Sidney Reilly: Io sono il re delle spie

Sidney Reilly
Ed. Castelvecchi
pp. 187

Quello di Sidney Reilly è un mito controverso oltremanica. C’è chi lo ha definito come “la prima super-spia del XX secolo” e chi come un “abile truffatore e inguaribile donnaiolo”. Qualunque sia la verità, la figura di questo uomo ha affascinato generazioni di inglesi, compreso Ian Fleming, il “padre” di James Bond, tanto da spingerlo a trarne ispirazione per l’ideazione del personaggio del suo agente “con licenza di uccidere”.

Carismatico, trasformista, coraggioso, intelligente, abilissimo a tessere relazioni sia sociali che amorose, animato da un odio viscerale per i bolscevichi, marito premuroso e abile uomo d’affari. Di Reilly non si è sicuri né dell’identità, né quando sia morto e in che circostanze. Solo recentemente, molto dopo la scrittura di questa biografia, il mistero che circonda la vita di Reilly si è fatto un poco meno fitto, solo perché i servizi segreti britannici hanno declassificato la documentazione sul suo conto.

La sua parabola è iniziata a fine ‘800 in Ucraina, dove dovrebbe essere nato, è passata per il sud America dove ha svolto vari lavori, per poi approdare in Gran Bretagna. Qui divenne un’agente segreto di Sua Maestà e si distinse in diverse rocambolesche azioni oltre le linee tedesche durante la Prima Guerra Mondiale. Il punto più alto della sua carriera di agente segreto probabilmente è stata l’organizzazione di un complotto volto a soffocare la rivoluzione comunista in Russia sul nascere, nel 1918. Tale tentativo fallì per un soffio e gli costò la sentenza di morte emessa in contumacia da parte dei bolscevichi. A quel punto la sua parabola intraprese il proprio ramo inesorabilmente discendente. Fino a portarlo a cadere proprio tra le fauci degli odiati e machiavellici bolscevichi. Ma veniamo, appunto, al libro.

Si tratta di un’autobiografia curata da quella che credeva di essere la moglie legittima di Reilly al momento della sua scomparsa in territorio russo nel 1925. Sì, perché Pepita, poco dopo che il libro fu dato alle stampe, scoprì che il matrimonio contratto con Reilly era in realtà nullo in quanto, in seguito, egli risultò essere già sposato con altre donne. Comunque, nella prima parte del libro, grazie alle carte di Reilly in possesso di Pepita, viene ricostruito l’ambizioso piano per far fallire la rivoluzione in Russia. Con astuzia, coraggio e determinazione, Reilly riuscì a costituire un’organizzazione clandestina che per un soffio non riuscì nel proprio intento. Tuttavia, per una tragica circostanza del caso, il piano che poteva cambiare la storia della Russia e del mondo intero fallì e l’organizzazione di Reilly fu scoperta e smantellata dalla temibile polizia politica comunista: la Čeka. Fortunatamente, grazie alla struttura innovativa dell’organizzazione ideata da Reilly proprio per fronteggiare questa evenienza e al coraggio dell’agente, la maggior parte dei cospiratori riuscì a salvarsi dalla tremenda vendetta della famigerata Čeka. Anche Reilly riuscì a sfuggire per un pelo sia ai russi che ai tedeschi e a far ritorno sano e salvo in Patria. Dalla Gran Bretagna, dopo queste vicenda, inizia il racconto basato sui ricordi personali di Pepita nella seconda parte del libro, con il supporto anche di alcune lettere e telegrammi da essa conservati. Pepita quindi riporta come Reilly, nonostante fosse cosciente di essere sorvegliato dalla Čeka e in perenne pericolo di vita anche in Patria, spese anima e corpo nel tentativo di contribuire alla causa di combattere gli odiati bolscevichi. Fino al tragico epilogo. Per una sorte di beffarda e malvagia legge del contrappasso, cadrà in un sofisticato tranello: verso la fine del settembre del 1925, convinto di essersi affiliato ad una nuova organizzazione clandestina anticomunista, Reilly attraversò il confine tra Finlandia e Russia per incontrarne i capi. In realtà era tutta una macchinazione per far uscire allo scoperto i nemici del regime come Reilly e l’agente, che agì di iniziativa senza la copertura del proprio governo, fu catturato appena passata la frontiera e, secondo le autorità locali, fu ucciso in un bosco da comuni banditi. Pepita non credette mai alla verità raccontata dalle autorità russe e nella terza e ultima parte del libro descrive con quanta angoscia e disperazione si impegnò in prima persona per scoprire la reale sorte del marito. Fino a quando dovette arrendersi all’idea che suo marito, anzi colui che pensava fosse suo marito, era morto in Russia.

Solo molto dopo un ex agente russo ha rivelato che Reilly fu detenuto per diversi anni in una prigione speciale russa, finché secondo lui fu assassinato a sangue freddo dalla Čeka dando così corso alla sentenza di morte emessa anni prima.

Si tratta di un libro interessante su una figura davvero straordinaria, comunque la si pensi sul suo conto. Certo non si tratta di un avvincente romanzo sulle mirabolanti avventure dell’agente doppio zero più famoso del mondo, tuttavia è affascinante leggere i resoconti di Reilly sulle trame politiche dell’epoca e scoprire la lotta mortale e clandestina tra la Čeka e gli oppositori esterni e interni al regime comunista.

Ciro Metaggiata