare la Corea del Nord e proteggere la Corea del Sud ed il Giappone.

Il secondo, è che deve essere in grado di mettere fuori combattimento tutti i missili (impedendo alla Corea del Nord di costruirne di nuovi) distruggendo in breve tempo le infrastrutture nucleari.

Il terzo, è che comunque l’iniziativa militare americana sarebbe assai rischiosa senza il tacito assenso di Cina e Russia. Come sappiamo, la triade Cina, Stati Uniti e Russia governa la globalizzazione, poiché sono gli unici tre paesi al mondo in grado di perseguire una grande strategia autonoma. Il gioco strategico mondiale è guidato da questi tre grandi attori, le cui rivalità ed alleanze decidono di tutta la politica internazionale, influendo in modo pesante sugli attori più deboli o più ricattabili.

Infine, il fattore più importante di tutti: occorre innanzitutto elaborare una exit strategy che dopo l’azione militare riporti tutto sul terreno della diplomazia e della ricostruzione.

Messe così le cose, le possibilità che gli Stati Uniti decidano di invadere la Corea del Nord come fatto in Irak sono oggi praticamente pari azero: l’attacco di terra potrebbe partire solo dalla Corea del Sud, e i preparativi sarebbero ben difficili da nascondere. A quel punto una reazione missilistica della Corea del Nord sarebbe inevitabile. Inoltre la Cina, come dimostrano le guerre di Corea e del Vietnam, non tollererebbe la presenza di forze americane direttamente a contatto con i propri confini (dice Xi: “non accetteremo un attacco alle soglie di casa”) ma nemmeno una Corea unita, militarmente forte ed alleata degli Stati Uniti.

Insomma, la situazione dal punto di vista militare è quindi di forte stallo, e non stupisce che i due contendenti finora abbiano abbaiato moltissimo, abbiano di tanto in tanto mostrato i denti, ma che non ci sia stato alcun morso.

Arduino Paniccia

Presidente ASCE – Scuola di Competizione Economica Internazionale di Venezia e Professore di Studi Strategici all’Università di Trieste

(foto: KCNA / U.S. Department of State / U.S. DoD)